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Tumore della prostata

Quali sono i fattori di rischio e i sintomi? Bisogna per forza operarsi? Che conseguenze posso avere sulla mia vita sessuale? Soffrirò di incontinenza? Quali sono le terapie? Tutte le risposte

Il tumore della prostata è tra i più diffusi in assoluto tra gli uomini. Rappresenta circa il 20% del totale. Ci sono circa 35.000 nuovi casi all’anno. La buona notizia è che se si interviene precocemente ci sono buone speranze di sopravvivere, grazie anche ai notevoli passi avanti fatti dalla ricerca scientifica. Dal punto di vista meramente statistico, la situazione è molto simile a quello che avviene nelle donne con il tumore al seno. In Italia circa un uomo ogni otto sarà colpito nel corso della vita da questa tumore. Fortunatamente la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi supera il 90%, il 91 per la precisione, tra i più alti in oncologia.

Tumore della prostata: quali sono i fattori di rischio?

Il principale fattore di rischio per questo tumore è l’età. Le probabilità di sviluppare questo tipo di tumore crescono in modo significativo dopo i 50 anni di età, tanto che i due terzi delle diagnosi riguardano persone che hanno superato i 65 anni. Addirittura studi scientifici hanno dimostrato che più o meno sette ultraottantenni su dieci hanno questo tumore. Nella maggior parte dei casi però è asintomatico, quindi ce ne si accorge solo successivamente quando viene fatta l’autopsia. C’è da aggiungere che prima dei 40 anni è un tumore raro.

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La familiarità

Un altro fattore di rischio è la familiarità. Si stima che il rischio di sviluppare questo tumore è doppio per chi ha un parente stretto come il padre o il fratello  malato, rispetto a chi non ha casi in famiglia. Uno studio svedese pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute ha valutato i dati di oltre 50.000 uomini i cui padri e fratelli avevano avuto un diagnosi di carcinoma prostatico.

I risultati hanno evidenziato che gli uomini con un fratello con tumore alla prostata corrono un rischio del 30% di svilupparlo a loro volta prima dei 75 anni. Nella popolazione maschile senza familiarità il rischio si attesta intorno al 13 per cento. Gli uomini che hanno sia un padre, sia un fratello con tumore alla prostata, invece, corrono un rischio triplo di svilupparlo e un rischio del 48% di essere colpiti da una qualsiasi altra forma di tumore, sempre rispetto al 13% di rischio degli uomini senza familiarità.

Come per il tumore al seno e quello all’ovaio, anche in questo caso, le mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, ma anche di quello HPC1, possono far crescere il rischio di sviluppare questo cancro.

I livelli di testosterone, l’ormone maschile per eccellenza, devono essere tenuti sotto controllo. Quando sono alti, si ha una crescita maggiore delle cellule della prostata. Anche un altro ormone, l’IGF1, influenza la crescita delle cellule.

Attenzione al Papillomavirus

Uno studio recente svolto in Australia ha dimostrato che anche il Papillomavirus o HPV aumenti il rischio di sviluppare questo tumore. Questo virus è la più importante causa del cancro alla cervice dell’utero. Ecco perché le ragazze vengono vaccinate. La comunità scientifica è ormai concorde che la vaccinazione anti HPV  faccia scendere il rischio di questo tumore femminile del 99 per cento. Da qualche tempo anche gli adolescenti maschi sono vaccinati. Questo potrebbe avere conseguenze benefiche sul tumore della prostata, visto che il 10% degli uomini ha nel liquido seminale tracce di questo virus.

Come per la gran parte dei tumori, anche in questo caso lo stile di vita gioca un ruolo importante. La sedentarietà e una dieta ricca di grassi saturi insieme al sovrappeso possono contribuire ad alzare il rischio.

Dove si trova la prostata?

