Salute

Malattia di Crohn, i nuovi farmaci biologici

Le terapie all'avanguardia contro l'infiammazione cronica intestinale

«È una malattia imbarazzante: cosa c’ è di sexy in una donna che improvvisamente ti pianta in asso per correre in bagno?», ha detto qualche tempo fa Shannen Doherty (la Brenda del serial Beverly Hills 90210), quando si è decisa a confessare in un’intervista che soffriva di malattia di Crohn. Chissà, forse lei riesce a dirlo restando sexy lo stesso.

L’intestino è sotto attacco
E così anche la popstar Anastacia, che qualche tempo dopo ha ammesso di avere lo stesso disturbo. Ma nelle loro condizioni si trovano milioni di altre persone al mondo. Capaci di raggiungere grandi risultati nella vita privata e professionale, nonostante una patologia seria come il Crohn. Basti citare l’esempio di due grandi nomi della storia: i presidenti americani John Kennedy e Dwight Eisenhower. E fonti riservate assicurano che a essere afflitti dalla malattia sarebbero anche un paio di calciatori che giocano in serie A.
La malattia, descritta per la prima volta nel 1932 dal medico americano Burill B. Crohn, si configura come una forte infiammazione cronica dell’ultima parte dell’intestino tenue, l’ileo.
La causa? Un mistero. Comunque, qualcosa in grado di scatenare gli anticorpi contro una parte dell’organismo, quasi fosse un agente esterno da attaccare. Con un’immagine: come se su un ring un pugile indossasse i guantoni contro se stesso.

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Lo stress gioca la sua parte. Tanto che il Crohn è in aumento in tutti i Paesi a tecnologia avanzata: mentre prima esordiva intorno ai 20 anni o dopo i 40, adesso riguarda anche bambini di otto dieci anni. In Italia oggi la malattia interessa circa 180mila persone, che se la portano dietro per tutta la vita.
Che cosa vuol dire avere il Crohn? Significa passare periodi con l’intestino che espelle solo liquidi (e sangue) diverse volte al giorno, dolori, un po’ di febbre e di malessere, tanto per dire i sintomi più comuni. E, fra una crisi e l’altra, una tranquillità relativa, sempre col timore che una tensione o un cibo poco tollerato (ognuno ha le sue sensibilità individuali) faccia divampare i problemi.
La saggia Anastacia ha commentato: «Siccome in me i sintomi sono sempre scatenati da un’emozione, grazie al Crohn ho scoperto chi sono, che cosa voglio veramente, come mi devo comportare: in fondo devo qualcosa alla malattia».

I nuovi farmaci biologici
Nel panorama medico arriva, intanto, una buona notizia: le cure contro la malattia di Crohn si sono molto evolute, grazie alla terapia biologica che ha portato (con tecniche di ingegneria genetica) alla produzione di anticorpi monoclonali, da utilizzare nei casi più seri.
«La novità di queste sostanze sta nel fatto che hanno un bersaglio specifico e non un’azione generalizzata su tutto l’organismo, come avviene con i farmaci tradizionali», spiega Giovanni Gasbarrini, direttore dell’Istituto di medicina interna al Gemelli di Roma. «Di conseguenza agiscono più rapidamente, e in dosi moderate».

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Come funzionano? Colpiscono selettivamente una delle sostanze chiave del processo infiammatorio. «La citochina detta Tnf-alfa», precisa Gasbarrini. «Inattivandola, l’infiammazione tende a ridursi e a spegnersi».
Infliximab e adalimumab, anticorpi monoclonali anti-TNF alfa, sono gli attuali biologici approvati in Italia per il trattamento della malattia di Crohn moderata/severa dopo il fallimento o l’intolleranza alle terapie tradizionali. Infliximab, inoltre, è l’unico farmaco biologico approvato in Italia per il trattamento della rettocolite ulcerosa moderata/severa dopo il fallimento o l’intolleranza alle terapie tradizionali.
«L’efficacia ottenuta con questi farmaci e la possibilità potenziale che gli stessi possano modificare la storia naturale della malattia di Crohn e della rettocolite ulcerosa stanno cominciando a cambiare l’approccio tradizionale verso le malattie infiammatorie croniche intestinali», dice Alessandro Armuzzi, ricercatore in gastroenterologia al Policlinico Gemelli in Roma. Benché l’efficacia di questi agenti sia stata chiaramente dimostrata (in termini di remissione clinica, risparmio dell’utilizzo di steroidi, chisura delle fistole perianali, ripristino dell’integrità macroscopica della mucosa intestinale, miglioramento della qualità della vita e riduzione delle ospedalizzazioni e degli inteventi chirurgici nel breve-medio termine) le strategie ottimali di trattamento sono a oggi ancora discusse.

