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Fascite plantare: perché viene, quali sono i sintomi, come si cura

Quando la sede di inserzione della fascia plantare a livello del calcagno è sottoposta a tensione eccessiva, questa si infiamma e dà origine a un dolore acuto, che migliora solo con il riscaldamento

Tanti atleti professionisti hanno dovuto fare i conti con la fascite plantare, un disturbo fastidioso e subdolo che li ha costretti ad astenersi da allenamenti e competizioni ufficiali per giorni o, addirittura, settimane. Ma se pensate che questo problema sia appannaggio di chi pratica attività fisica agonistica o amatoriale, vi sbagliate di grosso.

«La fascia plantare, o aponeurosi plantare, è un legamento che disegna e sostiene l’arco del piede, unendo l’osso del tallone, cioè il calcagno, con la base delle dita», interviene Simone Ripanti, specialista in Ortopedia e Traumatologia presso l’Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma. «Proprio come le fondamenta di un palazzo, questo tessuto fibroso ed elastico supporta il piede e, allungandosi e accorciandosi in continuazione durante la deambulazione o l’esercizio fisico, ammortizza il peso e i movimenti del corpo. Se la sede di inserzione di questo legamento a livello del calcagno è sottoposta a tensione eccessiva, questa si infiamma e dà origine appunto alla fascite plantare».

Gruppo San Donato

Fascite plantare: quali sono le cause?

Corridori, saltatori, marciatori, calciatori e tennisti hanno più probabilità di andare incontro a questo disturbo proprio perché la loro fascia plantare è sollecitata incessantemente. Gli atleti, quindi, difficilmente possono prevenire questo processo infiammatorio; l’unica cosa che possono fare è cercare di non indossare scarpe da ginnastica logore, che possono pregiudicare il sistema di ammortizzamento del corpo.

Tuttavia, anche chi non fa attività fisica, o la fa saltuariamente, può incappare in questa problematica. «La fascite plantare, infatti, può insorgere anche negli individui che, per conformazione personale, presentano un’esagerata concavità dell’arcata, cioè il cosiddetto piede cavo», continua l’ortopedico. «In questo caso l’infiammazione si innesca perché l’area di appoggio è limitata esclusivamente alla parte anteriore e al calcagno, che dunque risultano sotto pressione più del dovuto.

Tra i fattori predisponenti, però, ci sono anche l’obesità, che grava su numerose strutture del corpo tra cui anche il piede, l’uso di calzature inadeguate e lo svolgimento di mansioni che costringono a stare in piedi per molte ore». Per questi motivi, per tenere alla larga il disturbo, bisognerebbe cercare di controllare il proprio peso corporeo, limitare l’impiego di scarpe con la suola molto piatta, come ballerine e infradito, o di décolleté vertiginose e scaricare ogni tanto il calcagno dalla mole corporea, sedendosi o sdraiandosi.

Quali sono i sintomi?

La fascite è caratterizzata da un dolore acuto, che tende a manifestarsi dopo il riposo notturno, cioè non appena ci si alza dal letto e si appoggia il piede a terra. «Questa condizione dolorosa è circoscritta al tallone ma, nella maggior parte dei casi, il paziente non è in grado di localizzare il punto dolente esatto perché percepisce un fastidio diffuso, poco definito, seppur intenso», conferma lo specialista.

«Come tutte le manifestazioni dolorose di questa natura, anche quella caratteristica della fascite plantare migliora sensibilmente con il riscaldamento, cioè continuando a camminare. Infatti chi ha questo disturbo riferisce quasi sempre di stare meglio nell’arco della giornata, per poi subire nuovamente un peggioramento in serata, quando il piede è affaticato e ci si dedica finalmente al riposo. Non a caso molte persone lamentano dolore proprio quando si riprende a muoversi in seguito a diverse ore di immobilità, come dopo un viaggio in aereo o uno spettacolo teatrale».

Anche per gli sportivi il meccanismo è il medesimo: le fitte nell’area del tallone sono più martellanti nella fase iniziale dell’allenamento, per poi scomparire man mano che si prosegue con l’attività e ricomparire una volta terminato il training.

Fascite plantare: come si fa la diagnosi?

Sebbene non sempre il paziente riesca a circoscrivere la sede dolente del piede, lo specialista è in grado, attraverso la palpazione e un’attenta valutazione clinica generale, di individuare immediatamente la struttura coinvolta nel processo infiammatorio e, dunque, di formulare una diagnosi.

Lo specialista verifica se c’è anche una spina calcaneale

Quest’ultima può essere completata con esami di secondo livello, come ad esempio una risonanza magnetica, indicata solo nei casi in cui è necessario indagare cause di altra natura come uno schiacciamento nervoso, o una radiografia, per verificare se è presente o meno una spina calcaneale (o calcaneare). Il 20% degli individui con fascite plantare, infatti, sviluppa una calcificazione del calcagno, proprio dove si inserisce il tessuto fibroso in questione.

«Come abbiamo visto, nelle persone maggiormente a rischio l’aponeurosi plantare subisce una trazione eccessiva, costringendo l’osso calcaneale a “seguirla” nei suoi frenetici movimenti», spiega Ripanti. «Dal canto suo il calcagno, obbligato a subire traumi continui e ad allungarsi per consentire alla fascia piena mobilità, risponde a questa tensione creando uno speroncino di difesa, non tangibile né visibile a occhio nudo perché protetto dal pannicolo adiposo del tallone».

Bisogna comunque sottolineare che il dolore avvertito dal paziente è causato dall’infiammazione del legamento plantare e non da questa escrescenza ossea, di per sé totalmente asintomatica. Questo sperone, che a tutti gli effetti assume le sembianze di una spina, si forma in tutte quelle circostanze nelle quali il calcagno è sottoposto a uno smisurato sovraccarico, anche laddove non ci sia un processo infiammatorio in atto, ma non è in grado di innescare alcuna sintomatologia dolorosa.

