Ambiente salute

La sanità del futuro

La casa come principale luogo di cura

La casa come principale luogo di cura. Questo è il punto chiave per la riforma della sanità pensata dal presidente del Consiglio, Mario Draghi e anticipata di recente al Parlamento. Lo stesso ministro della Salute, Roberto Speranza, ha, infatti, sottolineato come sia necessario un cambio di prospettiva nelle cure, preoccupandosi di far arrivare le stesse nella vita quotidiana dei malati.

«Sarà, così», prevede Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), «la tecnologia a farla da padrone per consentirci nei prossimi decenni di essere curati e di vivere meglio e più in salute. Molte informazioni sulla salute possono essere ricavate da minuscole bioparticelle contenute nei fluidi corporei come saliva, lacrime, sangue, urina e sudore e, nell’arco dei prossimi cinque anni, nuovi dispositivi di analisi biologica e medica fungeranno da veri detective sfruttando le nanotecnologie con l’obiettivo di organizzare in un unico chip di silicio tutti i processi necessari per l’analisi di una patologia che normalmente richiederebbe esami di biochimica di laboratorio su vasta scala.

Gruppo San Donato

Questa tecnologia, spiegano gli esperti, potrebbe in ultima analisi essere concentrata in un dispositivo palmare, per permettere alle persone di misurare rapidamente e regolarmente la presenza di vari biomarcatori e inviare queste informazioni in streaming sul cloud, da casa propria. Informazioni che potrebbero essere combinate con i dati provenienti da altri dispositivi IoT, come quelli per il monitoraggio del sonno e degli smartwatch, per essere analizzati da sistemi di intelligenza artificiale nella ricerca di informazioni utili». Nel secolo scorso due matematici, Edward O. Thorp e Claude E. Shannon, inventarono il concetto di elettronica indossabile che oggi è diventato realtà con i sistemi di monitoraggio indossabili e intelligenti (Smart Wearable Systems), modellati per integrarsi con il nostro corpo.

«Sensori indossabili», prosegue Miani, «con cui possiamo monitorare la nostra attività fisica e fisiologica, come avviene da decenni anche con gli astronauti, fin dai tempi delle missioni Apollo. In quest’ottica sta prendendo piede la medicina digitale e la necessità di tenere monitorati anche i parametri ambientali delle nostre abitazioni dove già oggi trascorriamo tra il 70 e il 90% della nostra vita e che in un prossimo futuro potrebbero diventare il luogo di elezione anche del nostro lavoro, grazie allo smart working. La cura della nostra salute, dunque, sarà sempre più telematica e sempre più in connessione con il sistema edificio, in cui anche il verde giocherà un ruolo centrale per assicurarci comfort e benessere complessivo».

Una prevenzione sempre più digitale

«Cinque sono gli “ingredienti” principali della sanità digitale: dispositivi elettromedicali domiciliari (o esami fatti in farmacia), sequenziamento del Dna, Intelligenza artificiale, interfacce e modello organizzativo», interviene Francesco Cannone, amministratore unico di Emtesys e SDP Italia. Tramite algoritmi l’Intelligenza artificiale determina percorsi di prevenzione primaria, per chi è sano, e terziaria, per evitare complicanze a chi è malato, sviluppando i dati che provengono sia dai diversi rilevatori a distanza di parametri vitali, come pressione arteriosa, glicemia, saturimetria ed elettrocardiogramma, sia dalle analisi del genoma.

«Recentemente», continua l’ingegnere, «è stato mappato anche l’ultimo 8% mancante del patrimonio genetico umano e questo porterà, tramite l’elaborazione di semplici campioni salivari, a conoscere l’esatto sequenziamento del Dna di ciascuno di noi, permettendo all’Intelligenza artificiale di creare pannelli di nutrigenomica e farmacogenomica personalizzati. La prima scienza esamina la capacità del nostro organismo di sintetizzare i nutrienti, le intolleranze alimentari e il livello di stress ossidativo, cioè la base su cui poggia la possibilità di essere esposti a infezioni e patologie. In pratica, cioè, evidenzia come il corpo risponde all’assimilazione del cibo, permettendo al nutrizionista di stabilire in maniera precisa il regime più adatto alla singola persona. Stesso discorso per la farmacogenomica, in grado di prevedere l’efficacia e l’eventuale tossicità di un farmaco su uno specifico paziente. Per esempio, questo tipo di esame può indicare la tipologia di statina a lui più adatta a chi soffre d’ipercolesterolemia, evitando effetti collaterali».

