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Sei un perfezionista? Rischi di vivere insoddisfatto

Prima che l’eccessivo perfezionismo si ripercuota su lavoro, rapporti familiari, amicizie e tempo libero occorre fare un passo indietro

Che cosa hanno in comune il regista James Cameron, lo chef Carlo Cracco e il calciatore Cristiano Ronaldo? In aggiunta al talento, l’attitudine a essere meticolosi oltre ogni limite. In altre parole: un perfezionismo quasi maniacale.

Il primo, durante le riprese di Titanic, aveva più volte bacchettato la troupe, accusandola di non adeguarsi ai suoi elevati standard. L’ex conduttore di Master-Chef Italia, che mette tutto se stesso nel preparare perfino un piatto semplice come le verdure all’olio, s’incupisce se la cipolla di Tropea non è tagliata in quattro parti uguali e la carota di traverso. L’asso del pallone portoghese è noto per la cura maniacale nell’allenamento e non nasconde il suo disappunto ogni volta che fallisce un gol.

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Perfezionismo, una tendenza in aumento

La lista dei perfezionisti, noti e non, si allunga sempre di più fino a sfiorare il 3-5% della popolazione. Stando alle stime di un recente studio pubblicato sullo Psychological Bulletin. Una tendenza in progressivo aumento, a tutte le età e a tutti i livelli, ma soprattutto tra i giovani.

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Gli autori della ricerca hanno tenuto sotto osservazione quasi 42mila studenti per un periodo complessivo di 36 anni. In particolare, i ricercatori hanno considerato tre tipi di perfezionismo: auto-riferito (il desiderio di essere perfetti), indotto dalla società (la percezione di aspettative eccessive da parte degli altri), orientato all’esterno (in cui si pretendono cioè dagli altri standard non realistici).

Nel periodo analizzato il primo è risultato in aumento del 10%, il terzo del 16%, il secondo addirittura del 33%. Una sorta di epidemia, alla cui diffusione hanno contribuito anche i social media, come conferma il coordinatore dell’indagine Thomas Curran. «Il web aumenta il desiderio dei giovani di eccellere ed emergere, spingendoli alla continua insoddisfazione di sé».

Un dispendio di energie eccessivo

Certo non si può fare di tutta l’erba un fascio perché il perfezionismo è un po’ come il colesterolo. C’è quello buono e quello cattivo. «La persona con un sano bisogno di fare bene trae soddisfazione dal realizzare un buon lavoro. Esamina con obiettività e serenità gli eventuali errori per capire dove ha sbagliato e cosa può fare per migliorare. Si sente libera di essere meno precisa a seconda della situazione», distingue Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze e salute mentale dell’Azienda socio-sanitaria territoriale Fatebenefratelli-Sacco di Milano.

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«Al contrario, i perfezionisti eccessivi tendono ad avere standard di comportamento e aspettative irragionevoli, che sono molto difficili, se non impossibili, da soddisfare». Un ulteriore problema è quando alzano troppo l’asticella, ad esempio prefissandosi di scrivere un romanzo di successo, di fare una scoperta scientifica, di diventare amministratori delegati di un’azienda multinazionale.

Perenne senso di insoddisfazione

I perfezionisti maniacali raggiungono ogni risultato con il massimo sforzo, arrivando allo stremo delle energie. Non traggono soddisfazione da un lavoro ben svolto o da un traguardo raggiunto. Lo sminuiscono e hanno la costante sensazione che avrebbero potuto fare meglio. Nella loro testa frullano pensieri distorti, come spiegano lo psicologo Martin M. Antony e lo psichiatra Richard P. Swinson nel libro Nessuno è perfetto (Erickson).

Innanzitutto, i fissati del particolare ragionano nella modalità «tutto o niente» (pensiero dicotomico o polarizzato). Interpretando qualsiasi cosa agli estremi, bianca o nera, giusta o sbagliata. Ad esempio: «Se non mi attengo strettamente alla mia dieta, il risultato sarà un totale fallimento. Quindi se mangio un biscotto, tanto vale mangiarne dieci». Oppure: «Se non ottengo il massimo dei voti in questo esame non sono all’altezza della facoltà che ho scelto».