La prostata si trova di fronte al retto, solo negli uomini, dove produce parte del liquido seminale rilasciato durante l’eiaculazione. Generalmente è grande come una noce. Con il passare degli anni o per il sopraggiungere di determinate malattie può ingrossarsi. Come tutte le ghiandole sessuali, anche la prostata è significativamente sensibile all’azione degli ormoni che ne influenzano la crescita. L’ormone a cui è più sensibile è il testosterone.

Quali sono i sintomi del tumore della prostata?

Come avviene spesso, anche questo tipo di tumore è asintomatico nelle fasi iniziali. Per questo gioca un ruolo cruciale la visita specialistica – urologica, proctologica o andrologica. Può essere scoperto con l’esplorazione rettale o il controllo del PSA che avviene attraverso un semplice prelievo del sangue.

Quando la prostata comincia a ingrossarsi i sintomi tipici sono:

  1. Difficoltà a fare pipì, soprattutto a iniziare a fare pipì,
  2. bisogno di fare spesso la pipì,
  3. dolore quando si urina,
  4. sensazione di non riuscire a urinare in modo completo,
  5. sangue nelle urine e nello sperma.

Spesso questi sintomi sono fortunatamente legati a problemi di tipo benigno come ad esempio l’ipertrofia prostatica. In ogni caso è sempre meglio rivolgersi al proprio medico o direttamente allo specialista urologo che sarà in grado di decidere se sono necessari ulteriori esami di approfondimento.

Come si arriva alla diagnosi del tumore della prostata?

La prima domanda da farsi è a che età bisogna iniziare a sottoporsi agli esami di controllo?
«È fondamentale che dopo i 50 anni (o dopo i 45, nel caso in cui ci sia una familiarità per tumore prostatico) gli uomini si sottopongano a una visita annuale dall’urologo e a determinati esami». Ottavio De Cobelli è Direttore del Programma Urologia e Trattamento mininvasivo della Prostata all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano.

Un limite forte alla scoperta precoce di questo tumore sta nel fatto che troppo spesso gli uomini non fanno visite di controllo, come invece succede per le donne, che in grande maggioranza frequentano abbastanza assiduamente gli ambulatori dei ginecologi. Il dato che preoccupa è che solo la metà dei cinquantenne, età in cui il rischio si alza in modo significativo, vanno dall’urologo o comunque da uno specialista per una visita di controllo e chi ci è andato di solito lo ha fatto perché ha avuto sintomi.

Il test del Psa: utile o no?

L’esame che ha fatto da spartiacque Il numero di diagnosi di tumore della prostata è quello per la misurazione del PSA, che è stato introdotto negli anni Novanta. Qui puoi leggere l’intervista su questo test a uno dei massimi esperti in urologia. Va sottolineato immediatamente che capita spesso che i valori siano alterati anche per altri motivi, come una possibile infezione urinaria o per una iperplasia benigna. Bisogna sapere gestire molto bene questo test per non dare falsi positivi. Ecco perché è importante conoscere i fattori di rischio e la storia clinica e familiare dei pazienti. Un importante studio svolto negli Stati Uniti che ha analizzato ricerche su questo test ha comunque sottolineato che i benefici superano gli svantaggi.

I valori del Psa

Nell’antigene specifico prostatico (Psa) i valori variano in relazione all’età.

  • Fino a 60 anni: la soglia d’attenzione è di 2,5 ng/ml (nanogrammi per millilitro).
  • Dai 60 ai 70 anni: il limite sale a 4 ng/ml.
  • Oltre i 70 anni: anche 5-5,5 sono i limiti da non superare.

Come interpretare i risultati

Quando il valore è fra 4 e 10 è utile considerare anche il rapporto tra Psa libero e Psa totale. Sotto il 15% può far sospettare un tumore, al di sopra un’ipertrofia benigna. Ripetiamo ancora una volta che valori alterati di Psa pongono solo il sospetto di neoplasia e obbligano a un accertamento diagnostico. Infatti, il Psa non è un marcatore di tumore, ma di organo, in quanto prodotto solo dalla prostata.