Percorsi preventivi che, precisa Cannone, «sono definiti in maniera dinamica dall’Intelligenza artificiale – se un consiglio non dà risultati, viene cambiato – e inseriti all’interno di un sistema semplice che comprende interfacce, quali le app su smartphone e tablet, i portali web e parzialmente anche la televisione, e un modello organizzativo, che coinvolge da remoto medici di medicina generale, farmacisti, aziende sanitarie locali e Sistema sanitario nazionale. Un sistema che, di fatto, diventa una terapia digitale, poiché ci assiste nella quotidianità, suggerendoci le abitudini alimentari, ricordandoci le cure farmacologiche e avvertendoci quando è necessario sottoporsi a determinati esami.

Proprio a proposito delle tecnologie citate, Emtesys ha depositato il brevetto “Prevenzione di precisione” e a partire da settembre ne inizierà, tramite SDP Italia, la commercializzazione». Insomma, un futuro che, se non proprio imminente, è ormai alle porte, spinto appunto dall’emergenza Covid. «I dati in nostro possesso», assicura l’ingegnere, «dimostrano che questo tipo di sistemi può prevenire una patologia o una sua complicanza. Entro tre anni la sanità digitale potrebbe divenire una prassi, se politica e aziende imboccheranno con decisione questa strada e anche le associazioni di pazienti spingeranno in tal senso. Siamo, infatti, a una svolta: dal punto di vista tecnologico ci siamo (Emtesys, per esempio, ha depositato il brevetto “Prevenzione di precisione” e a partire da settembre inizierà, tramite SDP Italia, la commercializzazione), mentre da quello della sensibilità culturale siamo ancora un po’ indietro, ma, continuando a lavorare con la convinzione di essere sulla strada giusta, ci rende ottimisti sul futuro prossimo.

Stiamo prendendo coscienza che i sistemi digitali possono rappresentare oggi nel campo della medicina quello che ha significato la chimica nell’Ottocento, cioè una tecnologia abilitante che ha dato vita alla farmaceutica e alle terapie farmacologiche. Ovviamente con l’eHealth che andrà non a soppiantare le medicine, ma a coadiuvarle o ad affiancarle in maniera autonoma».

Il nemico principale resta la burocrazia, come ha avuto modo di sperimentare anche l’amministratore di Emtesys e SDP Italia: «Ci è capitato di renderci conto che, pur nell’ambito del Sistema sanitario, la trattativa si arenava se proponevamo l’innovazione ai responsabili di un’area che avrebbe visto un aumento anche contenutissimo dei costi nonostante i notevoli benefici che avrebbe arrecato a un altro comparto, come, per esempio, la riduzione degli accessi impropri al pronto soccorso».

Attenzione all’aria indoor

ecoacquistiUna tecnologia sempre più sofisticata ci viene anche incontro per monitorare i parametri ambientali delle nostre case, un’esigenza, pure questa, enfatizzata dall’emergenza Covid. «Spesso», interviene Gianluigi De Gennaro, professore di chimica dell’ambiente all’Università di Bari e membro del Comitato Scientifico SIMA, «sottovalutiamo la qualità dell’aria che respiriamo negli ambienti chiusi, dove, tra l’altro, trascorriamo la maggior parte della nostra giornata, pensando che sia migliore di quella esterna. Invece spesso non è così. Ormai, per le necessità dettate dal risparmio energetico, i luoghi indoor sono diventati contenitori stagni in cui restano confinate tutte le emissioni prodotte dai materiali e dalle finiture di cui sono composte, dagli oggetti vari che contengono e dalle modalità con cui puliamo e cuciniamo. Un problema che si risolve, da un lato riducendo la produzione d’inquinanti, dall’altro ventilando il più possibile l’ambiente».

