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Cancro: si lavora a un Atlante dei segnali spia

Una volta completata, potrebbe diventare uno strumento efficace per la diagnosi precoce e per lo sviluppo di terapie capaci di fermare la crescita del tumore prima che diventi pericoloso

Un atlante dei segnali-spia che ci dicono che un tessuto sano si trasformerà in tumore. È questo l’ambizioso progetto su cui si stanno concentrando molti ricercatori americani su proposta dell’American Cancer Society, l’associazione americana di ricerca contro il cancro. La banca dati dovrà raccogliere il Dna tipico di quella che gli oncologi chiamano “l’adolescenza del cancro”.

«È un progetto che è quasi arrivato in cima alla lista dei desideri nella ricerca sul cancro» ha spiegato l’oncologa Elizabeth Jaffee, della John Hopkins University di Baltimora.

Gruppo San Donato

Compito difficile

«Una sfida importante» commenta Francesca Ciccarelli, professore associato di Genomica presso il King’s College di Londra. «La difficoltà principale – spiega – è rappresentata dal dover identificare lesioni pre-cancerose in persone che non hanno sintomi né predisposizione genetica. Non tutte le lesioni benigne diventano maligne. Quelle però che si trasformano in tumore potrebbero avere le mutazioni maligne già alla stadio di partenza, cioè quello benigno». «Il genoma del cancro muta nel tempo e nello spazio – conclude Ciccarelli. – Quindi seguirne l’evoluzione nel tempo può essere molto utile per personalizzare le terapie».

Il caso precedente: l’Atlante del genoma del cancro

Il modello a cui ispirarsi è l’Atlante del genoma del cancro, capace di identificare il genoma di 33 tipi di tumore dai campioni di oltre 11.000 persone. Il nuovo atlante potrebbe aiutare a studiare il cancro nell’arco del tempo, con le tappe del suo sviluppo, per capire quali siano i cambiamenti che lo portano al punto critico in cui diventa maligno.

Ricercatori già al lavoro

Alcuni istituti di ricerca americani sono già al lavoro. L’Università di Boston nel Massachusetss ha iniziato la raccolta dei dati per il tumore al polmone, mentre quella della California di San Diego sui tumori cosiddetti liquidi, come la leucemia. «Uno sforzo coordinato potrebbe potenziarne l’impatto» ha detto Rafael Bejar, dell’Università della California di San Diego.

 

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