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Tendono, inoltre, a focalizzarsi sugli aspetti negativi di una situazione trascurando quelli positivi. Credono di sapere cosa pensano gli altri e si convincono di essere giudicati negativamente. Fanno previsioni catastrofiche e allarmanti del tutto ingiustificate.

Le conseguenze 

Inevitabilmente, questo tipo di idee si riflette in altrettanti comportamenti:

  • fare molto più del necessario per affrontare una determinata situazione;
  • avere un esagerato bisogno di rassicurazione;
  • ripetere di continuo alcune azioni;
  • caricarsi di responsabilità nel tentativo di tenere tutto sotto controllo e prevenire inconvenienti o disagi;
  • non riuscire a delegare e ad avere fiducia negli altri;
  • rimandare o evitare situazioni che potrebbero creare disagio;
  • avere una sorta di paraocchi, considerando in modo eccessivo ogni minimo dettaglio e facendo fatica a valutare le cose da una prospettiva più ampia.

Impeccabili in ufficio, disordinati in casa

Attenzione a non farsi ingannare, perché si potrebbe essere dei perfezionisti in determinati contesti, ma non in altri. Si spiega così l’atteggiamento di chi è un super pignolo in ufficio, ma lascia il letto sfatto, i piatti nel lavello, i cuscini in disordine sul divano.

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A proposito di lavoro. A chi è solito impegnarsi indefessamente e a dismisura nel proprio incarico, nello strenuo tentativo di emergere e di essere elogiato dai superiori, probabilmente sfugge che negli ultimi tempi molte aziende tendono a privilegiare doti quali flessibilità, perseveranza, proattività, diligenza, creatività, anziché il rigido perfezionismo tout court. È il caso di Google, che, proprio per contrastare gli effetti negativi del perfezionismo, ha deciso di premiare il proprio staff anche in caso di fallimenti.

All’origine le alte aspettative dei genitori

All’origine della tendenza a cercare il pelo nell’uovo ci possono essere fattori sia biologici, legati alla genetica, sia psicologici, appresi nel tempo, a cominciare dall’infanzia. Tra questi, uno dei principali è quello relativo ai modelli di comportamento. Poiché è possibile imparare determinati atteggiamenti osservando gli altri, è facile che i precisini siano stati influenzati da genitori o da fratelli maggiori.

C’è poi un altro meccanismo, che gli esperti chiamano di ricompensa e rinforzo. Se da piccoli si viene più volte premiati per aver eseguito un compito alla perfezione, si finisce con il convincersi che, in mancanza di standard oltremodo elevati, il proprio rendimento risulterà inadeguato. Ma vale anche l’opposto. Se cioè si viene sproporzionatamente puniti o criticati anche per piccoli errori, come ad esempio sbagliare la pronuncia di una parola o sporcare il lavandino, si sarà indotti a pensare che sia molto importante non commetterne mai.

Deleteri anche i continui confronti 

I confronti possono fare scattare una malsana competizione per affermare se stessi e dimostrare il proprio valore. «Aspettative genitoriali troppo alte portano i bambini a non sentire mai di aver fatto le cose abbastanza bene. Alcuni di loro iniziano a pensare che sia necessario agire in modo impeccabile per essere accettati», sottolinea Mencacci.

«Senza contare che, una volta diventato genitore, un individuo perfezionista tenderà a trattare i propri figli con molta intransigenza. Questo perché avere un figlio non perfetto sarebbe il riflesso della propria imperfezione. In questo modo il perfezionismo rischia di diventare un circolo vizioso, che si trasmette attraverso le generazioni».

