Salute

Tumori testa-collo: attenzione a sintomi banali che durano da più di 3 settimane

Tra questi c'è anche il tumore alla gola. Ecco di che si tratta e in che modo si può intervenire

Quando si parla di cancro la diagnosi precoce può fare la differenza e questo vale ancor di più se si tratta di tumori testa-collo, dei quali ogni anno in Italia si registrano 16 nuovi casi ogni 100.000 abitanti. Prima si interviene, ossia quando le cellule tumorali non hanno preso completamente il sopravvento, migliore è l’esito della terapia e meno invalidante sarà l’impatto della neoplasia.

Cosa si intende per tumori testa-collo

«Con l’espressione tumori testa-collo si fa riferimento a diverse forme di tumore che riguardano il distretto anatomico di interesse dell’otorinolaringoiatra: quindi bocca, gola, naso e seni paranasali, orecchio, laringe, faringe, ghiandole salivari, tiroide», spiega Mario Bussi, primario di otorinolaringoiatria dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano.

Gruppo San Donato

«Sono tumori piuttosto aggressivi, che evolvono molto velocemente ma danno sintomi banali: per questo è importante sensibilizzare la popolazione affinché non trascurino alcune situazioni che possono essere campanelli di allarme».

Quali sono i sintomi?

Raucedine, bruciore alla gola, difficoltà nel deglutire, sanguinamenti dal naso o dalla gola, ulcere o placche in bocca sono fastidi piuttosto frequenti e, se passeggeri, non devono creare alcun allarmismo. Ma se durano per alcune settimane (3 o più) è opportuno andare dal medico.

«La persistenza del sintomo non deve infatti essere sottovalutata perché può essere connessa a una neoplasia di questa regione anatomica», chiarisce Bussi. Il riconoscimento dei sintomi e la diagnosi precoce sono fondamentali perché offrono ai pazienti una possibilità di guarigione attorno al 90%. Tuttavia, come evidenzia l’Associazione italiana di oncologia cervico-cefalica, la malattia è diagnosticata in fase avanzata in 4 casi su dieci.

Tumori testa-collo: quali sono i fattori di rischio?

«Alcol e tabacco sono i principali fattori di rischio anche dei tumori testa-collo, soprattutto di quelli che colpiscono cavità orale, orofaringe, ipofaringe e laringe. Ma anche meccanismi virali sono in grado di modificare l’epidemiologia, la frequenza e l’incidenza di questi tumori», spiega Bussi, riferendosi in particolare al virus HPV, noto in quanto responsabile dei tumori al collo dell’utero.

«Con il papillomavirus umano si può convivere, ma di fatto modifica in alcuni casi i meccanismi di soppressione delle cellule tumorali, agevolando la proliferazione di cellule aberranti a livello delle tonsille e della base della lingua».

L’AIOCC segnala, inoltre, tra i principali fattori di rischio anche:

  • Età: sono neoplasie che si presentano più frequentemente nelle persone sopra i 40 anni.
  • Dieta povera in vitamine del gruppo A e B: vale a dire con poca frutta e verdura fresca.
  • Scarsa e non corretta igiene orale: soprattutto in chi usa protesi dentarie.
  • Esposizione prolungata ad alcune sostanze: quali la polvere di legno e cuoio, la formaldeide, le radiazioni
    ionizzanti, il nichel e l’amianto.

Come si diagnosticano i tumori testa-collo?

Oggi la diagnosi si avvale di strumenti tecnologicamente sempre più avanzati con i quali è possibile esplorare minuziosamente il cavo orale e identificare lesioni allo stato iniziale.

Telecamere endoscopiche ed esami radiologici, quali ecografia, tac, risonanza magnetica nucleare, pet, sono sempre più determinanti anche per orientare la terapia e valutarne successivamente i risultati, monitorando l’estensione della malattia. Resta importante comunque la biopsia, per effettuare l’esame istologico di un piccolo campione di tessuto e confermare o meno la diagnosi di tumore.

Come si curano?

La terapia si basa su tre diverse forme di trattamento, complementari o alternative a seconda dei casi:

  • chirurgia
  • radioterapia
  • chemioterapia.

«La scelta del protocollo terapeutico dipende dal tipo di tumore, dall’entità e dallo stadio della malattia», precisa Bussi. «Alcune lesioni, per esempio, possono essere di scarsa accessibilità per il chirurgo, allora si opta per il trattamento radiante. In alcune situazioni invece si gioca la carta della chirurgia e si ricorre alla radioterapia (e chemioterapia) solo successivamente, per bonificare le cellule tumorali rimaste», racconta Nadia Di Muzio, primario di radioterapia al San Raffaele.

