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Posso andare in montagna se ho avuto un ictus?

Secondo gli esperti chi è stato colpito da un evento cardiovascolare non deve privarsi dell'alta quota: basta farlo con le giuste accortezze e con gradualità

Montagna significa alta quota, riduzione della pressione parziale dell’ossigeno e maggiore sforzo del cuore, che si deve impegnare a compensare la ridotta ossigenazione aumentando i battiti cardiaci e la pressione. A chi soffre di disturbi al cuore o è stato colpito da eventi cardiovascolari, quindi, la montagna può sembrare un problema. Tuttavia, godere al pieno di una vacanza in alta quota si può, basta seguire alcune regole.

Più si sale, più manca l’ossigeno

Come sottolinea A.L.I.Ce. Italia Onlus (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) fino a 1500-2000 metri, in estate e con il bel tempo, non si corrono grandi rischi, sopra i 2000 – e in particolare in inverno – ci si può imbattere in alcuni ostacoli: carenza di ossigeno, freddo, vento, valanghe. A 2000 metri, infatti, si ha una riduzione del 20% dell’ossigeno presente nell’aria, a 3000 ne manca il 30%, mentre a 4800 metri (l’altezza del Monte Bianco) ne manca circa la metà.

Gruppo San Donato

In caso di ictus o attacco ischemico transitorio

L’organismo di una persona sana mette in campo tutti i meccanismi necessari per adattarsi rapidamente. Chi invece soffre di patologie cardiovascolari acute o croniche può avere difficoltà di fronte a una carenza di ossigeno e quindi, se decide di andare in montagna e svolgere delle attività, deve farlo sotto il controllo medico. Questo è ancora più vero per chi ha sofferto di un ictus (qui la guida per riconoscerlo) o un TIA (attacco ischemico transitorio), patologie che si caratterizzano per il ridotto apporto di ossigeno al tessuto cerebrale.

Conoscere tempistiche e fattori di rischio

Fondamentale, per prima cosa, sapere quanto tempo è trascorso dall’evento ischemico e la stabilità dei fattori di rischio cardiovascolari. In caso di ipertensione i valori devono essere controllati già a bassa quota. Importante anche controllare la glicemia nei pazienti diabetici, mentre i valori di colesterolo devono essere normali e non bisogna fumare. Necessario, infine, seguire la terapia prescritta dal neurologo.

Come comportarsi nei primi 6 mesi

Gli esperti di A.L.I.Ce. Italia Onlus consigliano di non superare i 1500 metri di altitudine nei primi tre mesi successivi all’ictus e non di andare oltre i 2000 tra il quarto e il sesto mese.

Dopo i 6 mesi

Trascorsi i sei mesi, le condizioni cliniche sono già stabili ed è possibile pianificare gite più complesse e spingersi sopra i 2000 metri, anche se molto varia da persona a persona. Necessario fare una visita di controllo, in cui si fa il punto della situazione, con valutazione del rischio per decidere come pianificare l’attività fisica in montagna.

I consigli dell’esperto

«Tendenzialmente superare i 3500 metri rimane un discreto rischio – dichiara Guido Giardini, direttore SC di Neurologia e Stroke Unit e Responsabile del Centro di Medicina e Neurologia di Montagna dell’Ospedale Regionale “U. Parini”, USL della Valle d’Aosta – vanno evitate le giornate molto fredde e con forte vento, dal momento che le temperature rigide possono causare vasocostrizione. Tanto più se il paziente ha avuto una concomitante patologia ischemica cardiaca. A causa dello scarso numero di dati scientifici riguardanti il rischio a quote superiori, i 4000 m restano un traguardo impegnativo, mentre le quote lievi e moderate non rappresentano un rischio. Bisogna controllare bene i fattori di rischio, assumere le medicine prescritte, alimentarsi e idratarsi in modo corretto, avere sempre con sé tutti gli indumenti e le attrezzature necessarie».

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