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Diabetici: ecco perché aumenta la mortalità in caso di infarto

I ricercatori del Centro Cardiologico Monzino hanno scoperto che a raddoppiare il rischio di decesso non è il diabete in sé ma un danno renale e cardiaco

In caso di infarto acuto del miocardio, per il diabetico raddoppia il rischio di morire rispetto a chi non ha questa patologia. Come mai? Un gruppo di ricercatori del Centro Cardiologico Monzino IRCCS di Milano ha voluto vederci chiaro, conducendo uno studio poi pubblicato sulla rivista americana Diabetes Care.

Infarto: il diabetico ha una maggiore mortalità 

Che il paziente con diabete avesse maggiori probabilità di non sopravvivere alla forma più grave di infarto del miocardio era già cosa nota, sebbene non se ne conoscessero ancora le motivazioni. «Fino a ieri abbiamo pensato che a peggiorare la prognosi fosse la presenza di numerose patologie spesso riscontrate nei pazienti diabetici. Ma il nostro studio ha dimostrato che non è proprio così: la causa della maggior mortalità è, infatti, la disfunzione cardiaca e renale frequentemente associata alla malattia» afferma Giancarlo Marenzi, Responsabile della Terapia Intensiva Cardiologica del Monzino e autore dello studio.

Gruppo San Donato

Lo studio

Per la ricerca sono stati coinvolti tutti quei pazienti con diabete di tipo 2 del Monzino e del Policlinico San Matteo di Pavia, ai quali è stato diagnosticato un infarto acuto del miocardio. Gli specialisti hanno misurato loro una serie di valori, tra i quali la funzionalità cardiaca, tramite la frazione di eiezione del cuore, e quella renale, attraverso il dosaggio della creatinina. Gli stessi parametri sono stati rilevati anche negli individui infartuati non diabetici. «Il confronto dei dati ha rivelato che la mortalità era maggiore nelle persone che avevano un danno ai reni o alla funzione del cuore al momento del ricovero, problematiche più frequenti proprio negli individui con diabete» spiega Nicola Cosentino, cardiologo della Terapia Intensiva Cardiologica del Monzino e coautore dello studio. Il succo della questione, dunque, è che il diabete in sé non raddoppia le possibilità di decesso in caso di infarto: sotto accusa sono la ridotta capacità contrattile cardiaca e della funzione renale di questi pazienti.

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Si può fare prevenzione

Dai dati raccolti da questa importante ricerca è emerso che nei diabetici si può fare prevenzione del rischio. Gli interventi per evitare un danno renale e cardiaco, infatti, sono facilmente attuabili: «Il consiglio è quello di non fumare, alimentarsi in modo corretto, praticare attività fisica, tenere sotto controllo glicemia, pressione arteriosa, colesterolo e peso corporeo» suggerisce Stefano Genovese, Responsabile dell’Unità di Diabetologia, Endocrinologia e Malattie Metaboliche del Monzino e coautore dello studio. «Quando tutto questo non è sufficiente, è fondamentale utilizzare i farmaci di nuova generazione per la cura del diabete, come gli agonisti del recettore del GLP-1 e gli SGLT2-inibitori, che non solo controllano la glicemia, ma proteggono anche cuore e reni, incidendo positivamente sulla diminuzione di eventi cardiovascolari con una riduzione della mortalità fino al 38%».

Si può ridurre il rischio di mortalità

Da questa ricerca emerge un messaggio semplice e chiaro: se le funzionalità cardiaca e renale vengono preservate, attuando queste regole di benessere, la loro prognosi cardiovascolare sarà migliore e, diversamente da quanto si è creduto fino ad ora, non sarà diversa da quella dei non diabetici.

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