Salute

Pressione alta: le cure efficaci di oggi e quelle di domani

L'ipertensione è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. A che punto siamo e quali sono le prospettive terapeutiche per il futuro?

La pressione alta è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari, ancora oggi principale causa di morte a livello globale, perciò è fondamentale la ricerca su nuove cure, sempre più efficaci. I farmaci antipertensivi disponibili oggi non permettono di guarire dall’ipertensione, ma contribuiscono a controllare i suoi livelli, riducendo il rischio di infarti e altri eventi cardiovascolari.

Per pressione alta si intende una condizione in cui i livelli di pressione sanguigna sono superiori al normale. Generalmente in più misurazioni >140mm Hg pressione sistolica e >80mm Hg diastolica. Più è elevata la pressione, maggiore è lo stress sulle pareti arteriose e, di conseguenza, il rischio di patologia. I principali fattori di rischio sono una dieta non salutare e ricca di sale, la mancanza di attività fisica e un elevato consumo di bevande alcoliche.

Gruppo San Donato

Pressione alta: cure e strumenti disponibili oggi

Farmaci

Oggi i trattamenti di prima linea per l’ipertensione prevedono l’utilizzo di quattro categorie di farmaci, spesso usati in combinazione. Gli ACE inibitori, i bloccanti del recettore dell’angiotensina II (ARBs), i bloccanti del canale del calcio e i diuretici. A questi trattamenti farmacologici, si aggiungono anche una serie di strategie che pongono il paziente al centro dell’attenzione. Per esempio, si assiste a un crescente interesse verso l’utilizzo di device semplici, come lo smartwatch. Oppure si cerca di migliorare l’aderenza dei pazienti alla terapia attraverso singole polipillole.

La polipillola

La polipillola è una compressa contenente più principi attivi con meccanismi di azione differenti, ma utili per il trattamento della stessa patologia. «Il termine nasce nel 2001 quando l’Organizzazione mondiale della sanità propose l’utilizzo di un’unica pillola che contenesse i diversi farmaci raccomandati per la riduzione del rischio cardiovascolare (statine, antiaggreganti, ace inibitori)» spiega Liberato Berrino, coordinatore della sezione di Farmacologia clinica della Società italiana di farmacologia (Sif) e ordinario di Farmacologia dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.

«Il suo obiettivo era quello di ridurre l’insorgenza dei nuovi eventi cardiovascolari in pazienti con precedente infarto del miocardio, aumentando l’aderenza al trattamento. Nel corso degli anni sono stati effettuati diversi studi clinici che hanno dimostrato la maggiore efficacia dell’impiego di tale strategia terapeutica nel ridurre il rischio cardiovascolare rispetto all’assunzione separata dei singoli principi attivi».

«Il concetto di polipillola è stato poi traslato ad altri ambiti terapeutici. Nell’armamentario terapeutico dell’ipertensione arteriosa esistono infatti numerose associazioni precostituite di principi attivi con meccanismo d’azione sinergico. Hanno il vantaggio di consentire al paziente l’assunzione di due o più farmaci antipertensivi una sola volta al giorno. Anche in questo caso di aumenta l’aderenza al trattamento».

Il ruolo dello smartwatch

Fisiologicamente i valori della pressione cambiano di frequente durante le attività quotidiane e anche in relazione allo stato d’animo. «L’utilizzo di un device come lo smartwatch potrebbe contribuire a un monitoraggio costante di queste oscillazioni. Si tratta di dispositivi intelligenti che permettono di avere costantemente sotto controllo funzioni basali come il battito cardiaco e la pressione arteriosa, nonché di registrarle e riprodurre il dato sotto forma di un trend grafico inerente ad un particolare arco temporale» precisa Berrino.

In realtà ci si chiede spesso quando questi device siano precisi, dato che il valore rilevato risente non solo delle oscillazioni fisiologiche, ma anche della modalità con cui il dispositivo viene utilizzato. «Lo scopo di questi dispositivi, infatti, non è quello di sostituirsi al clinico nel formulare diagnosi. Ma di rendere più rapida la presa in carico del paziente, aiutandoci a individuare quelle forme di ipertensione arteriosa difficilmente riscontrabili durante le visite ambulatoriali a causa della loro sporadicità».

