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Sandro Veronesi: l’ergastolo, una pena ingiusta

Lo scrittore è tra i sostenitori di Science for Peace (a Milano il 16 e il 17 novembre), movimento fondato da Umberto Veronesi. Entrambi portano avanti una battaglia per un mondo in cui anche i criminali, dopo 20 anni di prigione, possono tornare liberi

Da sempre lo scrittore Sandro Veronesi sostiene Science for Peace (è membro del comitato d’onore), il movimento per la pace creato da Umberto Veronesi, che il 16 e 17 novembre raccoglie nell’aula magna dell’Università Bocconi, a Milano, esperti e premi Nobel di tutto il mondo per il quarto anno consecutivo. Cinquantratrè anni, omonimo del professore ma non suo parente, Veronesi (Sandro) è autore del bestseller Caos calmo e fermo assertore dell’idea che ognuno di noi possa e debba fare qualcosa per la pace: con le parole, con la propria scienza, con l’esempio. Esattamente quello che pensa anche l’oncologo Veronesi (Umberto).

Alla Conferenza di quest’anno in Bocconi, il concetto di pace si estende dai campi di battaglia a quello delle carceri, del recupero dei condannati. «Il compito della giustizia non è la vendetta, la greca Nemesi, ma è la Metanoia, il ravvedimento predicato da Giovanni Battista sulle rive del Giordano», dice Veronesi (Umberto). E lo scrittore concorda.

Gruppo San Donato

Sandro Veronesi, perché aderisce a Science for Peace?
«Tutto ciò che pone la pace e la conoscenza nel mirino mi interessa. E questa mi sembra un’iniziativa destinata a produrre conseguenze».

Quali mezzi ha uno scrittore per contribuire alla pace?
«La propria penna e la propria credibilità».

E cosa possono fare gli scienziati?
«Possono pensarci un po’ su, prima di trasmettere certe conoscenze “pericolose” in mani non proprio sicure».

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Umberto Veronesi sostiene, e con lui svariati studiosi, che la violenza non sia inscritta nel nostro Dna. Insomma, gli uomini nascono buoni. Lei è d’accordo?
«Non so che dire. Non ho competenze scientifiche, dunque ragiono in termini storici e umanistici. Da questo punto di vista mi sembra che la formulazione del professor Veronesi, ancorché molto consolante, non sia confortata da dati empirici. Piuttosto, credo che l’uomo, come ogni altro animale, nasca senza una cognizione innata della distinzione tra Bene e Male, e che il concetto di violenza nasca solo quando la sua formazione culturale (qualsiasi essa sia) gliene impone una».

Che cosa si può fare per mantenere la bontà nell’uomo?
«Per la ragione che spiegavo, direi piuttosto “l’integrità” dell’uomo. E per mantenere quella non c’è che dare l’esempio, per quanto piccolo e insignificante possa essere».

Lei come spiega ai suoi figli la guerra, la violenza?
«Non gliela spiego. Li mando a scuola e, con un po’ di fortuna, studiando la storia, una spiegazione la troveranno da soli. Ammesso che ci sia».

Lei ha detto che la pace è un cambiamento radicale, che va condiviso da milioni di persone. A che punto siamo di questo cammino?
«Considerando come stava messo il mondo un secolo fa, siamo a buon punto. Considerando i conflitti che ancora insanguinano il pianeta, abbiamo tanta strada da fare».

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Quest’anno Science for Peace è dedicato anche alla condanna a morte. Il rifiuto della pena capitale è condiviso nell’Unione europea, come pilastro di una cultura della non violenza. E lei la penserà allo stesso modo…
«Ho pubblicato un libro sull’argomento, Occhio per occhio, nel 1990. Da allora sono rimasto molto legato alla causa abolizionista».

Altro tema della Conferenza di quest’anno, più spinoso perché non accettato dalla maggioranza degli europei: l’abolizione dell’ergastolo. Un numero crescente di studi dimostra che il cervello è plastico e che con gli anni può cambiare moltissimo. Dunque, il criminale che ha compiuto un omicidio vent’anni fa può essere diventato, nel frattempo, un’altra persona, in senso fisico, ed è crudele lasciarlo in prigione. Lei che ne pensa? Per esempio, hanno fatto bene i norvegesi a non condannare al carcere a vita Anders Behring Breivik, autore della strage sull’isola di Utoya?
«In Norvegia l’ergastolo non esiste, e a Breivik è stata inflitta la condanna massima prevista dal codice. Ma anche nei Paesi che prevedono formalmente il “fine pena mai”, in realtà, passati i vent’anni di reclusione e in presenza di determinati requisiti, i provvedimenti restrittivi si allentano e il soggetto torna a godere di molte libertà. Io questo lo considero non soltanto giusto, ma essenziale. Occorre però riuscire a distinguere bene il criminale sociale (sociopatico) da quello patologico (psicotico, eccetera): senza cure specifiche quest’ultimo non può essere recuperato».

Come spiegherebbe a un bambino che è importante essere tolleranti, accettare gli altri?
«Dimostrandogli (e qui la letteratura viene in enorme aiuto) che gli altri siamo noi».

Lei teme che la crisi economica in Italia possa inasprire i conflitti e sfociare nella violenza?
«No, non lo temo. Il seme della violenza viene sempre gettato dal miraggio della ricchezza, non dallo spauracchio della povertà».

Il libro più bello che ha letto sulla pace?
«Guerra e Pace, di Lev Tolstoj».
Paolo Rossi Castelli – OK Salute e benessere

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