Salute

Maurizio: una macchinetta nel cuore mi ha salvato la vita

Il lettore Maurizio Redaelli racconta: «Soffro di cardiomiopatia dilatativa. In attesa del trapianto, nel mio petto batte il Vad, un dispositivo artificiale»

Maurizio Redaelli (52 anni, di Cesana Brianza in provincia di Lecco) soffre di cardiomiopatia dilatativa, che si è aggravata nel tempo, rendendo necessario il trapianto di cuore. In attesa di un donatore compatibile, Redaelli convive con un Vad, una pompa artificiale che aiuta il cuore malato. Ecco la sua testimonianza per OK La salute prima di tutto.

«Una vita tranquilla, tra casa e lavoro. Con la sana abitudine di passeggiate in montagna e di belle sciate, le nostre passioni: intendo mie e di Antonella, mia moglie. Una preoccupazione c’era, questo è vero. Mi avevano diagnosticato qualche anno prima la distrofia muscolare di Becker, ma i medici la tenevano sotto controllo e così l’avevo relegata in un cassetto della memoria che non aprivo mai. O quasi mai. Qualche volta pensavo: se l’effetto di questa patologia è di far rilassare i muscoli, che cosa potrebbe succedere al mio cuore, che è il muscolo più importante? Poi il pensierino se ne fuggiva via subito.
Dietro l’angolo, però, c’era ad attendermi qualcosa. Tutto cominciò quando, camminando in vetta, sentii un affanno. Un episodio passeggero, fu la mia prima risposta. Ma quando provai la stessa difficoltà a respirare durante il lavoro – sono attrezzista, e ho sempre a che fare con tornio e fresa -, non la associai più a un momento che viene e va.
Poco dopo, tra l’altro, fui colpito da una polmonite. Fu allora che i medici capirono, da alcune ombre presenti intorno al cuore viste in endoscopia, che qualcosa non andava in mezzo al petto: il mio muscolo numero uno era ingrossato. Ero stato colpito da una cardiomiopatia dilatativa. Una delle possibili conseguenze della distrofia di Becker di cui soffro.

Gruppo San Donato

Serviva il trapianto, il donatore giusto non c’era
Passata la polmonite, ripresi la mia vita, però sempre sotto controllo medico. E per due-tre anni, tutto normale. In situazioni come questa, pensi sempre che il peggio non verrà mai. E invece, un giorno all’affanno seguirono scompensi cardiaci, gonfiore alle gambe dovuto alla ritenzione idrica. E paura, lo confesso.

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Nel luglio del 2008 finii all’ospedale di Lecco. Durante il ricovero ebbi un arresto cardiaco. Trasportato subito all’unità coronarica del Niguarda di Milano, fui sottoposto allo screening per il trapianto di cuore.
Tutto di colpo cambiò: basta lavoro, basta sciate, ero entrato nella famiglia dei pazienti in attesa di un donatore.

Devo tenere il dispositivo sempre in carica
Ma un cuore compatibile si dimostrò difficile da trovare. Una volta, un malato nelle mie condizioni non poteva aspettare a lungo. Arrivava per lui il momento fatidico: o si trovava il cuore, oppure…
Oggi però non è più così, per fortuna. Anche un cuore che non riesce più a far fluire il sangue come dovrebbe può continuare a svolgere il suo lavoro fino al momento del trapianto, aiutato da un meccanismo che si chiama Vad, o dispositivo per assistenza ventricolare.
Decisero di inserirmelo, intervento di circa dieci ore. Mi applicarono anche un defibrillatore, che in caso di tachicardia eccessiva entra in funzione e riporta i battiti al ritmo giusto.
La ripresa non fu facile, due mesi turbolenti, la paura di non saper gestire la macchina, la parte esterna del dispositivo, che funziona con delle batterie da tenere sempre cariche: di giorno collegate a pile portatili e di notte alla rete elettrica. Naturalmente, addio lavoro. Ogni due giorni infermiera per le medicazioni e per istruirmi nell’uso del Vad, che piano piano ho imparato a padroneggiare.
Sono tornato a camminare, visto che le batterie hanno un’autonomia di cinque ore. Certo, la mia vita è cambiata, ma ora attendo il trapianto, sereno. Il Vad può essere una terapia definitiva e so come conviverci».
Maurizio Redaelli (testo raccolto da Claudio Gattuso nell’ottobre 2009 per OK La salute prima di tutto)

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