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Ictus: ridotti del 50% gli accessi al Pronto Soccorso per paura del Coronavirus

I neurologi lanciano l'allarme: chi accusa sintomi lievi o transitori dell'ictus preferisce non chiamare il 112 o il 118 per timore di essere contagiati dal virus. Ciò rappresenta, però, un rischio per la salute

L’epidemia, che da settimane sta mettendo a dura prova il nostro Paese, ha stravolto la vita attuale degli italiani e avrà sicuramente enormi ripercussioni su quella futura. La crisi emergenziale in atto ha imposto un gravoso e obbligatorio cambio nelle abitudini e negli stili di vita di ognuno, ha indotto le persone ad avere paura, ha fatto crollare, da un giorno all’altro, le certezze di tutti. Oggi, agli occhi del Coronavirus, il mondo appare fragile, vulnerabile e sottomesso al panico. E ci sono diverse fasce della popolazione che, più di altre, hanno “accusato” il colpo. Per timore di incontrare sulla propria strada il SARS-CoV-2 alcune persone rinunciano infatti ad avere le cure delle quali necessitano. È il caso di chi, ad esempio, manifesta sintomi minori o transitori dell’ictus e, anziché contattare il numero di emergenza, decide di non intervenire in alcun modo.

Gli accessi ai PS per ictus sono diminuiti del 50%

Da una ricerca condotta su 81 centri della rete delle unità neurovascolari, che eseguono terapie di rivascolarizzazione farmacologica e/o meccanica in Italia, è emerso che il numero di pazienti che in questi giorni accede ai Pronto Soccorso per ictus cerebrale è diminuito del 50%-60% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Gruppo San Donato

Gli italiani hanno paura del contagio

In questo periodo l’attenzione mediatica, sanitaria e popolare è, giustamente, focalizzata sull’infezione da Coronavirus. Ma non dobbiamo dimenticarci della coesistenza di altre patologie, come ad esempio l’ictus o l’infarto del miocardio che, anche in piena crisi emergenziale, continuano a colpire migliaia di italiani. Non è dunque plausibile pensare che la riduzione degli accessi ai Pronto Soccorso per ictus sia strettamente correlata a una reale diminuzione dell’insorgenza di tale condizione. Piuttosto l’origine è da ricercare proprio nel contesto attuale dei fatti. «Certamente il timore della pandemia è una verosimile causa di questo fenomeno, per cui i pazienti con sintomi minori o transitori, i cosiddetti attacchi ischemici transitori, tendono a rimanere a casa» conferma Danilo Toni, Presidente dell’Italian Stroke Organization e Direttore Unità di Trattamento Neurovascolare e Neurologia d’Urgenza e Unità Ictus del Policlinico Umberto I di Roma.

Sintomi lievi e transitori dell’ictus: cosa si rischia se non si interviene

La decisione di non intervenire di fronte all’insorgenza di uno o più sintomi dell’ictus, anche se di modesta entità o temporanei, può mettere a rischio la salute dell’individuo. «Fino al 30% dei pazienti con ictus lieve, infatti, può peggiorare nei giorni successivi e rimanere invalido. Fino al 15% dei pazienti con attacco ischemico transitorio, invece, può avere un ictus più grave nel mese successivo, con il rischio più elevato nelle prime 48 ore» spiega Toni. Inoltre, come ben sappiamo, l’ictus è una patologia tempo-correlata. «I risultati positivi che possono essere ottenuti grazie alla disponibilità delle terapie disponibili, come la trombolisi e la trombecromia meccanica, dipendono proprio dalla precocità con cui si interviene» aggiunge Nicoletta Reale, Presidente di A.L.I.Ce. Italia.

Come accorgersi che una persona sta avendo un ictus

Come bisogna comportarsi dunque?

Poiché aprile è il mese della prevenzione dell’ictus cerebrale è giusto ribadire che, anche in questa delicata fase, bisogna innanzitutto saper riconoscere i sintomi. Tra questi non riuscire a muovere un braccio o una gamba o entrambi gli arti dello stesso lato del corpo, avere la bocca storta e non riuscire a vedere bene metà o una parte degli oggetti. Ancora, non essere in grado di coordinare i movimenti o di stare in equilibrio, non comprendere o non articolare bene le parole, essere colpito da un violento e localizzato mal di testa. Poi bisogna immediatamente chiamare il 112 (laddove sia presente il numero unico di emergenza) o il 118. «Solo così facendo è possibile ridurre il rischio di mortalità, ma soprattutto gli esiti di disabilità, spesso invalidanti, causati da questa malattia» conclude la dottoressa Reale.

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