La visita specialistica

La visita specialistica può essere fatta da un urologo o un proctologo. Per valutare lo stato della prostata, in genere il medico decidere di eseguire l’esplorazione rettale. In questo caso può aiutare a individuare la presenza di eventuali noduli alla prostata. Se lo ritiene opportuno il medico può decidere di utilizzare anche l’anoscopio.

L’ecografia transrettale

Si tratta di una tecnica che sfrutta gli ultrasuoni per evidenziare eventuali ingrossamenti della prostata (cioè l’ipertrofia prostatica) o eventuali formazioni al suo interno. Come gli altri due esami, anche questo è consigliato a partire dai 50 anni (dopo i 45, nel caso in cui ci sia una familiarità per tumore prostatico).

Come viene eseguita?

Il medico inserisce nell’intestino retto, attraverso l’ano, una sonda del diametro di un dito cosparsa di gel lubrificante che emette ultrasuoni e capta le onde riflesse dai tessuti prostatici. Queste onde vengono convertite in immagini su monitor con l’aiuto di un computer. L’esame è fastidioso, ma dura in tutto circa dieci minuti-un quarto d’ora.

Se il medico sospetta un tumore, procede in genere con una biopsia della prostata su guida ecografica eseguita in anestesia locale. Grazie alla guida della sonda inserita nel retto vengono effettuati, con un ago speciale, almeno 12 prelievi, che vengono poi analizzati dal patologo al microscopio alla ricerca di eventuali cellule tumorali. Tale indagine può chiarire un dubbio sollevato da elevati valori di PSA o dall’esplorazione rettale.

La biopsia prostatica e la risonanza magnetica multiparametrica

La biopsia prostatica è l’unico esame che può dare la certezza della presenza di cellule tumorali nella prostata. Prima di procedere a questo test, in genere ci si sottopone alla risonanza magnetica multiparametrica, che può rendere più precisa la biopsia. La biopsia è in anestesia locale e dura pochi minuti. Si inserisce nel retto una sonda ecografica dotata di un ago speciale che preleva una dozzina di campioni. Successivamente li analizzerà il patologo.

La prevenzione del tumore alla prostata

Come capita per la stragrande maggioranza dei tumori, ma anche delle malattie croniche, non c’è una prevenzione primaria specifica. Si possono mettere in atto però alcuni comportamenti e stili di vita che possono aiutare ad abbassare il rischio di sviluppare questo tumore.

Come sempre l’alimentazione gioca un ruolo cruciale. Le regole sono sempre quelle di consumare almeno cinque porzioni di frutta e verdura e cereali integrali. Limitare la carne rossa, specie quella particolarmente grassa o quella processata, quindi gli insaccati e gli hot dog, oltre a quella in scatola.

Attenti al sovrappeso

È buona regola mantenere il peso nella norma e tenersi in forma facendo attività fisica: è sufficiente mezz’ora al giorno, anche solo di camminata a passo sostenuto. Uno studio svolto su oltre 140.000 uomini dall’Università di Oxford ha dimostrato che l’obesità è un fattore di rischio importante per questo tumore. In particolare, il rischio era maggiore del 10% per ogni 5 kg/m2 in più nell’Indice di massa corporea e del 13% in più per ogni 10 centimetri di girovita.

Bisogna stare attenti anche allo stress.

L’alimentazione

«Gli isoflavonoidi possono ridurre il rischio di patologie della prostata, proteggendone i tessuti. Questi composti naturali sono presenti soprattutto nella soia e nei suoi derivati. Può essere altrettanto utile consumare alimenti che contengono la vitamina A, come i pomodori, le carote, gli spinaci e la vitamina E, che si trova nei vegetali, nei cereali, nei broccoli, nel tè verde e nella frutta e nella verdura in generale. Attenzione, però. È meglio evitare i supplementi vitaminici sotto forma di farmaci o compresse perché è dimostrato che l’eccesso di vitamine può avere effetti negativi sulla prostata». Alessandro Sciarra è specialista in patologie della prostata, che svolge la sua attività clinica e di ricerca nel reparto di Urologia del Policlinico Umberto I di Roma. Per tenere lontane queste patologie, però, è necessario cominciare fin dalla pubertà a osservare alcune semplici regole alimentari.

