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Celiachia: eliminare il glutine a volte non basta

Continuano ad aumentare i casi di celiachia: negli ultimi vent'anni il numero è quasi raddoppiato. Colpa dello smog?

Si è passato dall’1% al quasi 2% della popolazione colpita. La celiachia, l’infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine in chi è geneticamente predisposto, sta colpendo ormai 1.000.000 di persone in Italia. Il raddoppio è avvenuto in appena vent’anni. La maggior parte dei casi è registrato in alcune aree metropolitane.

La notizia arriva da una nuova ricerca italiana, presentata durante l’ottavo Convegno Annuale The Future of Celiac Disease dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC). Tra le ipotesi che spiegherebbero questa impennata dei numeri ci sono cause ambientali, molto probabilmente legate all’inquinamento. Ecco perché il rialzo degli episodi avviene nelle grandi città, che sono tendenzialmente più inquinate. Conosci i nove sintomi della celiachia?

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Le diagnosi arrivano in media oltre 6 anni dopo i primi sintomi

L’attenzione del mondo medico è ora concentrato sui pazienti cosiddetti camaleonti. Si tratta di persone con sintomi che non sono comuni ai celiaci. Si tratta di:

  • afte ricorrenti in bocca,
  • un’orticaria fastidiosa,
  • l’anemia,
  • le irregolarità mestruali.

Gli esperti propongono test del sangue mirati almeno su pazienti ricoverati in reparti come ginecologia, pediatria, medicina interna per individuare prima possibile i casi che resterebbero sotto silenzio perché si presentano con sintomi sfuggenti.

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Basta evitare il glutine?

Seguire scrupolosamente una dieta gluten-free non è sempre sufficiente per risolvere i problemi intestinali causati dalla celiachia: una buona fetta dei pazienti continua infatti a presentare la mucosa intestinale danneggiata, nonostante la riduzione dei sintomi e il miglioramento delle analisi del sangue.
A lanciare l’allerta, sottolineando la necessità di esami e controlli più stringenti, è uno dei massimi esperti mondiali di celiachia, l’italiano Alessio Fasano, direttore della gastroenterologia pediatrica presso il MassGeneral Hospital for Children (MGHfC).

La ricerca americana sui bambini celiaci

Esaminando le cartelle cliniche di oltre 100 bambini celiaci, Fasano e i suoi collaboratori hanno scoperto che un piccolo paziente su cinque continua ad avere la mucosa intestinale danneggiata anche se segue attentamente una dieta gluten-free. Questo dato sorprendente, pubblicato su Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition in collaborazione con il Boston’s Children Hospital, è comunque in linea con altri studi precedenti che dimostrano come il 33% dei celiaci adulti continui ad avere la mucosa intestinale rovinata nonostante l’eliminazione del glutine.

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I risultati della ricerca sui bambini celiaci

L’incredibile conferma ottenuta anche sui bambini dimostra «che dobbiamo intervenire in maniera più decisa per ottenere la guarigione della mucosa in tutti i pazienti, non solo negli adulti», afferma Maureen Leonard, che insieme a Fasano dirige il Centro per la celiachia del MassGeneral Hospital for Children. Qui, i pediatri hanno deciso di cambiare il loro approccio ai piccoli pazienti proprio alla luce di questi nuovi dati. D’ora in poi i bambini con più di 10 anni di età saranno monitorati non solo con gli esami del sangue, ma anche con l’esame endoscopico, che verrà ripetuto dopo un anno di dieta gluten-free.

Il parere dell’esperto in gastroenterologia pediatrica

«Finchè non avremo a disposizione esami non invasivi affidabili per verificare lo stato della mucosa intestinale nei bambini celiaci, la biopsia rimarrà cruciale, non solo per la diagnosi iniziale ma anche per il successivo monitoraggio», afferma Ivor Hill, gastroenterologo pediatrico della Ohio State University, che in un articolo di commento allo studio invita gli esperti di tutto il mondo a rivedere le loro strategie.

Usare gli esami del sangue per monitorare i pazienti, insomma, non è sempre sufficiente. Lo studio di Fasano dimostra addirittura che il test principale usato per monitorare la celiachia, quello degli autoanticorpi IgA anti-transglutaminasi (tTG), non permette di conoscere in maniera precisa la condizione della mucosa intestinale.

«Negli anni ’70 – spiega Fasano – i pediatri erano soliti eseguire tre endoscopie. La prima per diagnosticare la celiachia, la seconda per vedere la situazione dopo un anno di dieta gluten-free. La terza veniva svolta a distanza di altri sei mesi per verificare la reazione del paziente alla reintroduzione del glutine. Quando negli anni ’90 sono stati sviluppati test del sangue efficaci, siamo passati ad una sola endoscopia, che oggi addirittura non viene fatta in un certo sottogruppo di pazienti. Abbiamo dato per scontato che la dieta senza glutine avrebbe comportato la guarigione. Ora che abbiamo scoperto che questo ragionamento non vale per tutti i pazienti celiaci, stiamo cambiando la nostra pratica clinica ripetendo l’endoscopia dopo un anno di dieta».

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