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Valentina Vezzali: finita la gravidanza ero 20 chili in più

La campionessa di fioretto racconta a OK la sua vittoria contro il sovrappeso post-parto

Vi avevo avvisati. Non dite che non lo sapevate. L’avevo detto, quando un anno fa circa mi avevano chiesto quali fossero i miei obiettivi. Erano tre: vincere le Olimpiadi, fare un figlio, sfondare ai Mondiali. Il tutto in 14 mesi.

E così è stato. 18 agosto 2004: medaglia d’oro ad Atene. 9 giugno 2005: nasce Pietro, 3 chili e 710 grammi e 51 centimetri di felicità pura. 9 ottobre 2005: medaglia d’oro ai Mondiali di Lipsia, il trofeo del dopo-pancia. Una pancia voluta fortissimamente, un programma onorato, anche se la gravidanza, devo ammetterlo, non è andata per niente come mi aspettavo.

Gruppo San Donato

Le nausee mi hanno perseguitata per tutti i nove mesi e hanno condizionato il mio fisico e il mio umore. Sono anche aumentata di 20 chili, molto più di quanto mi aspettassi, e il parto è stato lungo e doloroso. Poi, però, è arrivata una gioia assoluta… E ho ben presto recuperato energia.

In palestra 18 giorni dopo il parto
Scalpitavo, volevo ricominciare subito ad allenarmi, lo sport mi era mancato tantissimo. Avevo iniziato a tirare di scherma a sei anni e per 24 di fila non avevo mai smesso: la sosta dei nove mesi era stata in assoluto la più lunga della mia vita e adesso ero in crisi d’astinenza da fioretto. Il recupero è stato graduale e sempre monitorato, giorno per giorno, dalla mia preparatrice atletica e dalla mia ginecologa, che si consultavano di continuo, costantemente.

Ero già in palestra 18 giorni dopo il parto, ma prima avevo fatto un’ecografia per verificare che l’utero si fosse rimpicciolito abbastanza per permettermi di ricominciare a fare ginnastica. Un inizio morbido, almeno per i miei standard: solo tre ore al giorno. Per braccia, spalle e pettorali facevo esercizi con i pesi, due chili, mentre per le gambe 40 minuti sul tapis roulant, camminata veloce ma senza correre, perché l’utero era ancora ingrossato e il rischio, con la corsa, poteva essere quello di un prolasso.

Poi la piscina: un’ora e un quarto al giorno
Dopo una settimana così, ho introdotto la piscina. Anche in questo caso su misura per una donna che aveva appena partorito: quindi un’ora e un quarto tutte le mattine nuotando con la tavoletta, muovendo cioè solo le gambe senza utilizzare le braccia. Facevo dorso e stile libero, la rana no, perché il suo movimento fa aprire troppo le gambe e sollecita la zona pelvica. Alla sera, ancora palestra ed esercizi con i pesi e poi con le macchine per rafforzare bicipiti e tricipiti.

Con la terza settimana ho cominciato a fare un po’ più sul serio: al mattino andavo in piscina, nuoto e aquagym con esercizi mirati alla scherma (come correre in acqua e passi veloci in avanti e indietro), alla sera palestra e campo di atletica. E qui c’è stata la prima, vera, crisi: non sapevo più correre. Non era un problema di fiato, quello l’avevo recuperato in fretta. Era proprio il gesto atletico che mi mancava, i piedi, le gambe, le braccia... Non sapevo dove metterle e come muoverle.

La mia preparatrice atletica era disperata e io più di lei. Poi mi hanno spiegato che il problema era nella mia testa: il cervello era rimasto troppo a lungo senza ricevere gli stimoli della corsa e aveva dimenticato come si riconoscono gli input. Mi hanno fatto ricominciare da zero, prima correndo a piedi nudi sull’erba, poi rimettendo le calze, quindi le scarpette, fino a quando ci sono riuscita di nuovo. Ma ci sono voluti quasi dieci giorni.

A quel punto è stato tutto più facile: ho inserito 40-50 minuti di jogging e, dopo un mese, ho cominciato anche con gli addominali. Ormai erano passati 45 giorni dal parto e il 27 luglio mi sono messa in pari con le altre atlete. Ho ricominciato le lezioni e gli allenamenti di scherma, per otto ore al giorno.

Sono tornata in forma con una dieta speciale
Nel giro di due mesi e mezzo sono anche rientrata nel mio peso forma, come capita, o dovrebbe capitare, a tutte le donne. Il grosso l’avevo perso quasi subito, perché era più che altro frutto della ritenzione idrica da gravidanza. Poi, ho ripreso la mia alimentazione-tipo, impostata sulla dieta Zona, che prevede una ripartizione dei nutrienti con il 40% di proteine, il 30% di carboidrati, il 30% di grassi. Il tutto condito con integratori di Omega-3 (il «grasso buono») che prendevo anche in gravidanza e durante l’allattamento, quando ne avevo addirittura raddoppiato la dose, due flaconcini al giorno anziché uno.

Faccio cinque pasti: prima colazione salata, con toast al formaggio e prosciutto cotto, tè e yogurt; a metà mattina frutta e parmigiano reggiano; per pranzo orzo e carne o pesce alla griglia con verdure al vapore; a merenda una barretta energetica o un panino al prosciutto; a cena minestrone senza pasta, carne o pesce o uova, oppure bresaola e formaggio fresco e, prima di andare a dormire, un gelato alla frutta.

Mangio, dormo, rido, faccio l’amore, tiro di scherma e riempio di coccole il mio bambino… Non saprei cos’altro chiedere alla vita.

Valentina Vezzali (confessione raccolta da Emanuela Dini)

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