Salute

Coronavirus ed epidemie del passato: quale legame?

Dalla ricerca delle cause alla quarantena, ci sono comportamenti e concetti ricorrenti in tutte le epidemie vissute dall'uomo nel corso della storia

A imperare sul mondo a suon di epidemie e pandemie sono dall’alba dei tempi virus e batteri. Sempre più veloci a espandersi, «gli agenti patogeni sono stati i primi grandi globalizzatori della storia dell’umanità». Non ha dubbi il paleopatologo Francesco Maria Galassi, professore associato presso il dipartimento di archeologia della Flinders University in Australia, che fa un confronto con il coronavirus e le epidemie del passato.

«Il nostro rapporto con le epidemie è molto intimo. Da sempre siamo esposti ai contagi, anche se, ovviamente, in passato le diverse condizioni igienico-sanitarie, alimentari e urbanistiche creavano condizioni ideali per queste malattie. Se la peste si ripresentasse oggi in Europa probabilmente non avremmo quei 20 milioni di morti registrati nel XIV secolo». Vaccini e antibiotici dalla metà del secolo scorso hanno alzato i muri contro le infezioni. «Anche se non dobbiamo mai dimenticare che le malattie cardiovascolari sono una delle migliori condizioni predisponenti a gravi conseguenze quando si ripresentano epidemie», continua Galassi.

Gruppo San Donato

Coronavirus ed epidemie del passato: 
i comportamenti che si ripetono

Soprattutto, esiste un filo rosso che lega le pestilenze del passato anche più remoto all’attuale coronavirus. «Gli eventi non sono mai uguali, ma esistono parallelismi importanti e a volte inquietanti». A partire dalla ricerca delle cause.

1 – La punizione divina

Il SARS-CoV-2 ha scatenato su internet tanti sedicenti predicatori online che si sono affannati a cercare corrispondenza tra la situazione di questi giorni e la Bibbia. Persino l’emittente cattolica Radio Maria ha inteso l’epidemia in corso come un avvertimento che arriva direttamente dalla Vergine di Medjugorje affinché i fedeli ritornino sulla retta via.

Con un salto indietro di 2.800 anni circa l’Iliade, ci mostra il campo acheo devastato da un’epidemia scatenata da Apollo, infuriato contro Agamennone, uno dei capi della spedizione, reo di aver mancato di rispetto a Crise, sacerdote dello stesso nume. Ira divina che si trasferisce nell’Antico Testamento della Bibbia. Quando, per punire il peccatore re Davide, «il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato. Da Dan a Bersabea morirono settantamila persone del popolo» (secondo libro di Samuele, VI-V secolo a.C.). Poi arrivò il Gesù Cristo del Nuovo Testamento che guariva miracolosamente i lebbrosi.

Ma nel Medioevo ecco tornare il Dio cristiano vendicativo punire, sul modello veterotestamentario, i peccati umani con la malattia. Che fosse la solita lebbra o la peste nera del ’300, della quale Francesco Petrarca, che nell’epidemia perse l’amata Laura, scrisse: «Meritammo questo e anche più grave castigo, non lo nego; ma lo meritarono anche i nostri maggiori, e Dio voglia che non lo meritino anche i posteri! Perché mai, o giustissimo giudice, perché mai così particolarmente si scagliò sulla nostra età il furore della tua vendetta?».

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Conferma Galassi. «All’epoca l’eziologia della malattia era divina. E l’espiazione dei peccati, magari tramite la flagellazione, finiva per costituire la “terapia”. Le chiese strapiene di fedeli che andavano a pregare e a invocare il perdono di Dio, però favorivano enormemente il contagio». Così, non è un caso che i decessi per peste nella Milano del 1630 crebbero vistosamente il giorno dopo la processione dell’11 giugno. Descritta da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi, con la teca in cristallo contenente il corpo di San Carlo preceduta da «una lunga schiera di popolo».

