Cervello

Il Covid ci ha reso più paranoici?

La pandemia ha avuto un impatto negativo soprattutto sulle persone che soffrono di disturbo ossessivo compulsivo

Da tempo Anita, 28 anni, non entra nei bagni pubblici. Si rifiuta di mangiare i cibi che non ha lavato lei stessa. Non vuole essere abbracciata da nessuno. E guai a salire in metro, sul treno o su un bus. Ogni giorno si lava le mani con la candeggina fino a quando la pelle si taglia e inizia a sanguinare.

Francesca, che di anni ne ha 43, per evitare di trasferire i germi da una parte all’altra della casa, ha designato un paio di calzature diverso per ogni stanza. Per andare dalla cucina al soggiorno fino alla lavanderia si cambia le ciabatte tre volte. In tempi di Covid, entrambe si sono convinte che il loro comportamento sia appropriato, che sia, anzi, indispensabile per tenere alla larga il famigerato virus.

Gruppo San Donato

Il Covid ha giustificato i comportamenti paranoici

«Chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo correlato alla paura dei germi e di altri contaminanti ha trovato nella pandemia una sorta di validazione delle proprie azioni», spiega Maria Cristina Cavallini, psichiatra del Centro disturbi dell’umore dell’ospedale San Raffaele di Milano. «Come se l’emergenza avesse in qualche modo legittimato le paure irrazionali e le precauzioni eccessive preesistenti. Autorizzando a continuare i comportamenti patologici intrapresi».

Il disturbo ossessivo compulsivo è peggiorato

Secondo alcuni studi questo tipo di disturbo sarebbe anche peggiorato durante l’epidemia. Una ricerca pubblicata nel 2021 sul Journal of Anxiety Disorders ed effettuata dagli studiosi dell’Università di Amburgo, in Germania, ha evidenziato che, su 394 partecipanti con DOC (disturbo ossessivo compulsivo), il 72% ha riportato un acuirsi delle problematiche. E nello specifico i pazienti con compulsioni di lavaggio. Un’altra indagine, pubblicata nel 2020 su The Lancet Psichiatry e condotta dai ricercatori dell’Università di Amsterdam, nei Paesi Bassi, ha messo in luce che l’emergenza sanitaria ha, in effetti, avuto un impatto negativo sulle persone con questo genere di malattia. Pur non essendosi aggravati i sintomi rispetto al periodo precedente la pandemia.

Le manie

Se il terrore dei microbi e dei patogeni è una delle manifestazioni più comuni del disturbo ossessivo compulsivo, non è certo l’unica. Oltre a questa, ci sono, infatti, il timore di nuocere a sé stessi o ad altri, di andare incontro a eventi nefasti, di ammalarsi o farsi male. Di perdere il controllo del linguaggio o degli impulsi sessuali. Di gettare oggetti anche se inutili, come vecchi quotidiani, bottiglie o pacchetti di sigarette vuoti, confezioni di alimenti. Per tutta risposta, scatta una varietà di comportamenti, comunemente definiti «manie». Come controllare ripetutamente di avere chiuso la porta di casa o le finestre, la manopola del gas o il rubinetto dell’acqua, le portiere della macchina, la saracinesca del garage. Oppure contare o ripetere rime dentro di sé o ancora eseguire operazioni aritmetiche. O ancora allineare e ordinare secondo una precisa sequenza libri, penne, asciugamani, cd, abiti, piatti o pentole.

Anche se la patologia può avere varie manifestazioni, il meccanismo sotteso è sempre lo stesso. «Come suggerisce il nome, il disturbo è caratterizzato dalla presenza di due unità. Le ossessioni, cioè idee, immagini, impulsi ricorrenti e intrusivi che creano angoscia, e le compulsioni, ovvero comportamenti, rituali, azioni mentali. Servono a sedare l’ansia e la paura derivanti dai pensieri stessi», chiarisce la specialista.

Le compulsioni per scacciare le ossessioni

Tanti hanno probabilmente vissuto l’esperienza di sentire la propria mente invasa da un pensiero irrazionale e magari sgradito o sconveniente. A qualcuno, per esempio, può venire in mente, nel bel mezzo di un’importante riunione di lavoro, di sparare parolacce e di mandare a quel paese i propri capi, per poi andarsene sbattendo la porta. La persona sana è in grado di scacciare questi pensieri e di non pensarci più. Chi soffre del DOC è, invece, perseguitato da idee irrazionali. Che avverte come infondate e prive di senso, ma non riesce ad allontanarle. Le fissazioni (ovvero le idee intrusive) invadono il suo cervello. E, come conseguenza, si sviluppano azioni obbligate.

Gesti che si possono ripetere più e più volte, in cicli infiniti, perché l’ansia ritorna sempre. A volte le compulsioni hanno con le idee che le generano un rapporto del tutto casuale, o basato su una sorta di pensiero magico. Per esempio, un uomo che non riesce a fare a meno di immaginarsi una possibile sciagura, magari un incidente d’auto, può pensare di scampare all’evento evitando di calpestare le fessure tra le mattonelle. La strategia ovviamente non crea più sicurezza sulle strade, però attenua, almeno momentaneamente, la sua angoscia.