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In particolare, recenti studi suggeriscono un utilizzo degli anti-TNF alfa nelle fasi iniziali della malattia di Crohn, per prevenire eventuali successive complicanze. Un recente studio (studio SONIC), pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha messo a confronto in 508 pazienti con malattia di Crohn moderata-severa, e naive a biologici (come infliximab ed adalimumab) ed immunosoppressori tradizionali (come azatioprina e metotrexate), infliximab con azatioprina. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi: al primo è stato somministrato il solo immunomodulatore (cioè azatioprina + placebo); al secondo la sola terapia biologica (cioè infliximab + placebo) ed infine al terzo la terapia biologica in associazione con l’immunomodulatore (cioè infliximab + azatioprina). Obiettivo principale dello studio era quello di dimostrare quale strategia terapeutica consentiva di ottenere la remissione clinica dopo sei mesi senza l’utilizzo di steroidi. I risultati non hanno mostrato che il 57% dei pazienti trattati con infliximab in associazione ad azatioprina e il 44% di quelli trattati con infliximab in monoterapia hanno raggiunto la remissione della malattia senza steroidi, rispetto al 30% dei pazienti trattati con sola azatioprina.
Un secondo obiettivo dello studio è stato quello di capire quale delle tre strategie terapeutiche consentisse un maggiore ripristino dell’integrità macroscopica della mucosa intestinale (la cosiddetta guarigione della mucosa): anche in questo caso il farmaco biologico è risultato più efficace del trattamento con immunosoppressore tradizionale, determinando guarigione della mucosa nel 44% dei pazienti trattati con infliximab in associazione con azatioprina e nel 30% di quelli trattati con infliximab in monoterapia rispetto al 17% di quelli ai quali era stata somministrata la sola azatioprina.

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Il rischio potenziale di importanti eventi avversi e i costi legati a questo tipo di terapia impone, tuttavia, un’attenta selezione dei pazienti che potrebbero beneficiare di un tale tipo di approccio terapeutico. Una volta introdotta la terapia biologica, il mantenimento schedulato con la stessa è raccomandabile per minimizzare il rischio di perdita di risposta. Nonostante ciò adattamenti di trattamento sono necessari in circa il 30-40% dei pazienti, comprendendo aumenti di dose o riduzione degli intervalli di somministrazione.
Nei casi in cui la risposta non venga recuperata con questo tipo di interventi, lo switch a un altro agente biologico (il passaggio da infliximab ad adalimumab o viceversa) può permettere un recupero della remissione clinica in un discreto numero di pazienti. Non è ancora chiaro, infine, quando la terapia biologica debba essere sospesa nei pazienti con remissione clinica prolungata. La strategia che viene adottata in questi casi viene decisa sul singolo paziente, valutando attentamente il rapporto rischio/beneficio caso per caso.

Con le cure niente bisturi
Ma meno male che ci sono le cure, perché il Crohn non curato finisce col causare restringimenti, stenosi intestinali e il gravissimo megacolon tossico, conseguenze che una volta portavano a interventi per togliere intere porzioni di intestino. Oggi, invece, il ricorso alla chirurgia è raro.
Resta il fatto che tutti questi rimedi intervengono sui sintomi e non sulla malattia in sé. Di cui finora non si conosce la causa. «In questa infiammazione profonda del tessuto intestinale dovuta a fenomeni autoimmuni c’è un substrato genetico, ma non si è ancora capito quale», dice Sandro Ardizzone, docente di gastroenterologia alla Statale di Milano. «Per ora si è visto che la mutazione di un gene, il Nod 2, sembra associata al Crohn e alla sua forma stenosante. Ma, di fatto, la malattia si presenta solo nel 20% dei casi in cui si riscontra il gene mutato». Capire la vera natura del Crohn è la sfida di domani.
Daniele Razzoli – OK La salute prima di tutto

Ultimo aggiornamento: 19 luglio 2010

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