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I consigli per non farsi schiacciare dall’intransigenza

Le conseguenze di un atteggiamento perfezionistico possono essere pesanti. Rischiano di intrappolare chi ne soffre in una spirale negativa. Per evitare questo, è bene, quando si avvertono i primi campanelli d’allarme, giocare d’anticipo. Già, ma come?

«Ci si deve prima di tutto mettere in discussione, sforzarsi di considerare la possibilità che le proprie convinzioni non siano corrette e che i propri comportamenti non risultino utili», fa notare Mencacci. Più facile a dirsi che a farsi, tanto più che, come sottolinea lo stesso psichiatra, «un atteggiamento mentale di tipo perfezionistico è incline alla rigidità e, proprio per questo, risulta particolarmente difficile da modificare».

Tuttavia, con i consigli giusti si può riuscire a spazzare via almeno un po’ di intransigenza e pignoleria. Ecco allora i suggerimenti degli esperti, ovviamente da non applicare alla perfezione…

→ Sbagliate di proposito

Fare qualche errore non è un dramma, si può sopravvivere. All’inizio (è da mettere in conto) proverete un po’ di disagio, ma poi diminuirà gradualmente. Vi accorgerete che non è stata la fine del mondo. E che quindi, in fondo, potete perdonarvi, essere più indulgenti con voi stessi.

→ Ripetete mentalmente frasi rassicuranti

È utile soprattutto nei momenti di maggior tensione o difficoltà. Può servire scriverle su un foglietto e portarle con voi, vi aiuterà a tenerle a mente. Vanno bene affermazioni non generiche, ma circostanziate. «Se anche farò un errore durante la presentazione, i miei colleghi mi stimeranno ugualmente». Oppure: «In pagella ho tutti nove, non ha senso crucciarsi per quel sette in matematica».

→ Fate attenzione ai gesti

Identificate e sforzatevi di limitare i comportamenti che di solito utilizzate per proteggervi dalle situazioni o dalle condizioni che temete. Ad esempio, controllare ripetutamente l’ora per paura di arrivare in ritardo oppure pesarsi molto spesso per il timore di ingrassare.

→ Tenete un diario

Annotate, per ogni episodio che scatena il perfezionismo:

  • la situazione (ad esempio, mio marito doveva venire a prendermi al lavoro ed è in ritardo di dieci minuti);
  • le emozioni (impazienza, rabbia, frustrazione);
  • i pensieri perfezionistici (mio marito non dovrebbe mai arrivare in ritardo, non dovrei essere costretta ad aspettarlo neppure per pochi minuti, non posso mai fare affidamento su di lui perché è il solito pressapochista);
  • i pensieri alternativi (non è un dramma se mio marito arriva con qualche minuto di ritardo, magari ha avuto un piccolo imprevisto).

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→ Apritevi alle novità

Il suggerimento proviene dal libro Vincere il perfezionismo della psicologa Lucia Camporese. Cimentatevi in qualcosa che non avete mai fatto prima. Lo scopo? Capire che sbagliare è assolutamente umano e far quindi calare l’ansia da prestazione. Ma anche scoprire che per molte attività, specialmente le più creative, come dipingere, disegnare, cucinare, non esistono risposte giuste o sbagliate. Possono esistere diversi modi di fare la medesima cosa, tutti ugualmente corretti.

→ Imparate a rimandare

Sforzatevi di mettere da parte l’efficientismo a tutti i costi, la logica del fare tutto subito, confondendo un salutare prendere fiato con apatia, svogliatezza, pigrizia. Un semplice esercizio per iniziare? Provate a non rispondere immediatamente ai messaggi WhatsApp e alle mail. Lasciate passare almeno un’ora. Ozio: ecco perché fa bene ritagliarsi dei momenti di inattività

→ Accettare le critiche

Mettersi in testa che, per quanto si possa essere bravi, belli, intelligenti, simpatici, non si potrà mai piacere a tutti. Ci sarà sempre chi storce il naso. Lo sforzo è allora quello di dare una sana scrollata di spalle, pensare «chissenefrega» e sorridere.

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