«Tre dita di lasagne e un dito di vino, grazie». Se sentite pronunciare queste parole al ristorante, probabilmente significa che il vostro vicino di tavolo è a dieta. La larghezza delle dita, infatti, può essere usata come “righello” per stimare con sufficiente accuratezza la quantità degli alimenti, soprattutto quando siamo fuori casa senza una bilancia a disposizione. Lo dimostra uno studio dell’Università di Sydney, il primo a valutare scientificamente la precisione di questo sistema di misura mettendolo a confronto con altri più casalinghi, come i pugni, i cucchiai e i bicchieri.
L’idea è della giovane ricercatrice Alice Gibson, che ha provato a mettersi nei panni di un paziente sovrappeso a dieta. «Compilando il mio diario alimentare per una settimana, mi sono resa conto di quanto sia difficile stimare la quantità del cibo nel piatto, soprattutto per le persone che sono fuori casa e non hanno una bilancia a disposizione». L’unico strumento che è possibile sfoderare con discrezione in queste situazioni è proprio la mano, e così la ricercatrice ha pensato di verificare se la larghezza delle dita (opportunamente combinata con formule geometriche e coefficienti di densità dei cibi) potesse essere idonea a stimare il peso degli alimenti, come ad esempio le lasagne. Grazie all’aiuto di 67 volontari, ha dunque provato a valutare a colpo d’occhio il peso di 42 alimenti e bevande pesati in precedenza, usando la larghezza delle dita e altri metodi casalinghi, come il pugno, la punta delle dita, i pollici, i cucchiai e le tazze.
I risultati dello studio, pubblicati su Journal of Nutritional Science, dimostrano che la larghezza delle dita è il metro di misura più accurato, capace di stimare il reale peso degli alimenti nell’80% dei casi con un margine di errore pari al 25%, contro il 29% degli altri metodi fai-da-te.
«Sebbene questo sistema vada ulteriormente perfezionato – commenta Alice Gibson – credo che abbia tutto il potenziale per essere incorporato in piattaforme elettroniche come le app degli smartphone per automatizzare i calcoli e stimare la quantità dei cibi in modo più rapido e accurato».
Insomma, una versione 2.0 della famosa “dietetica per volumi”, «nata più di trent’anni fa negli Stati Uniti usando la pallina da baseball come unità di misura», come ricorda Giuseppe Fatati, presidente della Fondazione ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica). L’idea della dieta a colpo d’occhio si diffuse rapidamente in tutto il mondo e sbarcò anche in Italia grazie al noto nutrizionista Oliviero Sculati, che propose di usare la grandezza della mano come riferimento. «Il sistema è molto apprezzato dai pazienti a dieta, perché la mano è in effetti la cosa più semplice e pratica da usare», sottolinea Fatati. «Il suo volume rispecchia la grandezza della persona e il suo dispendio energetico: può dunque essere usata come riferimento per fare una dieta equilibrata e lievemente ipocalorica, l’ideale per chi non vuole prendere peso». Il metodo è stato attentamente studiato dagli esperti, tanto da arrivare a calcolare esattamente l’apporto calorico in base alle dimensioni della mano del paziente. «Questo sistema di misura può essere applicato in maniera scientifica con l’aiuto di un dietista esperto, in modo da arrivare ad una dieta personalizzata – spiega Fatati – ma può essere usato anche in maniera più superficiale e approssimativa, per avere solo un’idea delle quantità di cibo che bisogna consumare».
E in effetti basta tenere a mente poche e semplici regole per non esagerare a tavola. «Per quanto riguarda la pasta, non dovremmo mangiare quantità che superino il volume del pugno chiuso della nostra mano», ricorda l’esperto. «La fettina di carne dovrebbe essere grande quanto la nostra mano aperta – aggiunge – il formaggio fresco dovrebbe essere pari al volume di indice e medio, mentre per quanto riguarda il pane, possiamo usare il pugno chiuso come riferimento se si tratta di un panino, mentre le fette dovrebbero essere grandi quanto mezza mano aperta».
di Elisa Buson
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