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Vecchio farmaco antidiabete contrasta tumore al cervello

La fenformina, una molecola usata fino a qualche anno fa contro il diabete, funziona contro il medulloblastoma, il cancro al cervello più frequente tra i bambini

La fenformina, un farmaco prescritto fino a qualche anno fa contro il diabete insieme alla più conosciuta metformina, è in grado di bloccare la progressione di uno specifico tipo di tumore al cervello, il medulloblastoma. La scoperta è contenuta nei risultati di uno studio  di un gruppo di ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, dell’Istituto Pasteur Italia e dell’IIT-Istituto Italiano di Tecnologia, coordinati da Gianluca Canettieri. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Cell Reports. 

La Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ha sostenuto lo studio, insieme all’Istituto Pasteur Italia – Fondazione Cenci Bolognetti e all’Istituto Italiano di Tecnologia.

Gruppo San Donato

Cos’è il medulloblastoma?

Il medulloblastoma è il cancro del cervello più frequente in età pediatrica. In Italia ne sono colpiti circa 7 bambini ogni milione. Questo tipo di tumore maligno è causato da mutazioni del DNA. Ha origine nel cervelletto. Si tratta dell’area del sistema nervoso situata alla base del cervello e deputata al controllo dell’equilibrio e della coordinazione dei movimenti. Secondo i dati dell’AIRC, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è di poco superiore al 60 per cento. Finora non sono state trovate strategie efficaci per la prevenzione.

Come funziona la fenformina?

Il funzionamento della fenformina non era completamente chiaro alla  comunità medico-scientifica. Lo studio italiano ne ha finalmente svelato  il meccanismo biochimico che sta alla base della sua azione. Il principio attivo di questo farmaco agisce su una sorta di interruttore cellulare. Questo interruttore si chiama mGPD e si trova nei mitocondri. Funziona come un carica-batterie, attivando un’alterazione dello stato di carica elettrica interno alla cellula tumorale. Questa alterazione elettrica, a differenza di quanto accade nelle cellule sane, determina una inibizione della crescita tumorale. Ciò significa che la fenformina agisce come una batteria al contrario: “carica” le cellule tumorali, per spegnerle.

Prima dei risultati di questo studio si pensava che questo farmaco soffocasse e affamasse le cellule tumorali, agendo sui meccanismi della respirazione delle cellule stesse. Per la prima volta si dimostra invece che il meccanismo più verosimile sembra essere quello di una “batteria al contrario”.

Il parere degli esperti: fenformina potrebbe essere efficace anche su altri tumori

«Ciò che avviene nella cellula trattata con la fenformina è un processo di ossidoriduzione. Si tratta di un fenomeno simile a ciò che accade quando ricarichiamo le pile con il carica-batterie. Aumentiamo la presenza di cariche elettriche dentro la cellula. Ma le cellule tumorali hanno delle pile che, una volta ricaricate, avviano un processo che le porta a rallentare la crescita». Questa la spiegazione di Gianluca Canettieri. «Inoltre, pur avendo effettuato i nostri studi sul medulloblastoma, riteniamo che questo meccanismo di ricarica-spegnimento sia efficace anche per altri tumori, come mostrano alcuni nostri dati recenti».

Ora si cercano farmaci e alimenti con le stesse caratteristiche di questo medicinale antidiabetico 

«Queste osservazioni ci spingono a focalizzare i nostri studi futuri nella messa a punto di nuove strategie antitumorali basate sull’uso di farmaci o, addirittura, di specifici alimenti in grado di aumentare lo stato ossidoriduttivo cellulare, ricaricando le batterie antitumorali» aggiunge Laura Di Magno, giovane ricercatrice che ha svolto il suo lavoro al Centro IIT di Roma e prima autrice del lavoro. «Inoltre, se futuri studi clinici valideranno le osservazioni pre-cliniche, la fenformina stessa potrebbe rappresentare una nuova arma efficace contro alcuni tumori, tra cui quelli cerebrali».

La speranza di trovare anche alimenti con queste caratteristiche

Si ipotizza dunque l’esistenza di cibi e integratori che siano in grado di aumentare lo stato di ossidoriduzione delle cellule. Al momento però si tratta solo di un’ipotesi in fase di approfondimento. Prosegue quindi il lavoro di ricerca del gruppo, a cui potrebbe seguire l’applicazione clinica. Fino a questo momento lo studio dell’evoluzione del tumore è stato condotto in cellule e animali di laboratorio, offrendo una prospettiva anche per l’applicazione negli esseri umani.

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