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Adenomiosi: quando l’endometriosi attacca i muscoli

È una malattia dell’utero difficile da diagnosticare, ma le terapie più recenti consentono di preservare la fertilità

È parente stretta dell’endometriosi, presenta sintomi e complicanze simili, ma colpisce in prevalenza donne più adulte, sempre però nell’età fertile. Ecco perché l’adenomiosi non va mai ignorata e sottovalutata. In molti casi viene confusa con la fibromatosi o l’iperplasia dell’endometrio, perché si colloca nella parete dell’utero e non intacca altri organi, come accade invece per l’endometriosi. Così, la difficoltà di una diagnosi corretta e i tempi lunghi prima di dare un nome alla malattia possono peggiorare la qualità della vita di chi ne soffre.

Che cos’è l’adenomiosi?

«L’adenomiosi uterina è una malattia in cui l’endometrio, cioè il tessuto che riveste l’utero all’interno e che si sfalda e sanguina durante le mestruazioni, è presente dove non dovrebbe, cioè nella parete muscolare dell’utero, il miometrio»,spiega Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia all’Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona). Per questo motivo viene chiamata anche endometriosi interna. Può essere localizzata oppure interessare ampie aree, dando luogo all’adenomiosi diffusa. «Le cause non sono ancora del tutto conosciute: aborti, endometriosi, parti multipli e interventi chirurgici all’utero per rimozione di fibromi o di focolai di endometriosi possono predisporre l’utero alla malattia, rendendolo più permeabile all’infiltrazione del sangue mestruale dall’interno», continua lo specialista.

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Gli esami necessari

Non è semplice riconoscere la malattia, anche perché in alcuni casi è asintomatica e magari è una gravidanza che tarda ad arrivare a far suonare il campanello d’allarme. Più frequentemente, però, chi soffre di questa patologia sviluppa sintomi che possono essere anche molto invalidanti, come mestruazioni molto dolorose e abbondanti e anche metrorragie, cioè perdite di sangue copiose al di fuori dal periodo mestruale. «Per confermare che i sintomi siano l’effettiva spia della malattia è necessaria un’ecografia trans-vaginale con valutazione Doppler, esame che fornisce un quadro più chiaro e consente d’indirizzarsi verso la terapia più adeguata», sottolinea Ceccaroni. «In alcuni casi, il medico può richiedere anche una risonanza magnetica e un’isteroscopia diagnostica per approfondire le indagini e ricostruire una vera e propria mappa dell’utero».

Si può evitare l’isterectomia 

Fino a pochi anni fa, la terapia per l’adenomiosi sintomatica si limitava quasi esclusivamente alla prescrizione di ormoni e, quando la malattia non rispondeva alla cura ormonale, all’intervento di asportazione dell’utero (isterectomia) o di porzioni di utero. Oggi questa soluzione drastica è in molti casi evitabile e la terapia è per così dire personalizzata, perché si tiene conto dell’età della paziente, dei sintomi, del desiderio di maternità, della localizzazione e dell’estensione della lesione.

Il calore che cura

Tra le tecniche più innovative c’è l’MRgFUS, una procedura non invasiva che sfrutta gli ultrasuoni per distruggere i noduli di adenomiosi senza alterare i tessuti sani circostanti. «L’energia degli ultrasuoni produce un innalzamento della temperatura sufficiente a determinare un’ablazione, cioè una distruzione delle cellule provocata dal calore», spiega il ginecologo. «La procedura si effettua contestualmente alla risonanza magnetica, il che consente un intervento mirato e il monitoraggio continuo di tutto il trattamento. L’MRgFUS si esegue in sedazione, ha una durata di tre-quattro ore e prevede la degenza di un paio di giorni». La tecnica è diffusa in Italia e viene praticata in diversi ospedali a Milano, Palermo, L’Aquila e Verona.

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Le altre termoablazioni

Risultati analoghi si possono ottenere tramite la termoablazione con radiofrequenza, una procedura indicata all’origine per il trattamento di tumori solidi non asportabili e, più recentemente, per il trattamento chirurgico conservativo dei fibromi uterini, che da circa quattro anni viene applicata anche per la cura dell’adenomiosi all’ospedale di Negrar, già centro di riferimento per la terapia chirurgica dell’endometriosi profonda. «Ci serviamo di un particolare ago che emette radiofrequenze, inserito nell’utero per via laparoscopica e sotto guida ecografica», spiega Ceccaroni. «Una volta individuata la lesione, il nodulo di adenomiosi viene surriscaldato fino a 98 gradi. Grazie a questa temperatura il tessuto malato va incontro a un fenomeno di morte cellulare che lo trasforma progressivamente in una piccola cicatrice nell’arco di sei mesi. Con questo intervento si possono ottenere buoni risultati sulla sintomatologia, senza dover rimuovere l’utero». L’intervento avviene in una sola seduta e la paziente viene dimessa il giorno seguente. «La termoablazione con radiofrequenza è utilizzata per la cura dell’adenomiosi focale, ossia raggruppata in noduli profondi del miometrio», precisa il ginecologo. «Quando l’adenomiosi è diffusa e superficiale, utilizziamo un trattamento con un laser ad argon che “brucia” la superficie esterna dell’utero».

L’ipertensione o pressione alta

Sei mesi di attesa prima della gravidanza 

Dopo tutti e tre gli interventi (MRgFUS, termoablazione con radiofrequenza e termoablazione con laser ad Argon) le possibilità di rimanere incinta sono maggiori. Le pareti dell’utero, infatti, sono «pulite» e idonee all’annidamento e alla crescita dell’embrione. «A seconda dei casi, si può tentare una gravidanza naturale o una procreazione medicalmente assistita (Pma)», conclude Ceccaroni. «Ma, per iniziare a cercare un bambino dopo l’intervento, è necessario aspettare almeno sei mesi perché le aree sottoposte al forte calore cicatrizzino, i sintomi si riducano drasticamente e l’utero sia nelle condizioni ottimali per l’annidamento di un embrione». Fecondazione eterologa: ecco qual è la situazione in Italia.

Gestire l’infiammazione
attraverso l’alimentazione

Un elemento che caratterizza l’adenomiosi uterina è uno stato infiammatorio cronico che può essere controllato anche attraverso l’alimentazione. Quali sono i cibi da ridurre? Quelli ricchi di omega 6, per esempio, precursori delle molecole infiammatorie: oli vegetali di mais, soia e di semi vari, margarine. Per non supportare i processi infiammatori, meglio ridurre anche lo zucchero, sia quello aggiunto (nei dolci e nelle bevande) sia quello nascosto in tantissimi alimenti. Cautela anche con alcolici, caffeina e soia. I primi due vanno limitati, perché sembra peggiorino i crampi addominali. Per quanto riguarda la soia, contiene fitoestrogeni che si aggiungono a quelli già circolanti e che provocano infiammazione.

Sempre vietato il fai-da-te

In ogni caso, le linee guida sulla dieta in caso di endometriosi e adenomiosi devono sempre essere indicate da uno specialista (medico, dietologo, nutrizionista) esperto della malattia. Il fai-da-te e le esclusioni immotivate (come il glutine e il lattosio) possono provocare carenze e disturbi anche gravi.

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