FobieSalute Mentale

Rupofobia: quando lavarsi le mani diventa un’ossessione

Le norme igieniche dovrebbero essere rispettate sempre, e non solo in periodi di epidemie. Ma ci sono comportamenti che sfociano nella mania: gli esperti la chiamano rupofobia

Lavarsi le mani e disinfettare le superfici è giustissimo ma per qualcuno può diventare un’ossessione. «Alcuni individui mettono in atto comportamenti dettati dall’ansia, che prende il nome di rupofobia, dal greco “rupos”, che significa sporco», spiega Marco Locatelli, psichiatra dell’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro di Milano. Non è sempre facile distinguere un rupofobico da una persona che si attiene scrupolosamente ai consigli dell’Organizzazione mondiale della sanità. Quest’ultima, inoltre, ha addirittura promosso una giornata mondiale, il 5 maggio, dedicata al lavaggio delle mani. Abitudine, questa, che rappresenta la prima misura contro i contagi ed è considerato il mezzo più importante per prevenire la diffusione di infezioni.

Chi è ossessionato dalla pulizia non sa di esserlo

«Le persone esageratamente attente all’igiene ammettono con difficoltà di avere un problema», afferma Augusto Iossa Fasano, psichiatra e psicoanalista, fondatore e coordinatore del Centro di neuroscienze Metandro di Milano. «Per di più pensano che tutti gli altri sbaglino perché non osservano le loro pratiche per una corretta pulizia, personale e degli ambienti domestici e di lavoro».

Gruppo San Donato

Il rupofobico compie gesti ripetitivi

Spesso, le persone che manifestano la paura dello sporco e/o delle malattie, soffrono di disturbo ossessivo compulsivo. Le caratteristiche fondamentali sono le ossessioni, cioè pensieri, immagini, impulsi che provocano ansia e, quindi, disagio. Il contenuto delle ossessioni può essere di varia natura, dalla paura della contaminazione da sporco alla possibilità di contrarre una malattia, fino al ribrezzo nei confronti di determinati ambienti o situazioni. Ciò che definisce i pensieri ossessivi è il carattere di intrusività, ripetitività e persistenza. Abbiamo quindi comportamenti ripetitivi che possono assumere la forma di rituali, a volte complessi, il cui obiettivo è quello di contrastare la paura. Il pensiero ossessivo e la compulsione possono dare un sollievo solo temporaneo, perché, poi, il pensiero si ripresenta, spesso addirittura rinforzato.

Il rupofobico non tocca gli oggetti ritenuti sporchi

Le compulsioni (per esempio il lavaggio delle mani ripetuto numerose volte e con esagerata attenzione, a volte in modo ritualizzato) si possono, infine, associare a condotte di evitamento, che è l’altro meccanismo di difesa. Consiste nell’evitare il contatto con gli oggetti ritenuti sporchi o infetti. Senza contare che, spesso, anche i famigliari sono costretti a uniformarsi a uno stile comportamentale che tenga conto delle loro paure.

È probabile che ci siano altri rupofobici in famiglia

Le conseguenze del disturbo ossessivo compulsivo possono essere anche pesanti, fino a portare a ridurre o persino eliminare i rapporti sociali o modificare comportamenti propri e di chi sta vicino. «Spesso la rupofobia si accompagna all’estrema pignoleria e alla tendenza alla perfezione in ogni ambito», sottolinea Locatelli. «È molto probabile che all’origine del disturbo entrino in gioco sia fattori genetici sia ambientali. È spesso constatabile, infatti, che nelle famiglie di persone affette da questo problema vi siano altri famigliari con disagi analoghi».

Come aiutare chi è ossessionato dallo sporco?

Come affrontare il problema? Se si manifesta in forma lieve, come nella maggior parte dei casi, le persone che stanno accanto ai rupofobici possono aiutarli a modificare gradualmente l’atteggiamento. «È del tutto inutile prendere di petto gli ossessionati dalla pulizia e cercare di far loro capire con le maniere forti che stanno sbagliando», aggiunge Locatelli. «La conseguenza potrebbe essere una totale chiusura oppure una lite continua». Dialogare con loro, porre domande senza giudizio e stabilire compromessi è la chiave vincente per ammorbidire la loro angoscia e migliorare la qualità della vita di tutti. «Nei casi più gravi, invece», conclude Iossa Fasano, «la terapia farmacologica può essere accompagnata da psicoterapia».

Leggi anche…

None found

Mostra di più
Pulsante per tornare all'inizio