2 – L’origine è animale: dai muli ai pipistrelli

Da un lato la causa prima delle epidemie veniva considerata l’ira divina. Dall’altro, evidenzia il paleopatologo, «l’umanità fin dalle origini ha cercato di comprendere e arginare questi fenomeni. Nell’Iliade, la prima grande opera letteraria della civiltà europea, c’è già in forma rudimentale il concetto di zoonosi, cioè di come la malattia possa passare con un salto di specie da una forma primariamente animale all’uomo. Come per il nuovo coronavirus si sospetta il pipistrello, così Omero dice che in prima battuta nel campo acheo erano stati colpiti dal morbo i muli e i cani.

Nel primo libro di Samuele della Bibbia, invece, si racconta come i filistei, colpiti dalla vendetta divina per aver rubato l’Arca dell’alleanza, per espiare la loro colpa ricorrano a “cinque bubboni d’oro e cinque topi d’oro” come ex voto da dare in omaggio al Dio d’Israele. A prescindere dalla possibile esistenza della peste bubbonica già nel XII secolo a.C., fa riflettere la continua presenza degli animali».

Coronavirus ed epidemie del passato: il concetto di immunità

Il salto di qualità avviene con Tucidide. Trattando della peste di Atene del 430 a.C. ne La guerra del Peloponneso, «fa un’eccellente e obiettiva descrizione dei sintomi», prosegue Galassi. «Notando anche che le persone che erano guarite dalla malattia non la contraevano più o, al massimo, in forma lieve. In pratica, aveva dato una prima definizione del concetto d’immunità».

A risolvere il problema del contagio in un quadro naturale sarà nel ’500 il veneto Girolamo Fracastoro. Lo spiegherà come una «infectio» che passa da un soggetto a un altro e il cui principio è da individuare nei «seminaria contagionis», piccoli semi. «Oggi diremmo microbi», chiosa il paleopatologo.

3 – Strategie di prevenzione

Anche in termini di prevenzione dell’espansione del contagio si vedono le prime avvisaglie nell’Iliade. «Con pire che bruciavano in continuazione», racconta Galassi. «Era stato ideato un meccanismo di cremazione seriale dei cadaveri su cataste di legno. Ma l’unica forma di prevenzione efficace al 100% è la quarantena». L’isolamento che abbiamo ben imparato a conoscere in questi mesi.

Coronavirus ed epidemie del passato: l’origine della quarantena

«Come concetto amministrativo sanitario consapevole risale alla Repubblica di Venezia e a quella di Ragusa (l’odierna Dubrovnik in Croazia). Quale conseguenza della peste iniziata negli anni 40 del XIV secolo. Alle navi non veniva dato il permesso di attraccare e gli equipaggi dovevano restare isolati, sotto controllo, fino alla risoluzione dei sintomi. Una misura che ai primi del ’400 sarà copiata da altre popolazioni, come i francesi a Marsiglia. Quarantena deriva dai quaranta giorni d’isolamento della nave con il proprio equipaggio». Come non pensare alla Diamond Princess, la nave da crociera che è rimasta ormeggiata tra il 5 febbraio e il 2 marzo scorso nel porto giapponese di Yokohama…

A trasferire la quarantena anche sulla terraferma fu il medico siciliano Giovanni Filippo Ingrassia. Da consultore sanitario di una deputazione generale di pubblica salute, nel 1575 fronteggiò un’epidemia di peste a Palermo attuando una politica di rigido isolamento per evitare la diffusione del contagio. Tra l’altro scoraggiò tutti gli assembramenti, anche quelli per riti religiosi, e ordinò la separazione tra malati e convalescenti. Con questi ultimi dimessi dall’isolamento soltanto dopo due mesi dalla scomparsa della febbre. Risultato: nel capoluogo siciliano le vittime furono circa 3mila contro le 60mila di Venezia nello stesso anno.

