CervelloFeaturedSalute

Aspettando il nuovo farmaco anti Alzheimer, come ci si cura?

Il 21 settembre si celebra la Giornata Mondiale contro l'Alzheimer. Ecco tutte le terapie disponibili

La Food and Drug Administration aveva detto sì, anche se con grande cautela, mentre l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, ha detto di no. Il via libera – con riserva – da parte della Food and Drug Administration del farmaco aducanumab sta spaccando il mondo scientifico. La notizia è di quelle importanti, perché è la prima terapia che incide sulle cause e non si limita a occuparsi dei sintomi della malattia di Alzheimer. Questo farmaco monoclonale agisce direttamente sugli accumuli della proteina beta-amiloide che sono tra le principali cause della progressione della malattia. Nelle fasi finali della sperimentazione (trial di fase 3), dopo 78 settimane dall’inizio del trattamento, nei pazienti trattati con l’aducanumab, le placche amiloidi si sono ridotte del 30% rispetto al gruppo di pazienti che ha assunto il placebo. Qui si possono trovare le principali iniziative della Giornata contro l’Alzheimer.

Farmaco anti Alzheimer

Ne abbiamo parlato con il dottor Sandro Iannaccone, primario dell’Unità di Riabilitazione Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e presedente della Società Scientifica della Riabilitazione (SSR). Il professor Iannaccone è il responsabile e coordinatore dei trial italiani per aducanumab. “Questo farmaco è in sperimentazione da quasi cinque anni. A un certo punto si è interrotta la sperimentazione perché sembrava non funzionasse contro la malattia. Riguardando i dati hanno visto che nelle fasi iniziali dell’Alzheimer e al dosaggio massimo del farmaco, questo monoclonale riesce a rallentare la progressione della malattia riducendo la proteina beta-amiloide che causa l’Alzheimer.

Gruppo San Donato

La dichiarazione dell’Ema

L’Ema ha affermato che mentre aducanumab (Aduhelm) riduce chiaramente i livelli di beta amiloide nel cervello, “non è stato stabilito il legame tra il suo effetto e il miglioramento clinico”. Inoltre i risultati dei due studi presentati dall’azienda produttrice a sostegno della domanda “erano contrastanti e non mostravano nel complesso che aducanumab fosse efficace nel trattamento degli adulti con Alzheimer in fase iniziale”. Infine l’Ema ha anche messo in dubbio la sicurezza del farmaco, concludendo che gli studi “non hanno dimostrato che il medicinale fosse sufficientemente sicuro”.

Che tipo di approvazione ha dato l’FDA?

L’Fda ha dato la possibilità che il farmaco sia utilizzato nelle cure ospedaliere nelle forme iniziali della malattia, raccomandando però all’azienda di fare la sorveglianza post marketing, cioè di valutare efficacia e sicurezza in un numero maggiore di pazienti. L’FDA ha affermato che le ricerche svolte finora “hanno lasciato incertezze residue sui benefici clinici”. Ma ha approvato comunque l’aducanumab basandosi sulla sua dimostrata capacità di rimuovere le placche amiloidi, che si accumulano nel cervello dell’Alzheimer e si pensa rechino danno ai neuroni. Ridurre questi depositi “dovrebbe ragionevolmente comportare importanti benefici per i pazienti”.

Ora si attendono le decisione dell’Agenzia del Farmaco europeo e di quella italiana. Dovrebbero arrivare tra qualche mese.

Questo farmaco anti Alzheimer è una rivoluzione?

Per noi che siamo impegnati su questo fronte della ricerca è una grande soddisfazione perché questo è il primo farmaco in assoluto che mira la causa e non solo a mitigare i sintomi. È un passo avanti decisivo, perché l’approccio è diverso e apre una nuova strada alla ricerca scientifica. Ricordiamo che serve solo nelle fasi iniziali della malattia. La diagnosi precoce è quindi molto importante.

Questo farmaco anti Alzheimer ha effetti collaterali?

Sì. Nel 25-30% dei pazienti c’è un edema intorno alle zone di amiloide, però nella nostra esperienza non ci sono sintomi. Ce ne accorgiamo noi facendo la risonanza magnetica.

Come vengono curate finora le persone con Alzheimer?

Al momento attuale le persone colpite da Alzheimer vengono curate con farmaci sintomatici per il disturbo di memoria e con sedativi per gli aspetti comportamentali. Solo con farmaci sintomatici. La svolta è decisiva.

Come si somministra?

La somministrazione è molto semplice. È un’infusione con una flebo una volta al mese. Ci sono 15-20 centri che hanno già un’esperienza e che sono pronti a partire appena l’Ema darà il via libera. La flebo dura meno di un’ora e poi si aspetta un’altra ora per essere sicuri che tutto sia andato bene.

In attesa dell’ok definitivo del Farmaco anti Alzheimer, quali sono le terapie a disposizione oggi?

In attesa del trial post approvazione chiesto dalla Fda alle aziende che producono il farmaco e che aiuterà a far chiarezza sui dubbi sollevati, attualmente si tratta l’Alzheimer con farmaci che possono soltanto alleviare alcuni dei sintomi. I più utilizzati sono:

  • gli inibitori della acetilcolinesterasi, efficaci nelle prime fasi della malattia,
  • la memantina, prescritta nelle forme moderatamente gravi o gravi.
  • Per i problemi comportamentali si usano invece dei sedativi.