Il pomodoro e il licopene

Molti studi si concentrano sul ruolo del pomodoro nella prevenzione del tumore alla prostata. Diverse ricerche anche confermato che mangiare regolarmente pomodori cotti riduca il rischio di sviluppare questo cancro. Il composto contenuto nei pomodori che li renderebbe così potenti è il licopene. Si tratta di un antiossidante che si trova principalmente nella buccia e che diventa più facilmente assimilabile se cotto. Ecco perché il modo migliore è mangiare spesso il sugo di pomodoro cotto per almeno 45-60 minuti.

C’è invece incertezza nel mondo scientifico sull’utilità degli integratori a base di licopene e alla loro efficacia nella prevenzione di questo tumore. Uno studio clinico condotto proprio in Italia presso l’ospedale Le Molinette della Città della Salute di Torino e coordinato dal professor Paolo Gontero della Clinica Urologica universitaria, ha sostenuto che alcuni integratori fossero addirittura pericolosi. In realtà vi sono altri studi che sostengono il contrario. Manca quindi uno studio che possa mettere un punto su questa questione. Sicuramente consumare salsa di pomodoro cotta fa sicuramente bene.

Curcuma e cancro alla prostata

Da tempo i ricercatori stanno studiano se la curcumina, il principio attivo contenuto nella curcuma, abbia effetti sulla prostata. Sulle proprietà antitumorali della curcumina si è focalizzato lo studio del Jefferson Kimmel Cancer Center in collaborazione con la Thomas Jefferson University, pubblicato sul Cancer Research. I ricercatori hanno testato l’effetto della curcumina nel rallentare la crescita del tumore nei pazienti con tumore alla prostata in terapia ormonale. Le osservazioni del comportamento di questo componente hanno permesso di rilevare come la curcumina intaccasse la sopravvivenza delle cellule cancerose, rallentando la crescita del cancro. La curcumina, inoltre, ha promosso migliori risultati della terapia ormonale, aumentandone l’efficacia. Servono ancora studi per poter affermare che la curcuma abbia un impatto così importante su questo tipo di tumore.

Il ruolo dell’orgasmo

L’orgasmo è un’ottima forma di prevenzione del tumore alla prostata. Un’imponente ricerca svolta dall’Università di Harvard e che ha coinvolto più di 30.000 uomini, monitorati per quasi vent’anni dal 1992 al 2010 ha confermato quello che già altri studi più piccoli avevano sostenuto. L’eiaculazione ha un ruolo di prevenzione molto forte. I ricercatori hanno sottolineato che eiaculare 21 volte al mese abbassa di molto il rischio di sviluppare un tumore alla prostata. Lo studio è osservazionale, quindi ora servirà una ricerca per indagare i motivi che fanno dell’eiaculazione una potente forma di protezione di questo tumore.

Evoluzione della malattia

Anche il tumore alla prostata è suddiviso in diversi gradi, a seconda della sua aggressività e in stadi, a seconda dello stato della malattia.

Il grado di Gleason 

Una volta prelevato il campione attraverso la biopsia, il patologo gli assegna il gradi di Gleason. Si tratta di un numero compreso tra 1 e 10 che identifica il grado di difformità della ghiandola in esame da una prostata in condizioni normali. Più queste differenze saranno importanti più si salirà verso il numero 10. Fino a 6 si considerano tumori di basso grado, 7 intermedio, tra 8 e 10 di alto grado. Quelli di alto grado sono i più pericolosi e possono diffondersi anche ad altri organi.

