Benessere

Perché in acqua i polpastrelli raggrinziscono?

Il fenomeno è stato oggetto di studio per molti anni. Ora prevalgono tre teorie, tutte valide e clinicamente sperimentate

Può succedere dopo un bagno caldo, una lunga nuotata in piscina o qualche bracciata in mare. Bastano pochi minuti in ammollo in acqua per ritrovarsi con i polpastrelli delle dita delle mani raggrinziti e rugosi. Perché accade? Il fenomeno è stato oggetto di studio per moltissimi anni tanto che oggi esistono diverse teorie a riguardo.

Perché in acqua i polpastrelli raggrinziscono?

La teoria dell’osmosi

Tra le possibili spiegazioni c’è quella relativa alla cosiddetta osmosi. La parte più superficiale dell’epidermide, cioè lo strato corneo, è formato da cheratina, una proteina presente anche in unghie e peli. Questa componente tende a legarsi all’acqua e ad assorbirla, facendo sì che, dopo diversi minuti trascorsi in ammollo, la pelle dei polpastrelli aumenti in volume. Poiché lo strato corneo aderisce perfettamente al livello sottostante, questo fenomeno si traduce in un’increspatura. L’ultimo strato dell’epidermide, infatti, si costella di pieghe e grinze, che scompaiono da sole nel giro di 15-20 minuti. A essere interessati sono solo i polpastrelli perché è qui che si concentra la maggior quantità di cheratina.

Gruppo San Donato

Il ruolo dei neuroni

Alcuni ricercatori, invece, sostengono che i polpastrelli raggrinziscano per motivi neurali. Dopo aver studiato dei pazienti con lesioni al nervo mediano, che percorre tutto il braccio fino a raggiungere la mano, è emerso che le dita di questi individui non subivano il fenomeno dell’increspatura. Questo, stando agli studiosi, sarebbe dovuto al fatto che a contatto con l’acqua le terminazioni nervose involontarie si attivano, innescando un processo di vasocostrizione nel derma. Qui i vasi e i capillari si restringono, il derma perde volume e lo strato sovrastante, cioè l’epidermide, si riempie di grinze.

L’evoluzione umana

C’è anche chi ha trovato una spiegazione evolutiva al fenomeno. Uno studio del 2013 dell’Università di Newcastle, pubblicato sul Royal Society Journal Biology Letters, ha preso in esame alcuni volontari, divisi in due gruppi: nel primo gli individui avevano i polpastrelli raggrinziti, nel secondo asciutti. Tutti hanno dovuto afferrare delle biglie immerse in un contenitore colmo d’acqua, per poi farle passare in un condotto molto stretto e depositarle in un’altra bacinella. Dall’esperimento è emerso che chi aveva i polpastrelli rugosi riusciva a svolgere l’attività richiesta molto più velocemente e senza difficoltà alcuna rispetto agli altri. Proprio come i battistrada degli penumatici, infatti, i polpastrelli raggrinziti drenano l’acqua e migliorano l’aderenza, agevolando la presa degli oggetti. Un lascito dell’evoluzione umana, stando ai ricercatori: gli antichi avrebbero sviluppato questa caratteristica per reperire più agevolmente le provviste, ad esempio il pesce, in acqua.

Anche un recente studio della Manchester Metropolitan University, pubblicato su PLOS ONE, ha dimostrato che effettivamente gli oggetti in acqua vengono afferrati meglio con le dita piene di grinze. I ricercatori hanno coinvolto oltre 500 volontari, che hanno diviso in tre gruppi: chi aveva le mani asciutte, chi le aveva bagnate ma senza polpastrelli rugosi e chi aveva le dita increspate a causa dell’acqua. A tutti i partecipanti è stato chiesto di prendere un oggetto tra il pollice e un altro dito, con lo scopo di misurare la forza di presa con rilevazioni fatte al computer.

Dai dati raccolti è emerso che le persone con le mani asciutte utilizzavano meno forza di quelle con le mani bagnate perché la presa sull’oggetto era migliore. Tuttavia, coloro che avevano le dita raggrinzite presentavano una forza di presa minore rispetto a quella impressa dai volontari con solo le mani bagnate (e non rugose). Gli studiosi hanno trovato quindi conferma del fatto che le pieghe sui polpastrelli aiutavano i partecipanti all’esperimento ad afferrare meglio gli oggetti immersi nell’acqua. Anche in questo caso i ricercatori hanno ipotizzato che lo sviluppo di questo fenomeno sia la conseguenza di una forma di adattamento evolutivo.

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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