Pressione alta: le cure di domani

Silenziamento genico

Tra i farmaci attualmente in sviluppo ci sono medicinali a silenziamento genico per i recettori specifici dell’angiotensina (siRNA), oppure per i canali del calcio di tipo TRPC1. «La medicina, attraverso queste futuristiche applicazioni dell’RNA interference, diventa sempre meno invasiva e più precisa» sottolinea l’esperto Sif. «Gli approcci terapeutici basati su siRNA hanno un potenziale sostanziale per favorire l’aderenza al trattamento, una delle principali esigenze non soddisfatte nella terapia antipertensiva.

Trattamento della pressione alta resistente

Parallelamente c’è molto interesse nel comprendere meglio i meccanismi legati all’ipertensione resistente. «L’ipertensione resistente alle terapie farmacologiche», continua Berrino, «è definita come la presenza di valori pressori elevati (superiore a 140/90 mmHg e superiori a 130/80 mmHg se il paziente è diabetico o nefropatico) nonostante il trattamento con tre o più farmaci antipertensivi». Si stima che circa una persona ipertesa su dieci, ossia quasi 100 milioni di persone in tutto il mondo, sia resistente al trattamento. «Questi pazienti hanno un rischio tre volte più elevato di andare incontro ad eventi cardiovascolari rispetto ai soggetti con ipertensione controllata», fa sapere Berrino. «Inoltre sono maggiori le loro probabilità di soffrire di diabete, nefropatia cronica e obesità».

Antagonisti dei recettori dell’endotelina

Gli antagonisti dei recettori dell’endotelina, attualmente utilizzati per il trattamento dell’ipertensione polmonare, potrebbero avere un ruolo anche nella cura della pressione alta resistente. «La loro efficacia è ancora in fase di studio. Ma i dati pubblicati sembrano essere promettenti» sottolinea l’esperto Sif. «Uno studio pubblicato nel 2022 ha mostrato l’efficacia di un antagonista dell’endotelina (aprocitentan) nel controllo della ipertensione sistolica resistente dopo quattro settimane di trattamento e con effetto ancora significativo dopo 40 settimane. Precedenti studi avevano dimostrato l’efficacia di altri farmaci antagonisti dei recettori dell’endotelina, come bosentan e darusentan, nel ridurre i valori di pressione arteriosa».

Inibitori dell’aldosterone

In ultimo, recenti evidenze suggeriscono il ruolo dell’aldosterone nell’insorgenza dell’ipertensione resistente. Si tratta di un ormone prodotto dal surrene, coinvolto per esempio nella regolazione dei livelli plasmatici di sodio e potassio. «Pertanto, la ricerca si sta focalizzando sullo sviluppo di farmaci che inibiscano la produzione di aldosterone. Promettente è il baxdrostat, che inibisce l’enzima (aldosterone sintasi) che sintetizza l’ormone» conclude Berrino. «I risultati di uno studio multicentrico randomizzato di fase 2, hanno mostrato che l’impiego di tale farmaco è in grado di ridurre in maniera significativa i valori pressori in pazienti affetti da ipertensione resistente con minimi effetti avversi. I risultati incoraggianti di questo trial, andranno poi confermati con studi di fase 3, anche se aprono una strada nuove prospettive terapeutiche».

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Giulia Masoero Regis

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, sito e giornale, e altre testate di divulgazione scientifica. Laureata in Scienze Politiche, Economiche e Sociali all'Università degli Studi di Milano, nel 2017 ha vinto il Premio Giornalistico SID – Società Italiana di Diabetologia “Il diabete sui media”; nel 2018 il Premio DivulgScience nel corso della XII edizione di NutriMI – Forum di Nutrizione Pratica e nel 2021 il Premio giornalistico Lattendibile, di Assolatte, nella Categoria "Salute". Dal 2023 fa parte del comitato scientifico dell’associazione Telefono Amico Italia.
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