Il ruolo della riabilitazione

«Nessuno di questi farmaci, però, agisce sulle cause della demenza e perciò non riesce ad arrestarne la progressione. Per questo restano fondamentali le terapie di riabilitazione, che hanno l’obiettivo di mantenere il più a lungo possibile le capacità residue del paziente. Il percorso riabilitativo, personalizzato, viene deciso attraverso un lavoro di squadra tra il neurologo e lo psicologo, sfruttando anche le nuove tecnologie».

Le varie opzioni e la Reality Orientation Therapy

Le opzioni sono diverse, anche combinate tra loro. Si va dagli esercizi basati sulla realtà virtuale alle stimolazione magnetica del cervello, passando per la terapia occupazionale, che cerca di adattare l’ambiente in cui vive la persona con Alzheimer alle sue ridotte capacità. La Reality Orientation Therapy prova a mantenere il paziente aderente alla realtà che lo circonda. Molto spesso la persona colpita dalla malattia segue anche sessioni di fisioterapia e psicomotricità. Vengono infine proposte anche terapie sperimentali come la musicoterapia, che ha lo scopo di far ricordare eventi attraverso il potere evocativo della musica, e la pet therapy, che utilizza gli animali da compagnia.

Quali sono i principali sintomi di Alzheimer?

I principali sintomi dell’Alzheimer sono quattro e iniziano tutti con la lettera A. Ecco quali sono.

1. Amnesia, cioè la perdita significativa della memoria.

2. Afasia, che è l’incapacità di formulare (e comprendere) i messaggi verbali.

3. Agnosia, l’incapacità di riconoscere le persone, i luoghi e gli oggetti.

4. Aprassia, cioè l’incapacità di compiere correttamente alcuni movimenti volontari della vita quotidiana, come vestirsi.

Diagnosi precoce di Alzheimer

Anche nel caso del nuovo anticorpo monoclonale la diagnosi precoce dell’Alzheimer è determinante perché l’ Aducanumab è efficace nelle prime fasi della malattia. Per questo il mondo scientifico sta lottando contro il tempo per trovare il modo più semplice e preciso per predire la forma più diffusa di demenza. Da tempo si parla di un semplice esame del sangue, capace di prevedere l’esordio di Alzheimer alcuni anni prima dell’arrivo dei sintomi.

Useremo l’intelligenza artificiale?

Si sta anche tentando la strada dall’intelligenza artificiale, utilizzando un elettroencefalo-gramma i cui risultati sono confrontati immediatamente con quelli di circa cinquemila esami effettuati su persone con segni iniziali della malattia. L’esame dura cinque minuti e non è invasivo.

Il ruolo della dopamina

Uno studio italiano condotto dai ricercatori della Fondazione Santa Lucia, dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) ha scoperto che nei malati di Alzheimer è danneggiata una regione del cervello chiamata area tegmentale ventrale (VTA), dove viene prodotta la dopamina, il neurotrasmettitore che promuove l’attività dell’ippocampo, area cerebrale deputata alla memoria. L’analisi della VTA, non invasiva e indolore, sarebbe in grado di predire l’esordio della malattia almeno due anni prima della manifestazione dei sintomi.

L’importanza di stili di vita sani

L’Associazione Italiana Ricerca Alzheimer – Airalzh ha voluto premiare alcuni progetti di ricerca legati alla prevenzione della malattia di Alzheimer e agli stili di vita, grazie al Bando AGYR 2021. Gli obiettivi sono concorrere all’identificazione dei fattori di rischio, miglioramento delle tecniche per l’individuazione della malattia di Alzheimer nelle sue prime fasi ed individuare nuovi bersagli per interventi terapeutici, con lo scopo di innalzare i livelli di cura, migliorare la qualità della vita dei pazienti e, infine, sensibilizzare l’opinione pubblica su questa malattia. «Un corretto stile di vita comincia a tavola e prosegue nella vita quotidiana. È importante, quindi, mantenersi socialmente, mentalmente e fisicamente attivi», interviene Sandro Sorbi, Past President di Airalzh. «Airalzh continua quindi a finanziare la ricerca sull’Alzheimer, premiando giovani ricercatori e ricercatrici, che quest’anno stanno sviluppando progetti di ricerca sugli stili di vita e prevenzione della malattia di Alzheimer».

Leggi anche…

Mostra di più

Francesco Bianco

Giornalista professionista dal 1997, ha lavorato per il sito del Corriere della Sera e di Oggi, ha fatto interviste per Mtv e attualmente conduce un programma di attualità tutte le mattine su Radio LatteMiele, dopo aver trascorso quattro anni nella redazione di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore. Nel 2012 ha vinto il premio Cronista dell'Anno dell'Unione Cronisti Italiani per un servizio sulle difficoltà dell'immigrazione. Nel 2017 ha ricevuto il premio Redattore del Gusto per i suoi articoli sull'alimentazione.
Pulsante per tornare all'inizio