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Mughini: senza prostata non sono più un uomo

«Un tumore allo stato iniziale e l'intervento chirurgico. Spesso si riescono a salvare i nervi e l'erezione. Ma a me non è andato tutto liscio»

«I valori dei marker tumorali erano saliti, troppo», racconta Giampiero Mughini. Bisogna operare alla prostata, fu la sentenza del medico». «Le tecniche moderne permettono di salvaguardare i nervi che consentono l’erezione. Ma non sempre va tutto liscio. A me non è andato tutto liscio».
Ecco la confessione delicata dell’opinionista a OK e, a seguire, l’approfondimento medico sull’intervento alla prostata e la tecnica del nerve sparing.

«Fa parte del gioco. Del gioco della vita. Continuavo a ripetermi questa frase, nel letto d’ospedale, fra i miei libri, il block notes, gli appunti sparsi sulle lenzuola. Mi avevano appena operato alla prostata e io sapevo che le cose, i rapporti con la mia compagna, sarebbero stati diversi. Ma sapevo anche che il destino va preso per quello che è: ogni giorno è un’opportunità, un regalo che qualcuno ci ha fatto. Io almeno la vedo così.
Confesso che per buona parte della mia vita non avevo nemmeno saputo che cosa fosse la prostata. Solo intorno ai 50 anni il mio medico mi aveva consigliato di misurare ogni 12 mesi il Psa, l’antigene prostatico specifico che può segnalare la presenza di un tumore. Fino al 2005, tutto nella norma, anche se i valori crescevano ogni anno e mi dicevo: “C’è qualcosa che non va, prima o poi…”. A gennaio del 2006 i risultati erano superiori al limite e dopo un mese ho ripetuto le analisi del sangue: il Psa era aumentato ancora. Ho eseguito un’ecografia. Non risultavano alterazioni, comunque l’urologo ha voluto vederci chiaro: “Facciamo una biopsia, un prelievo di tessuto”.

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Menomazione reale e simbolica della virilità
Marzo 2006: quel giorno, quando ho alzato la cornetta del telefono, ho capito subito che aria tirava. La diagnosi era infausta: tumore allo stadio iniziale. L’unica soluzione, secondo il medico, era asportare la prostata. Non ho pensato di consultare un altro specialista, non mi sono scomposto: drammatizzi quando muore tuo padre, se l’amore della vita fugge con l’idraulico, se il tuo libro cui tieni tanto vende otto copie. Per il resto, non c’è da perdersi d’animo.
L’intervento è stato fissato per gli inizi di giugno al Gemelli di Roma. La sera prima del ricovero, per distrarmi, sono andato a vedere Volvér, il film di Almodóvar, ma avevo la testa altrove. Poi una cena a lume di candela con la mia compagna. Sono entrato in ospedale di lunedì, l’intervento dopo i controlli di rito. Avrei preferito essere sul lungomare con Kate Moss, invece mi aspettava il tavolo operatorio. Quattro ore dopo era tutto finito. L’operazione in sé è stata una passeggiata: ho cominciato subito a fare battute, mi sono ripreso in fretta. La domenica successiva sono stato dimesso e mi sono rituffato nelle mie giornate di sempre, ci tenevo a rimettermi in carreggiata. Ma, quando mi fermavo a riflettere, non potevo non pensare che, per certi versi, era cominciata la mia morte. L’aspetto più delicato di tutta la faccenda riguarda la menomazione reale e simbolica della virilità. Ironia della sorte, stavo scrivendo Sex revolution, un libro sulla rivoluzione sessuale, proprio nel corso di una vicenda in cui il sesso veniva compromesso. Le moderne tecniche chirurgiche permettono di risparmiare i nervi che consentono l’erezione e di mantenere la capacità sessuale, ma non è così semplice, non sempre va tutto liscio. A me non è andato tutto liscio.

Non appagarla: una sberla che non finisce mai
In Exit ghost, un romanzo di Philip Roth, il protagonista subisce un intervento alla prostata e, pur provando attrazione verso una donna, sa di non poterla appagare. So com’è: una sberla che non finisce mai.
La mia identità di uomo non è più la stessa, ma lo accetto. D’altronde, non sono più un ragazzino e non ho un corteo di spogliarelliste ventenni dietro la porta. Vale che sono vivo e che sto bene.
Certo, non ho la forza che avevo a 20 anni o a 40, non ho la memoria di un tempo, ogni sei mesi mi sottopongo ai controlli di routine. Fa parte del gioco, del gioco della vita di chi ha la mia età. L’età comporta aspetti negativi e positivi: oggi sono più saggio, il gusto si è affinato, so fare meglio il mio mestiere. Amo il lavoro e mi chiedo, a volte, quanti altri libri riuscirò a scrivere. Qualche anno fa mi ero posto il traguardo di 20. Ce l’ho fatta, sto già lavorando al ventesimo. Per eventuali altri spero mi vengano le idee e gli spunti.
Ai tempi dell’operazione, curavo Uffa, una rubrica quotidiana sul Foglio. Il giorno dopo l’asportazione della prostata ho scritto: la parola prevenzione è infinitamente migliore della parola rivoluzione. Non è difficile capire il perché: è in gioco la vita».
Giampiero Mughini     

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(testo raccolto da Francesca Turi per OK La salute prima di tutto giugno 2008)

LE STRATEGIE PER INTERVENIRE  E SALVARE LA SESSUALITÀ
«Per il tumore della prostata esistono diverse possibilità terapeutiche, in funzione della sua estensione, della sua aggressività e dell’età del paziente», spiega Ottavio De Cobelli, direttore della divisione di urologia dell’Istituto europeo di oncologia di Milano.
• Farmaci: gli antiandrogeni inibiscono l’azione degli ormoni maschili sulle cellule tumorali.
• Radioterapia esterna: la prostata viene irradiata con sistemi precisi, per risparmiare gli organi vicini, come il retto.
• Brachiterapia: semi radioattivi vengono inseriti nella ghiandola per effettuare una irradiazione locale, riducendo il più possibile i rischi di impotenza.
• Chirurgia: prevede l’asportazione completa della prostata. «Quando è possibile, si usa la tecnica nerve sparing, per salvare la rete nervosa che sta attorno alla ghiandola, e preservare l’erezione», continua De Cobelli. «L’utilizzo del robot Da Vinci, non ancora diffuso su tutto il territorio nazionale, permette di eseguire l’intervento in modo preciso e delicato, per migliorare la ripresa sessuale».
• Prevenzione: dopo i 50 anni, visita annuale dall’urologo e il controllo del Psa, proteina prodotta dalla prostata.
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