Il sistema TNM

Per identificare lo stadio del tumore si usa il sistema TNM, acronimo che significa Tumore, Linfonodi, Mestastasi. Se i linfonodi sono interessati dal tumore dopo la N si metterà 1, se non lo sono 0. Lo stesso vale per le metastasi: 1 se ci sono, 0 se non ci sono.

Quindi per avere un quadro preciso del tumore nella diagnosi troveremo il livello di PSA, il grado di Gleason e il sistema TNM. In questo modo lo specialista potrà assegnare la classe di rischio, e cioè: basso, medio o alto. Nel primo caso l’oncologo potrebbe scegliere di non rimuovere la prostata, ma di tenerla sotto controllo.

Quali sono le terapie contro il tumore della prostata?

Fortunatamente la ricerca ha fatto passi da gigante anche contro questo tumore. Avendo a disposizione diversi trattamenti sarà l’oncologo o l’urologo a decidere dopo un’attenta valutazione della situazione e degli esami diagnostici quale sia la migliore per ogni paziente.

La sorveglianza attiva

Specie quando si è avanti con l’età o si soffre di altre patologie gravi, la scelta potrebbe essere quella di non fare nulla e aspettare, ma anche quando la diagnosi indica che il tumore è di basso rischio, si può decidere di aspettare. Naturalmente continuando a tenere sotto controllo la situazione con esami specifici e controlli periodici. Si chiama sorveglianza attiva o watchful waiting in inglese.

Questo tipo di sorveglianza tutela la salute del paziente tanto quanto la chirurgia radicale, con un vantaggio evidente per la persona, che evita di sottoporsi a un intervento con tutte le conseguenze del caso. «L’importante è che il paziente aderisca in maniera stretta al calendario dei controlli periodici. Questo vale per tutta la vita o fino a quando la malattia non modifica le sue caratteristiche iniziali. Se la patologia cambia siamo in grado di interrompere il percorso di osservazione, intervenire tempestivamente e indirizzare il paziente al trattamento» Riccardo Valdagni è direttore del programma prostata dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

L’intervento chirurgico

In altri casi si sceglie di procedere con la prostatectomia radicale, cioè la rimozione chirurgica della prostata e dei linfonodi che si trovano vicini al tumore. Se non ci sono metastasi, questo intervento è curativo. Sempre più spesso alla chirurgia classica, si affianca quella robotica, ormai diffusa in tutta Italia.

Effetti collaterali: l’incontinenza

La  prostatectomia può alterare i meccanismi sfinterici della continenza. Dopo tre mesi dall’operazione circa 4 pazienti su 10 soffrono di questo disturbo e dopo un anno il sintomo persiste in più di 2 casi su 10. 

Come mai avviene ciò? I nervi che regolano la continenza urinaria e la funzione vescicale passano all’interno della prostata. Se questa ghiandola viene asportata, viene intaccato anche questo fascio nervoso.

Ma allora, come si curano questi disturbi urinari?

Innanzitutto, il paziente viene sottoposto a delle sedute di “riabilitazione” della vescica, attraverso una specifica ginnastica pelvica. Spesso questa procedura si accompagna con farmaci, come gli alfa bloccanti, in grado di ridurre la perdita della urina e la frequenza della minzione.

Se non dovesse bastare, è possibile ricorrere alla chirurgia correttiva. La tecnica più semplice consiste nell’iniezione di collagene o di una miscela sintetica nell’uretra, il canale che conduce l’urina dalla vescica all’esterno. In questo modo, l’uretra si restringe e riesce a trattenere meglio la pipì.

Esiste anche la possibilità di posizionare delle fascette di materiale sintetico (chiamate “sling”) a livello dell’uretra, con lo scopo di creare un supporto per fare da barriera alle perdite urinarie (con un miglioramento fino al 90% dei casi).

Infine, nei casi di incontinenza grave, si può optare per un altro tipo di intervento chirurgico, cioè l’impianto di uno sfintere artificiale, costituito da un tubicino costruito intorno all’uretra, un serbatoio dietro al pube e una valvola nello scroto.