Il caso inglese del 1600

Quasi un secolo dopo, nel 1665, anno della grande peste di Londra, la storia registra il «sacrificio» di un villaggio inglese, Eyam. Colpito da peste bubbonica causata da abiti infestati di pulci arrivati da Londra, vide i suoi abitanti mettersi in quarantena spontanea per 14 mesi affinché l’epidemia non si propagasse nelle località vicine. Su 350 residenti ne morirono quasi 260, ma i centri limitrofi furono quasi totalmente risparmiati dal contagio.

4 – Il virus che viene dall’Oriente

Il nuovo coronavirus è stato segnalato la prima volta a Wuhan, in Cina, e, poi, si è diffuso in Italia e in tutto il mondo, diventando una pandemia. Anche in questo caso l’arrivo da Paesi anche lontani del morbo non è una novità.

Claude Hannoun, virologo dell’Istituto Pasteur di Parigi, ha suggerito che dalla Cina provenisse pure l’influenza spagnola, che tra il 1918 e il 1920 spopolò il Vecchio Continente. Ipotesi supportata dallo storico canadese Mark Humphries, il quale trovò prove archivistiche di una malattia respiratoria identica che colpì la Cina settentrionale nel novembre 1917. E che, a suo dire, sarebbe stata portata in Occidente da lavoratori del Paese orientale mobilitati nella Prima guerra mondiale.

Ma la questione è ancora aperta, in quanto un rapporto pubblicato nel 2016 sul Journal of the Chinese Medical Association evidenziò prove che il virus circolasse tra gli eserciti europei ben prima dello scoppio della pandemia del 1918. «Sicuramente in Cina, nella provincia dello Yunnan», interviene Galassi, «si origina a fine ’800 l’ultima pandemia di peste. Con la successiva identificazione dell’agente patogeno, che prese il nome di Yersinia pestis. Fu in onore del medico svizzero Alexandre Yersin che lo scoprì (in contemporanea con il giapponese Shibasaburo Kitasato)».

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La peste nera, raccontata da Giovanni Boccaccio nel Decameron, probabilmente proveniva dalla regione detta Terra delle Tenebre. Importante centro di produzione ed esportazione di pelli nell’attuale Russia orientale. Negli anni 40 del ’300 avrebbe, poi, colpito parti di Cina, India, Persia, Siria ed Egitto, prima di arrivare in Europa. Verosimilmente lungo le rotte marine ma anche terrestri del commercio.

L’origine africana

Altre epidemie dell’antichità, invece, sarebbero sopraggiunte dall’Africa. Tucidide sostiene che la peste di Atene ebbe origine in Etiopia. Nome che all’epoca comprendeva le regioni sub-sahariane. Così come, almeno secondo gli storici bizantini, l’epidemia di San Cipriano, che colpì l’Europa meridionale e parte dell’Africa nel 251 d.C., e la peste di Giustiniano, che dal 541 sconvolse Europa e bacino mediterraneo. La peste antonina (165 d.C.) fu, invece, portata nell’impero romano dalle legioni dell’imperatore che erano andate a combattere i Parti all’interno del loro regno, all’incirca l’area nord-orientale dell’attuale Iran. E altri soldati, i mercenari tedeschi lanzichenecchi provenienti dall’Austria, furono i responsabili della peste manzoniana del 1630.

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5 – L’edonismo come risposta

Proprio Manzoni descrive nella Milano secentesca scene molto simili a quelle viste dal vero e riproposte da tv e web ai giorni nostri. L’autore de I promessi sposi si meraviglia della «condotta della popolazione medesima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragion di temerlo». E che, invece, non si cura di prendere precauzioni, anzi. «Sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo». Sono gli antenati delle persone che, prima delle restrizioni governative e nonostante gli avvertimenti attraverso i mass media, affollavano i locali pubblici e le vie cittadine ai giorni nostri. Incuranti del pericolo di contagio.

