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Alzheimer: diagnosi con un semplice test dell’olfatto

Un passo fondamentale verso la diagnosi precoce, vero strumento per fermare la progressione di questa malattia

Diagnosticare il rischio di ammalarsi di Alzheimer o “beccare” questa malattia agli esordi, quando ancora non dà sintomi, con un test dell’olfatto, semplice ed economico. È questo il promettente risultato di una ricerca condotta dal neurologo Mark Albers, messa a punto al Massachusetts General Hospital di Boston.

Da tempo la ricerca scientifica sta cercando di mettere a punto un esame, il meno invasivo possibile, che sia in grado di scoprire la presenza dell’Alzheimer ai suoi albori per poter intervenire immediatamente e limitare il più possibile i danni.

Gruppo San Donato

La stragrande maggioranza del mondo scientifico è infatti convinto che la malattia di Alzheimer vada colpita durante le fasi iniziali per fermarne la progressione, arrestando di danni che procura al nostro cervello. È quindi evidente l’importanza di un test per la diagnosi precoce.

Utilissimo che sia semplice ed economico, perché così può essere utilizzato su larga scala, visto che l’Alzheimer colpisce in Italia 600.000 persone, ma con il progressivo invecchiamento della popolazione si teme che in pochi anni possa superare il milione di pazienti.

Per raggiungere questo risultato, pubblicato anche sulla rivista scientifica Annals of Neurology, il team guidato da Mark Albers ha messo sotto osservazione 183 anziani divisi in quattro gruppi: il primo era composto da persone sane, il secondo da persone preoccupate di poter perdere le proprie facoltà cognitive, il terzo da persone con lieve declino cognitivo e infine il quarto da pazienti di Alzheimer manifesto.

Tutti i volontari sono stati sottoposti a un esame dell’olfatto che prevedeva che dovessero riconoscere degli odori, distinguendoli gli uni dagli altri e anche richiamare alla memoria alcuni aromi che avevano conosciuto durante la loro vita.

Dal test dell’olfatto i ricercatori americani hanno capito che l’olfatto peggiora progressivamente: è buono nel primo gruppo, per poi scemare man mano che ci si avvicina a coloro che hanno la malattia conclamata.

A questo punto dopo i risultati promettenti di questa ricerca, l’équipe di scienziati è già al lavoro per andare avanti con una sperimentazione che comprenda più persone.

Francesco Bianco

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