«Nella stragrande maggioranza di casi questa “coda” ossea è innocua e non crea alcun problema, tant’è che molto spesso non si sa nemmeno di averla», continua l’ortopedico. «Anzi, capita che alcuni pazienti si sottopongano a una radiografia del piede per altre motivazioni e si accorgano, in quella circostanza, di avere una spina calcaneale. Si tratta, quindi, di un reperto radiografico occasionale, che viene cioè scoperto quasi per caso e lasciato lì dov’è perché non comporta alcun disturbo».

Come si cura?

Trattamento farmacologico

Nel 90% dei casi la fascite plantare, accompagnata o meno da spina calcaneale, si risolve totalmente con una terapia conservativa nel giro di qualche settimana. «Per alleviare la sintomatologia dolorosa e ridurre l’infiammazione in corso si opta, almeno inizialmente, per un trattamento farmacologico a base di antidolorifici e antinfiammatori o per infiltrazioni locali con corticosteroidi», spiega Ripanti.

Sostegni e terapie fisiche

«A ciò si aggiunge la possibilità di utilizzare un sostegno podalico, come una talloniera in silicone, che possa compensare l’assetto del piede e scaricare la parte dolente, o un’ortesi plantare, per rimodellare l’arcata e ridurre il carico nella zona più critica. Anche le terapie fisiche, come la tecar e le onde d’urto, si sono rivelate efficaci nella cura della fascite plantare perché smorzano il processo infiammatorio e favoriscono la rigenerazione legamentosa. Questi trattamenti vanno sempre associati a degli esercizi di stretching, che aiutano a distendere i tessuti vicini al calcagno, tra cui anche l’aponeurosi plantare».

Gli sportivi devono immediatamente sospendere allenamenti e gare già alle prime avvisaglie di fascite plantare: ignorare il disturbo, sopprimendo il dolore con farmaci antidolorifici, può solo peggiorare la prognosi, pregiudicare il trattamento futuro e allungare notevolmente i tempi di ripresa. Se il dolore è molto intenso, tanto da impedire una corretta deambulazione, il paziente non deve esitare a utilizzare delle stampelle per scaricare il calcagno dolente.

Intervento chirurgico

In una percentuale modestissima di casi – o perché il problema è stato a lungo ignorato o perché le terapie conservative si sono rivelate inefficaci – l’infiammazione può diventare cronica e il dolore può permanere anche per alcuni mesi. «Per questi individui, che sono soprattutto atleti professionisti, c’è la possibilità di eseguire un intervento chirurgico, che ha l’obiettivo di eliminare la tensione e ripristinare l’allungamento della fascia», conclude l’esperto.

«Con una piccola incisione sulla pianta del piede, fatta in anestesia loco-regionale, si raggiunge la sede di inserzione del calcagno con il legamento e su quest’ultimo si effettuano dei micro-taglietti, in modo da allentare la trazione. Distaccandola leggermente dall’osso, la fascia si distende e il dolore si attenua immediatamente. Contestualmente, si procede con la fresatura della spina calcaneale, laddove sia presente».

Esercizi di stretching

Lo stretching è un valido alleato nel contrastare la fascite plantare perché aiuta a distendere questo legamento, smorzando la tensione a livello del calcagno, ma anche tutti gli altri tessuti affini. Gli esercizi andrebbero eseguiti ogni giorno, soprattutto al mattino appena svegli o alla sera prima di andare a letto, almeno fino alla scomparsa della sintomatologia dolorosa.

Alza e abbassa le dita dei piedi

Rimani in piedi (preferibilmente senza scarpe), distanziando le gambe di almeno dieci centimetri. Alza e abbassa dolcemente le dita del piede dolente (ma, volendo, anche di quello sano) per almeno dieci volte.

Afferra un fazzoletto con le dita dei piedi

Metti un fazzoletto di carta o un tovagliolo sotto al piede e cerca di afferrarlo e sollevarlo con le dita. Rilascia e riprova ancora 4-5 volte.

Oscilla sui talloni

Porta il peso del corpo sulle punte dei piedi e poi, con un movimento dolce e fluttuante, spostati sui talloni. Continua con questo moto ondulatorio per almeno dieci volte.

Fai scorrere un foot roller sotto la pianta

Fai scorrere sotto al piede un foot roller, cioè un cilindro realizzato proprio per lo stretching plantare, avanti e indietro. In assenza di questo strumento va bene anche una bottiglietta d’acqua, meglio ancora se fresca di frigorifero.

Crea tensione nel piede dolente

Mettiti di fronte a una parete, a un metro di distanza. Colloca la gamba con il piede dolente dietro all’altra, fino a disegnare una sorta di triangolo. Appoggia le mani al muro e inclina il busto in avanti, in modo da sentire una lieve tensione nell’arto e nel piede posteriori.

Usa una fascia elastica

Siediti a terra, stendi la gamba con il piede dolente a martello e piega l’altra. Con una fascia elastica o un asciugamano afferra la pianta con la fascite e, impugnando le estremità, tira verso il corpo. Mantieni la posizione per almeno venti secondi e poi rilascia. Ripeti per 4-5 volte.

Abbassa il tallone

Sali su uno scalino con entrambi i piedi e aggrappati alla ringhiera. Sposta indietro il piede dolente, in modo che le dita siano appoggiate e il tallone sia invece libero. Abbassa quest’ultimo fino a sentire tensione nel polpaccio e mantieni la posizione per almeno venti secondi. Ripeti per 4-5 volte.

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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