Dopo l’intervento si rischia l’impotenza?

«Nonostante l’intervento abbia sempre un impatto sulla qualità dell’erezione, oggi per fortuna non è così scontato che dopo l’operazione ci siano problemi di erezione e, soprattutto, che questi non siano risolvibili. Quasi sempre si trova una soluzione farmacologica» spiega l’andrologo Paolo Turchi.

«Quello che però il paziente deve sapere è che in una prima fase post-operatoria la sua erezione non funzionerà bene come prima. Ci sono possibilità di recupero che vanno aiutate con terapie precoci di tipo riabilitativo, come per esempio gli esercizi per il pavimento pelvico».

A questo tipo di attività va poi abbinato un farmaco in grado di mantenere il meccanismo dell’erezione vitale «perché questa, come tutte le attività del nostro corpo, ha bisogno di fare esercizio per mantenersi efficiente» conclude Turchi.

Radioterapia e ormonoterapia

Quando il tumore è però in stadi avanzati non è sufficiente l’intervento chirurgico e occorre ricorrere anche a trattamenti come la radioterapia o la ormonoterapia.

Per i tumori a basso rischio si può utilizzare la radioterapia a fasci esterni, che studi l’hanno confrontata e paragonata ai risultati della prostatectomia.

La brachiterapia

Nei casi a basso rischio di progressione la terapia più indicata è la brachiterapia. È una forma di radioterapia che prevede il posizionamento all’interno della prostata di piccole sorgenti radioattive metalliche che hanno la grandezza di un chicco di riso e per questo vengono chiamate semi. La procedura richiede circa un paio d’ore.

In che modo agisce la brachiterapia?

Colpisce in modo più mirato il tumore prostatico, grazie alle radiazioni generate dalle piccole barre metalliche, riducendo l’entità di danni collaterali agli altri organi nelle vicinanze (come il retto e la vescica).

Questi impianti rimangono a vita all’interno della prostata. Non causano però nessun tipo di pericolo per le altre persone, dato che le radiazioni vengono assorbite dal tessuto prostatico circostante ai semi e, soprattutto, perché l’attività di queste sorgenti radioattive decade nel tempo. Tuttavia, nei primi giorni dopo la brachiterapia i medici consigliano ai pazienti di evitare di prendere in braccio bambini piccoli e di stare vicino a donne in gravidanza. Decisamente sconsigliata per il trattamento di tumori voluminosi e aggressivi, questa terapia ha ottimi risultati sui pazienti con cancro prostatico a basso rischio. L’80% è libero da progressione di malattia 7 anni dopo il trattamento.

Terapie per il tumore della prostata sotto osservazione

Ci sono anche altre terapie che sono sotto la lente di ingrandimento del mondo scientifico. Si stanno sperimentando ad esempio la crioterapia, cioè l’eliminazione delle cellule tumorali con il freddo, o l’uso degli ultrasuoni sul tumore, l’HIFU.  Anche una sorta di vaccino che sia in grado di stimolare il sistema immunitario sta dando risultati promettenti, così come i farmaci anti-angiogenici che bloccano la formazione di nuovi vasi sanguigni impedendo al cancro di ricevere il nutrimento necessario a evolvere e svilupparsi ulteriormente.

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Francesco Bianco

Giornalista professionista dal 1997, ha lavorato per il sito del Corriere della Sera e di Oggi, ha fatto interviste per Mtv e attualmente conduce un programma di attualità tutte le mattine su Radio LatteMiele, dopo aver trascorso quattro anni nella redazione di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore. Nel 2012 ha vinto il premio Cronista dell'Anno dell'Unione Cronisti Italiani per un servizio sulle difficoltà dell'immigrazione. Nel 2017 ha ricevuto il premio Redattore del Gusto per i suoi articoli sull'alimentazione.
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