La reazione umana: isteria di massa

«Ma era stato Tucidide ad aprire il capitolo della risposta antropica, cioè della reazione umana a questi fenomeni», compie un balzo indietro nel tempo Galassi. «Ad Atene le leggi umane e divine vengono sovvertite, ognuno fa quello che vuole e cerca di trarre il proprio godimento sul momento». Scrive, infatti, Tucidide: «Pertanto ritenevano giusto procurarsi rapidamente anche le soddisfazioni riguardanti il piacere, giudicando effimere sia la vita che le ricchezze».

E quasi 1.800 anni dopo Boccaccio nel Decameron. «Altri (…) affermavano, il bere assai ed il godere e l’andar cantando attorno e sollazzando ed il sodisfare d’ogni cosa all’appetito, che si potesse, e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male». Nella Firenze trecentesca ci sono anche i precursori di coloro che oggi girano con le mascherine. «Senza rinchiudersi andavano attorno, portando nelle mani chi fiori, chi erbe odorifere e chi diverse maniere di spezierie, quelle al naso ponendosi spesso, estimando essere ottima cosa».

La reazione umana: caccia all’untore

«Si tratta», conferma Galassi, «di un meccanismo che vediamo in azione ancora oggi. Con l’isteria di massa per la paura del contagio che porta all’assalto dei supermercati, ricordiamoci del manzoniano assalto al Forno delle grucce. E con il voler trovare sempre e comunque un colpevole, un untore. Nel Medioevo, per esempio, erano nel mirino ebrei e lebbrosi. Lo stesso Manzoni, nella Storia della colonna infame, narra l’iniquo processo a due innocenti, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, giustiziati con il supplizio della ruota. Ai giorni nostri abbiamo assistito alle aggressioni a cinesi. Nonostante il progresso scientifico abbia fatto passi da gigante anche solo rispetto a mezzo secolo fa, continuiamo ad avere reazioni ancestrali nei confronti delle malattie infettive epidemiche e pandemiche. Ci fanno capire quale sia la nostra debolezza ontologica».

Coronavirus ed epidemie del passato: il cambiamento della società

Epidemie e pandemie non hanno, però, solo riflessi sulla salute e sui comportamenti dei singoli individui. Ma si possono considerare vere rivoluzioni. «Sono acceleratori della storia», così le definisce il professore della Flinders University. «Il mondo cambia dopo di esse. L’epopea di Atene, per esempio, finì dopo la peste con la morte di Pericle e la salita al potere di Alcibiade. Determinò in ultima analisi la sconfitta in Sicilia a opera dei siracusani e degli spartani e la perdita del dominio dei mari».

Lo stesso momento attuale, in cui le Borse sono andate a picco, «ci riporta alla peste antonina nel 165 d.C. Vaiolo, morbillo o vera peste, non ci sono certezze, che mise in crisi l’impero romano causandone il crollo dell’economia. Per mancanza di soldati e manodopera nelle campagne Roma aprirà i propri confini ai popoli barbari. Li sfrutterà per un secolo fino a quando non si ribelleranno e prenderanno il potere». Non a caso Kyle Harper, docente di lettere classiche alla University of Oklahoma (Usa), nel suo saggio Il destino di Roma (Einaudi, 2019) porta in primo piano il ruolo decisivo che le epidemie – e il cambiamento climatico – ebbero nel crollo dell’impero romano.

«Secondo alcuni storici dell’economia», conclude Galassi, «anche la peste nera del ’300 potrebbe aver contribuito a erodere il sistema feudale. E tutto a favore di una forma di protocapitalismo, un embrione di economia di mercato. Per la moria di contadini nelle campagne la manodopera scarseggiava e i signori avevano, infatti, dovuto competere l’un l’altro per assoldare i pochi lavoratori rimasti». Per sapere che mondo disegnerà il nuovo coronavirus dovremo attendere qualche anno.

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