Sessualità

Dimensioni del pene: l’inquinamento le riduce

Il pene piccolo è la più evidente conseguenza dell’esposizione ai cosiddetti interferenti endocrini, sostanze inquinanti presenti nelle pellicole per cibi, nelle vernici, nei cosmetici

La mia ultima pubblicazione sulla rivista scientifica Andrology si intitola, traducendo dall’inglese, «Misurazione delle dimensioni del pene di 14.597 vietnamiti». È il risultato di una nuova collaborazione assai efficiente con la facoltà di medicina di Hanoi, la più antica del Vietnam. Quando abbiamo scelto il titolo con i bravissimi colleghi asiatici che hanno raccolto quella che è forse la banca dati più numerosa del mondo sulle dimensioni peniene mi è subito venuto in mente lo stralunato e grottesco romanzo erotico di Guillaume Apollinaire, il grande poeta francese del Novecento: “Le Undicimila Verghe”. E a questo testo rimando i più curiosi e smaliziati. 

Dimensioni del pene: il primato di vietnamiti e portoghesi

I dati dell’indagine hanno dimostrato, per usare la terminologia apollinairiana, che le quasi quindicimila verghe vietnamite sono lunghe in media 9,03 centimetri in flaccidità. E ben 14,67 per la lunghezza manualmente allungata (stretching, si chiama tecnicamente, come in palestra), un parametro utilizzato dagli andrologi che si avvicina molto a quello altrimenti misurabile in erezione.

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I vietnamiti hanno un pene un po’ più lungo degli altri, apparentemente superati solo dai portoghesi (vedi la “classifica” in fondo). Ma attenzione. Perché, indipendentemente dalle variazioni regionali, magari più dovute ai metodi utilizzati per misurarle che a reali differenze anatomiche, c’è un fantasma che sia aggira nelle alcove di tutti i maschi. Uno spettro che punta a ridimensionare le dimensioni peniene e verosimilmente testicolari. Questo incubo ha il nome di interferente endocrino.

Cosa sono gli interferenti endocrini?

Gli interferenti endocrini sono uno dei più tipici prodotti dell’inquinamento industriale. Sono generati soprattutto dai derivati della plastica e dalla sua degradazione ambientale. In pratica sono sostanze che simulano di essere ormoni, si sostituiscono a questi occupandone i recettori e bloccano o alterano una precisa risposta biologica.

Gli interferenti endocrini femminilizzano il maschio

Tra gli indiziati di queste gravi colpe ci sono bisfenolo A e parabeni, ma anche i famigerati ftalati (presenti largamente nel nostro quotidiano, tra l’altro nell’ubiquitario PVC, nelle pellicole per cibi, nelle vernici, nei cosmetici). Si comportano come chiavi false, occupando il recettore, cioè la serratura su cui normalmente si inserisce il testosterone impedendone l’azione biologica androgenizzante.

Non è un concetto troppo solido dal punto di vista scientifico, ma si potrebbe dire con una buona approssimazione che gli interferenti endocrini siano pseudo-estrogeni che femminilizzano, per così dire, gli individui che ne siano cronicamente esposti.

Dove si trovano gli interferenti endocrini

Essendo gli umani ai vertici della catena alimentare sono anche quelli che ne ricevono le quantità maggiori. Dalle acque passano alle verdure e alla frutta e da questi agli animali che ne divengono un serbatoio. Soprattutto se di allevamento. Gli americani (che sono tra i campioni mondiali della loro produzione, in compagnia delle nazioni più industrializzate) chiamano questi tossici «distruttori endocrini». Sostanze, cioè, che distruggono non tanto la produzione quanto l’attività biologica degli ormoni, soprattutto quelli maschili. 

Il lombardo-veneto non è solo una espressione geografica prerisorgimentale ma è anche la regione italiana più inquinata e tra le più contaminate d’Europa. La Val Padana deve a questo inquinamento industriale il proprio benessere economico. Ma non sempre quello sanitario, che si riflette in livelli ambientali di distruttori endocrini particolarmente alti.

Interferenti endocrini: effetti sulle dimensioni del pene

Carlo Foresta, andrologo ed endocrinologo dell’Università di Padova e membro del Consiglio Superiore di Sanità, ha condotto un importante studio, pubblicato sulla rivista Human Reproduction, sulla vita sessuale di un migliaio di giovani veneti esposti agli interferenti endocrini. E ha scoperto che in soli 15 anni si è assistito a una drammatica riduzione del numero degli spermatozoi (-18%, si è perso quasi uno spermatozoo ogni 5) accompagnati a precisi effetti morfologici di uno squilibrio ormonale. Il 36% dei veneti presenta un’apertura delle braccia superiore alla media. È segno di un’errata attività endocrina.

Ma c’è di più. Il team patavino ha riscontrato che son bastati cinque lustri di esposizione forzata ai distruttori endocrini per far perdere ai maschi veneti quasi un intero centimetro nella lunghezza del pene in stretching. Mentre più di un quinto di loro presentava un volume testicolare al di sotto dei 12 centilitri. Considerata la soglia della normalità.

