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Carpediem, la storia del medico che ha inventato la mini-dialisi. Per salvare Lisa e altri neonati con grave insufficienza renale.

Scritto dallo stesso Claudio Ronco, nefrologo di fama internazionale, che con il suo team ha messo a punto una nuova macchina per dializzare i neonati. Il racconto della prima sperimentazione clinica, con ricordi autobiografici

Gli occhi di Lisa sono blu e nessuno lo sapeva. Quando inaspettatamente li apre, il 6 settembre 2013, con lei nella stanza di terapia intensiva c’è Claudio Ronco, nefrologo di fama internazionale che al suo capezzale ci ha passato la notte, e una sofisticata macchina miniaturizzata per la dialisi, mai usata prima su un paziente, tantomeno su una neonata che non pesa nemmeno tre chili. Sono loro tre i protagonisti di ‘Carpediem’ (Angelo Colla Editore), libro scritto dallo stesso direttore del Dipartimento di nefrologia dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza in cui si ripercorrono le ore, le incertezze e le speranze della prima sperimentazione clinica al mondo (leggi qui) di una nuova apparecchiatura per la dialisi neonatale messa a punto dal team di ricerca vicentino. Un racconto in prima persona che narra delle esperienze che possono cambiare una vita, con Lisa che sopravvive alla gravissima insufficienza renale e respiratoria con cui è nata, con la macchina CARPEDIEM che funziona davvero e pure bene, con le svolte inaspettate di una medicina dove «2+2 non fa mai quattro» e in qualche caso è una fortuna, lascia spazio anche al piccolo miracolo.  Il successo del caso clinico, poi riportato da Lancet all’attenzione della comunità scientifica internazionale, si snoda tra le pagine insieme ai ricordi di Ronco, tra le camminate sull’Altopiano di Asiago nel bianco della neve e i primi passi con il camice bianco, il rapporto con il padre medico e il significato di diventare ed essere lui stesso un medico. Ne parliamo proprio con Claudio Ronco, nostro esperto per Ok Salute (chiedi qui un consulto).

Carpediem sta per Cardio-Renal Pediatric Dialysis Emergency Machine, l’acronimo di un nome tecnico: la scelta è ricaduta su questo termine anche per altri motivi oltre la clinica? 

Gruppo San Donato

Certo. Carpediem è un simbolo per spiegare che in fondo nella vita bisogna cogliere l’attimo e pensare che ogni momento è, di per sé, il migliore che poteva capitare. Anche in medicina bisogna cogliere l’attimo perché un paziente può avere bisogno di te in quel momento e cinque minuti dopo potrebbe essere troppo tardi.

Come funziona la nuova apparecchiatura?

E’ una macchina per dialisi a tutti gli effetti, simile a quella disegnata per il paziente adulto, solo che è minaturizzata e si adatta alle dimensioni molto ridotte del neonato, limitando quindi le controindicazioni tecniche e cliniche di apparecchiature più grandi.

Prima di CARPEDIEM non era possibile trattare neonati con gravi insufficenze renali: perché a realizzarla ci siete arrivati voi, per primi, e non altri?

Già nel 1982 avevamo ideato dei minifiltri per la dialisi adatti a bambini molto piccoli, utilizzati poi in tutto il mondo. Da allora, però, non era stato fatto alcun passo avanti per affrontare casi neonatali. Quando l’ho realizzato ho deciso che era necessario inventarsi qualcosa. Presso il nostro istituto avevamo messo insieme competenze multidisciplinari e stavamo studiando nanotecnologie e miniaturizzazione, per un nuovo progetto ancora in via di sviluppo.

L’Istituto Internazionale di Ricerca Renale di Vicenza, braccio scientifico dell’Ospedale San Bortolo, ha offerto terreno fertile: quanto conta avere a disposizione un team multidisciplinare per trasformare un’idea in realtà?

Molto. Per fare quella ricerca translazionale di cui c’è bisogno abbiamo a disposizione un team multidisciplinare, con molti giovani ricercatori di cui la metà proviene dall’estero. Abbiamo ricercatori in tutte le discipline, ingegneria, fisica, chimica, statistica, matematica, economia, biologia, medicina. Il progetto è poi stato reso possibile con l’aiuto dell’Associazione Amici del Rene di Vicenza, che ha raccolto tutti i fondi necessari.

Lisa è stata la prima paziente sottoposta alla mini-dialsi: quali sono state le condizioni che vi hanno fatto capire che era il caso giusto?

Per un caso fortunato. Il prototipo della macchina è stato assemblato nel 2008, ne abbiamo testato le prestazioni in laboratorio e nel luglio 2013 è stato autorizzato il suo utilizzo sui pazienti. La bambina è capitata nel nostro centro dopo poche settimane. Lisa era talmente piccola e problematica che non si sarebbe potuta applicare nessuna delle terapie esistenti. Per questo abbiamo capito che era il momento giusto per mettere in funzione la macchina.

La prima sperimentazione, raccontata nel libro, è stata un po’ una scommessa e le linee guida scritte da zero accanto al lettino di Lisa. Quanti bambini potranno beneficiare della disponibilità di una mini-dialisi?

Per fortuna i casi come Lisa sono pochi, in Italia una ventina l’anno. Da allora oltre 30 bambini sono già stati dializzati con la macchina, confermando la sua utilità in casi difficili. Ci aspettiamo che le indicazioni terapeutiche possano espandersi anche ad altri casi, non solo a quelli così gravi. Oggi ci sono almeno una decina di CARPEDIEM disponibili in centri italiani, 8 in Europa e una macchina sta arrivando anche negli Usa. A Vicenza vogliamo ora creare un laboratorio di simulazione per insegnare a medici italiani e stranieri a usarla.

E’ passato un anno. Ha più visto Lisa?

Certo, è venuta a trovarmi. E’ cresciuta bene. Le è rimasta una lieve insufficienza renale che però non le impedisce di condurre una vita normale.

Poteva raccontare solo il caso clinico, invece ha scelto di scrivere un libro con accenni autobiografici. Perché?

Ho iniziato a scrivere questa storia sull’aereo, in volo verso gli Stati Uniti. Questo episodio di Lisa mi ha segnato profondamente, mi ha restituito il perché ho fatto medicina, mi ha ricompensato di 40 anni di rotture di scatole, mi ha ricompensato di tutte quelle fatiche e sacrifici che fanno parte della vita quotidiana. Stare al letto di questa bambina è stata un’esperienza fantastica. Non so se sono riuscito a trasmetterlo nel libro. Forse l’idea di metterlo per iscritto è per raccontare a più gente possibile quanto bello e incredibile è stato. 

Cinzia Pozzi

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