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Lucrezia Guidone: «Oggi la paura dell’altezza non mi anestetizza più la mente come un tempo»

L'attrice, reduce dal successo della serie tv "Fedeltà", racconta di come, grazie alla sua professione, sia riuscita a modificare l'approccio nei confronti di questa invalidante fobia

Sempre più spesso si sente parlare di comfort zone, quello stato comportamentale entro cui ci sentiamo al sicuro e abbiamo pieno controllo sull’ambiente circostante e sulle situazioni nelle quali siamo coinvolti. Questa zona rappresenta la nostra coperta di Linus, dalla quale è sempre più difficile separarsi perché ci pone al riparo da ogni forma di ansia e stress. Eppure, uscire dalla comfort zone è il primo passo per provare a superare i propri limiti ed evolvere come persone. Significa mettersi alla prova in situazioni che non conosciamo o conosciamo poco, che creano disagio e non fanno dormire sonni tranquilli.

Molto facile, sulla carta. Ma poi, quando entrano in gioco le nostre più recondite paure, diventa tutto più complicato. Io, ad esempio, ci ho provato quando mi sono ritrovata faccia a faccia con una delle mie più grandi fobie, quella dell’altezza. A un certo punto mi sono detta: «O ci cammini dentro o questa angoscia nei confronti del vuoto continuerà a prendere il sopravvento e a ostacolarti, anche sul lavoro».

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Ogni volta che mi misuro con l’altezza, il mio corpo e la mia mente reagiscono con ostilità

Credo che anche molti lettori possano capire ciò che provo io tutte le volte che salgo su una scala, mi sporgo da un balcone o una balaustra, attraverso un ponte con l’auto, percorro un sentiero di montagna accanto a un pendio. Diciamola tutta: già riuscire a portare a termine queste azioni sarebbe una conquista, ma spesso non ci provo neanche, tanto grande e paralizzante è la paura. Ogni volta che mi misuro con l’altezza, il mio corpo e la mia mente reagiscono con ostilità: percepisco la vertigine, proprio come se mi venissero a mancare l’equilibro e l’orientamento, avverto la nausea, la sudorazione – specialmente sulle mani – aumenta e il battito cardiaco accelera.

La sensazione di malessere fisico si associa sempre a un’angoscia più profonda, che si traduce in risposte comportamentali che metto in atto come sorta di difesa, come aggrapparmi a qualcuno o cercare un contatto con la terraferma, magari inginocchiandomi e piegandomi verso il basso. Questi atteggiamenti scattano quando proprio devo confrontarmi con le altezze, perché, come dicevo, se appena posso farne a meno sono ben contenta di cercare percorsi alternativi o chiedere a qualcun altro di svolgere la tale azione al posto mio (della serie: «Affacciati tu dalla finestra per vedere se il rider è arrivato»). L’altezza e il vuoto mi fanno così paura che, talvolta, mi agito anche solo immaginando la situazione in cui potrei trovarmi o guardando un’altra persona, ad esempio in un film o in una serie tv, cimentarsi con scale, palazzi, terrazze, montagne, viadotti.

A teatro, otto anni fa, la svolta

Se però in passato subivo passivamente la fobia dell’altezza e tutte le paure a essa correlate, come quella del vuoto, di cadere e di morire, oggi c’è la volontà di provare ad affrontarla. A farmi scattare qualcosa nella testa è stato il mio meraviglioso lavoro. Nel 2014 ho preso parte a Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume, uno spettacolo teatrale prodotto dal Piccolo di Milano. Durante le prove, il regista Luca Ronconi ha chiesto che il mio personaggio, Melibea, salisse su una torre tanto alta da raggiungere la piccionaia della struttura.

Ricordo ancora che il racconto di questa scena da parte del maestro è stata così potente, così drammaturgicamente di peso, così affascinante, che non me la sono sentita di dirgli di no, nonostante sapessi a cosa sarei andata incontro. Forse temevo di deludere una persona che stimavo profondamente, forse non volevo macchiare la mia performance e lo spettacolo in generale, forse avevo capito che era giunto il momento di misurarmi in prima persona con quella fobia. Fatto sta che, aiutata dal direttore di scena, Angelo Ferro, mi sono preparata a piccoli passi: provavo a salire sulla scala, avanzando di qualche scalino ogni giorno, e andavo di frequente su quella antincendio, così da avere la percezione di uno spazio aperto, per me particolarmente angosciante.

Un lavoro importante anche a livello mentale

Ho fatto un lavoro importante anche a livello mentale, mettendo in atto una sorta di training autogeno. Ho cercato di focalizzarmi sulle sensazioni interiori piuttosto che sugli stimoli ambientali, lasciando che l’ansia, le emozioni e le paure uscissero fuori senza limiti. Con la ferma volontà di provare a guardare in faccia quella fobia, continuavo a ripetermi: «Anche se sei terrorizzata, cerca di camminarci dentro, puoi farcela». Alla fine su quella torre altissima Melibea, il mio personaggio, ci è davvero salita, senza farsi venire vertigini, palpitazioni o attacchi di panico. Non ho la presunzione di dire di aver superato l’acrofobia – scientificamente la paura dell’altezza si chiama così – perché mentirei. Ma da quando l’ho affrontata per la prima volta su quella scala del Piccolo Teatro il mio approccio è cambiato. Ho imparato a conviverci e a fare in modo che non diventi invalidante, che non mi anestetizzi più la mente.

E se sono riuscita a prendere coscienza dei miei limiti, trovando la voglia e le energie per affrontarli, è grazie al mio lavoro e alla passione che metto in quello che faccio, sia su un palco teatrale sia davanti a una macchina da presa. Trovare nella vita uno stimolo verso qualcosa, come la recitazione nel mio caso, ti fa prendere per mano te stessa e ti conduce dove non avresti mai pensato di arrivare. L’amore verso la mia professione ha fatto sì che riuscissi, a piccole dosi, a immergermi in questo stato d’ansia e a prenderne consapevolezza. Magari non sempre, come nel mio caso, si arriva a un superamento definitivo del problema, ma già solo il fatto di poterlo riconoscere e accettare è un passo importante verso la sua risoluzione.

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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