«In ogni caso, la scelta è fatta da un team multidisciplinare: radiologo, radioterapista, oncologo e chirurgo valutano insieme la migliore strategia». Più in generale, quando la malattia è in fase avanzata è necessaria la combinazione di più metodiche terapeutiche

Chirurgia per tumori testa-collo

«Oggi l’evoluzione della tecnologia ci consente di fare non solo diagnosi sempre più precoci, ma anche interventi mininvasivi, con la chirurgia endoscopica o con l’impiego del laser, che possono essere risolutivi in caso di piccoli tumori, e permettono di conservare nella quasi totalità dei casi funzioni fondamentali come la voce e la deglutizione, preservando anche l’aspetto estetico del paziente», spiega Bussi, sottolineando l’importanza di poter sanare la malattia, quando possibile, senza infierire con tagli, cicatrici e mutilazioni che lasciano una «ferita» indelebile gravando sulla qualità della vita del paziente.

Nei casi invece in cui il tumore è molto avanzato e aggressivo, «è necessaria una demolizione chirurgica estesa, e l’intervento per la resezione dell’area interessata e l’asportazione del tumore e dei linfonodi (che possono essere sedi di metastasi) viene completato dalla chirurgia ricostruttiva per limitare gli effetti mutilanti della terapia e assicurare il recupero di funzioni molto importanti: mangiare, respirare, parlare». In alcuni casi, però, non si può fare a meno di ricorrere alla tracheotomia. «In altre parole, a livello della trachea viene aperto una sorta di sportello per consentire al paziente di respirare e potersi alimentare», spiega l’otorinolaringoiatra.

«Mentre in chi perde definitivamente la voce abbiamo la possibilità, dopo un paio di mesi dall’intervento chirurgico, di impiantare delle valvole fonatorie che restituiscono al paziente la facoltà di emettere suoni e quindi di parlare». In ogni caso, per sanare eventuali alterazioni a carico della voce o della deglutizione, il paziente deve seguire un periodo di riabilitazione di un paio di mesi con i logopedisti.

Radioterapia

A volte, in determinate situazioni, al posto della chirurgia si utilizza la radioterapia. «La radioterapia può essere in alcuni casi il trattamento esclusivo, di prima scelta, in altri invece adiuvante, da proporre dopo la chirurgia», dice Di Muzio. Le dosi di radiazioni possono innescare uno stato infiammatorio delle mucose che rivestono cavo orale, naso, guancia, faringe, laringe, senza però comprometterne le funzioni tranne che per quanto riguarda le ghiandole salivari.

«Il trattamento riduce la produzione di saliva, che ha un ruolo da non sottovalutare, perché deterge il cavo orale, favorisce la deglutizione dei cibi e consente di parlare più agevolmente. In parte però questo deficit può essere compensato da altre ghiandole salivari, non irradiate e quindi non alterate. Inoltre oggi esistono tecniche di radiazione tecnologicamente avanzate che ci consentono di ridurre al minimo questo effetto collaterale».

Il ruolo degli esami radiologici è molto importante nel guidare il lavoro del radioterapista: le immagini acquisite sono fondamentali, infatti, per identificare e localizzare la malattia e capire dove erogare le radiazioni e come dosarle, in modo da risparmiare i tessuti circostanti ed evitare effetti collaterali.

«La pet ci fornisce una mappa dettagliata della distribuzione del tumore all’interno dell’organo», sottolinea Di Muzio, «e in base a questo noi possiamo modulare le dosi, essere più selettivi e risparmiare i tessuti sani». Mediamente un ciclo di radioterapia richiede 30 sedute a cadenza giornaliera. «Ogni singola seduta dura pochi minuti e l’esecuzione è del tutto indolore e molto simile a un esame radiologico».

Una dieta su misura

Per rendere meno difficile il percorso terapeutico e minimizzare gli effetti collaterali, in particolare l’infiammazione
delle mucose, si può giocare d’anticipo. Prima di iniziare il ciclo di radioterapia si mette a punto un programma nutrizionale ad hoc per evitare che a causa del bruciore del cavo orale e delle difficoltà di deglutizione, il paziente perda appetito e dimagrisca.

Inoltre si procede con un programma di bonifica dentaria, per verificare che denti e gengive siano a posto e non facilmente vulnerabili da ascessi. «Supportare il paziente affinché si alimenti adeguatamente è importante: si va dalla flebo, se necessario, alla raccomandazione di scegliere cibi morbidi. Si danno inoltre le istruzioni per un’accurata igiene orale perché un’eventuale infiammazione può causare ulteriore infiammazione dei tessuti irradiati», conclude Di Muzio.

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