Proprio per aiutarci a capire quanto inquinata sia la nostra abitazione esistono in commercio diversi sensori, ovviamente dall’accuratezza variabile, che determinano la concentrazione di composti organici volatili (VOCs), polveri sottili e formaldeide. «Se la quantità d’inquinanti indoor cresce, è sintomo di una ventilazione non corretta, con un maggiore rischio anche di contrarre il coronavirus nel caso siano presenti persone infette», precisa De Gennaro. «In particolare, un ottimo marcatore di quanto si stia diluendo anche il Sars-CoV-2 è la CO2. Ormai vi è un importante consenso scientifico sul fatto che sotto una concentrazione di 700 parti per milione (ppm) si abbia un basso rischio di contrarre il virus, che, invece, aumenta con livelli superiori. Per una misurazione accurata, noi di SIMA suggeriamo sensori con tecnologia a infrarossi di tipo non dispersivo (NDIR): per esempio, abbiamo approvato l’Aranet4».

È l’ora dell’edilizia sostenibile

edilizia sostenibile

La salubrità degli edifici e degli ambienti indoor (e outdoor) è, in effetti, un tema che sta assumendo un interesse crescente, specie pensando alla Sick Building Syndrome: secondo alcuni studi, tra il 15% e il 50% degli occupanti uffici ed edifici pubblici ha rivelato disturbi collegabili alla sindrome dell’edificio malato. La pandemia Covid-19 ha reso ancora più urgente la necessità di vivere in contesti sani e confortevoli, domestici e lavorativi, tanto che oggi cominciano a farsi strada standard di certificazione volontaria per valutare la salubrità degli edifici, privati e pubblici.

«Negli ultimi anni», confermano Marco Mari, presidente Green Building Council Italia, e Andrea Valentini, segretario Chapter Marche GBC Italia, «è cresciuta l’attenzione verso il concetto di edificio salubre. Premessa l’importanza della prestazione energetica dell’edificio, si è cominciato a comprendere quanto sia più importante la “prestazione” dell’individuo che lo abita. È un cambiamento paradigmatico importante perché pone attenzione all’uomo e al concetto di healthy building. Insomma, non ci si limita più a definire solo gli standard “alti” di comfort ambientale indoor o quello termico e acustico, ma ci si focalizza su una serie di attenzioni progettuali relative agli spazi interni ed esterni. Per questo si favorisce l’active design». Vale a dire quell’insieme di principi di costruzione e pianificazione che intendono promuovere attenzione agli spazi per il benessere fisico a tutto tondo. Infatti, il design attivo in un edificio, un paesaggio o un design urbano integra l’attività fisica nelle routine quotidiane degli occupanti.

In questo ambito s’inserisce Fitwel, «un protocollo di certificazione per la costruzione di edifici salubri sia di nuova costruzione che di edifici esistenti», spiegano ancora Mari e Valentini. «Adotta un approccio integrato in cui la progettazione e la gestione di un sito di costruzione o di progetto può migliorare la salute, la felicità e la produttività degli individui. Si tratta di un sistema di rating per gli edifici nato nel 2017, ma si sta allargando alle comunità, ai quartieri e alle aree urbane. È un marchio registrato dal sistema sanitario statunitense, che l’ha creato e testato, attraverso l’azione congiunta del Centers for Disease Control and Prevention (CDC – Centri statunitensi per il controllo delle malattie), il principale istituto di sanità pubblica Usa, e della General Services Administration (GSA), ente che  gestisce tutti gli edifici federali. Non è un caso che l’ente terzo che certifica l’adesione allo standard Fitwel sia il Center for Active Design (CfAD), organizzazione non profit della municipalità di New York che promuove soluzioni architettoniche e urbanistiche per migliorare la salute pubblica».

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