Quando il disturbo ossessivo diventa serio?

La patologia vera e propria fa capolino quando questi rituali non possono essere evitati. Se non a prezzo di un’ansia che sale alle stelle. E soprattutto quando il loro numero e la loro complessità aumentano, interferendo con le attività quotidiane. Per intenderci, prendiamo una persona con l’ossessione dello sporco. Se la forma è lieve, si laverà le mani un po’ più spesso degli altri e farà qualche doccia e qualche lavatrice in più. Un problema con il quale si può anche convivere, magari senza neppure sentirsi troppo strani. Se la forma è più seria, invece, le operazioni di igiene arrivano a impegnare anche diverse ore della giornata. Impedendo, per esempio, di studiare per un esame o di arrivare puntuali in ufficio.

Il disagio può comparire da bambini

Secondo i più recenti dati, la malattia non è rara. Ne soffre l’1-3% della popolazione. Insorge più frequentemente tra i 15 e i 25 anni. Con una leggera prevalenza nei maschi rispetto alle femmine. Ma può comparire anche nei bambini. Un caso tipico è quello del bimbo che, preoccupato per l’incolumità dei genitori, si sveglia molte volte nel corso della notte per controllare se sono nel loro letto e se respirano.

I test per individuare il disturbo

«Spesso è il paziente stesso che, avvertendo un profondo disagio, si rivolge allo specialista psichiatra per chiedere aiuto», evidenzia Cavallini. «Dopo un approfondito colloquio iniziale, il medico sottopone l’assistito ad alcuni test per valutare l’intensità del disturbo». Per quantificarlo può essere utilizzata la scala americana Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale. Propone un elenco di 39 ossessioni e 25 compulsioni. Oppure il questionario Padua Inventory, costituito da 60 domande.

Curare il disturbo ossessivo compulsivo

La terapia cognitivo comportamentale

Una volta accertata la presenza della patologia, è bene correre ai ripari il prima possibile. «A oggi la terapia è integrata e va mantenuta per lunghi periodi di tempo. In alcuni casi anche per tutta la vita», rende noto la psichiatra. Una prima opzione di trattamento è la terapia cognitivo-comportamentale. Un tipo di psicoterapia composta da diverse strategie.

La più importante, nel caso del disturbo ossessivo compulsivo, è quella che gli esperti definiscono esposizione con prevenzione della risposta. In pratica, il paziente deve entrare in contatto gradualmente con ciò che lo rende ansioso e imporsi di non mettere in atto il comportamento compulsivo. Perseverando finché non nota una diminuzione dell’ansia. Quest’ultima tende, infatti, a decrescere in modo spontaneo e, dopo varie esposizioni, a ridursi significativamente. «Si tratta di una terapia impegnativa. Che richiede costanza e la disponibilità a tollerare, almeno in fase iniziale, un’ansia anche molto intensa», avverte Cavallini. In genere sono previste una o due sedute alla settimana, della durata di 45 minuti ciascuna, per un periodo da sei mesi a un anno almeno. Gli esercizi possono essere svolti dal paziente in autonomia. Oppure, quando necessario, con il supporto del terapeuta.

Farmaci

Al trattamento psicoterapico spesso si associano i farmaci antidepressivi ad alti dosaggi. In particolare gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Ad esempio fluoxetina, paroxetina, fluovoxamina, sertralina.  

Stimolazione magnetica transcranica

«Nel caso dei pazienti (circa il 30%) che non ottengono miglioramenti con queste terapie, è possibile provare altri approcci», prosegue la specialista. «Per esempio, si potrebbe aggiungere ai farmaci la stimolazione magnetica transcranica. Una terapia non invasiva che prevede l’applicazione sulla testa del paziente di un apposito dispositivo che genera un campo magnetico in grado di provocare delle micro-correnti elettriche, superficiali o profonde. Stimolano la regione orbito-frontale del cervello, inibendo i circuiti che generano il pensiero ossessivo. Di solito vengono effettuate circa dieci-venti sedute in ambulatorio, della durata di venti minuti ciascuna». 

Psicochirurgia

Un’altra tecnica che può essere impiegata nei pazienti molto gravi e refrattari ai trattamenti sopra descritti è la psicochirurgia (o deep brain stimulation). Una terapia analoga a quella che viene utilizzata per trattare il morbo di Parkinson, la sindrome di Tourette o le forme più gravi di epilessia. «Si tratta di un intervento neurochirurgico, eseguito in anestesia locale, durante il quale il chirurgo perfora il cranio con un trapano», spiega Cavallini. «Inserisce, quindi, in specifiche aree del cervello degli elettrocateteri e posiziona un dispositivo, simile a un pacemaker cardiaco, sotto la pelle vicino alla clavicola o nella zona addominale. Quest’ultimo invia degli impulsi elettrici agli elettrodi, bloccando i segnali che provocano i sintomi. Il dispositivo può essere comandato senza fili da un programmatore esterno che consente di adeguare i parametri della stimolazione o di spegnerlo qualora fosse necessario».

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