Interferenti endocrini: effetti sulla morfologia

Foresta ha poi confermato i suoi dati con un’analisi morfologica ancora più sofisticata e sorprendente. Conoscendo, da endocrinologo, che uno dei parametri che rappresentano il grado di androgenizzazione a cui si è esposti durante la vita fetale è costituito dalla distanza tra l’ano e i genitali, l’ha misurata nel suo campione sperimentale. Trovandola nei giovani veneti di oggi più simile a quella delle donne (che producendo pochissimo testosterone ce l’hanno quindi normalmente ridotta) che a quella della generazione maschile precedente. Un altro colpo inesorabilmente inferto alla virilità e una prova ulteriore dell’effetto femminilizzante generato dall’enorme ed endemica diffusione degli interferenti endocrini.

Naturalmente i dati pubblicati dovranno essere confermati da altri laboratori di ricerca e in altri contesti socio-economici per verificare che l’effetto sia di proporzioni universali. È in programma in Vietnam con i miei studenti di Hanoi e l’ha già fatto un altro andrologo europeo, Niels Jørgensen, che ha dimostrato che una breve distanza ano-genitale significa, nei 1.106 danesi studiati, un raddoppio del rischio di infertilità.

Dimensioni del pene: cosa c’entra la vitamina D

Ma c’è anche un forte indizio sotto i nostri occhi che suggerisce questo legame. Ed è prodotto proprio dalla pandemia di Covid-19 che ormai sta funzionando come cartina al tornasole sia delle macro-scelte politiche dei governi. Sia di quelle su scala ridotta all’interno della coppia (me ne sono occupato nel mio recente libro “Uomini che piacciono alle donne” pubblicato per Sonzogno). È a tutti noto come il lombardo-veneto abbia il triste primato di essere una delle aree a maggior invadenza dell’infezione virale.

Anche questo record negativo è stato messo in relazione, tra l’altro, con l’inquinamento. Al dato epidemiologico se ne aggiunge un altro, che riconosce nella carenza di vitamina D, peraltro molto diffusa in Italia, un ulteriore fattore di rischio per lo sviluppo dell’infezione e della malattia da coronavirus (ne abbiamo parlato in questo articolo). Le vendite di questo integratore alimentare sono infatti fortemente aumentate negli ultimi mesi e si è registrato un incremento del prezzo non giustificato se non dall’aumento della richiesta in farmacia. 

Gli interferenti endocrini riducono l’assorbimento della vitamina D

Secondo i ricercatori di Padova la carenza di vitamina D sarebbe un altro fattore che riduce le dimensioni delle gonadi. E questa ipovitaminosi sarebbe, guarda caso, ancora una volta da imputare anche all’inquinamento e ai distruttori endocrini. Capaci di interferire anche col recettore della vitamina D. Importante per la funzione gonadica maschile e per la stessa funzione erettile che, sempre secondo Foresta, sarebbe ridotta nei diabetici carenti della vitamina.

Quindi, da una parte l’inquinamento aumenta il rischio di Covid, dall’altra produce interferenti endocrini che ridurrebbero le dimensioni dei genitali maschili anche attraverso un’incapacità della vitamina D di fare il suo lavoro. Questa, a sua volta, funzionerebbe come fattore di rischio per lo sviluppo della malattia che ha segnato la nostra generazione. Insomma, in questo discorso complesso, dove sembra tutto molto collegato, si riconosce uno tra i tanti colpevoli della de-virilizzazione del maschio proprio nell’inquinamento da distruttori endocrini.

Se volessimo ascoltare quello che la natura e l’epidemiologia ci insegnano a prezzo di così gravi rischi per la salute e per le emozioni e di così severe sofferenze sociali ed economiche dovremmo ripensare quei modelli di sviluppo centrati esclusivamente sul guadagno più ampio e facile possibile. Assai poco lungimiranti e magari capaci di minare la stessa mascolinità e la salute generale della popolazione.

Dimensioni del pene: la latitudine fa la differenza

Nelle misure del pene conta anche la variabile geografica. Come si evince dalla tabella qui sotto. Tutti i dati riportati appartengono a diversi lavori scientifici compiuti con diverse metodiche e diverse numerosità.

La comparazione è quindi puramente indicativa. Come dimostra la presenza, in alcuni casi, di una doppia misurazione, effettuata da diversi gruppi di ricerca e nella maggior parte dei casi ottenuta da indagini scientifiche non recenti.

  • Coreani: 9,60 cm
  • Iraniani: 11,58 cm
  • Greci: 12,18 cm
  • Statunitensi: 12,40 cm
  • Italiani: 12,50 cm
  • Cinesi: 12,90 cm
  • Egiziani: 12,90-13,84 cm
  • Britannici: 13,24-14,30 cm
  • Giordani: 13,50 cm
  • Turchi: 13,70-13,98 cm
  • Vietnamiti: 14,67 cm
  • Portoghesi: 16,50 cm

Emmanuele A. Jannini

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