Salute

Artrite reumatoide: cause, sintomi, diagnosi e cure

La malattia infiammatoria cronica colpisce in prevalenza le donne tra i 40 e i 60 anni. Ecco come diagnosticarla e la terapia per contrastarne i sintomi

Focus di Riccardo Meliconi, professore associato di reumatologia all’Università di Bologna e responsabile della struttura di medicina e reumatologia presso l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna.

L’artrite reumatoide è una malattia cronica che provoca dolore, tumefazione e rigidità articolare con limitazione del range del movimento e della funzione delle articolazioni interessate. Sebbene l’articolazione sia la parte dell’organismo più coinvolta, l’infiammazione può svilupparsi anche in organi interni (come polmoni, reni, cuore, sistema nervoso, vasi sanguigni, occhi). L’artrite reumatoide è la forma più comune di artrite infiammatoria che interessa circa lo 0,5% della popolazione adulta. È più frequente nei soggetti di sesso femminile tra la quarta e la sesta decade di vita, ma può comunque interessare qualsiasi fascia di età.

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CAUSE
Sebbene la causa della malattia sia ancora ignota, i dati delle più recenti ricerche in campo scientifico evidenziano alcuni fattori che sono importanti nell’attivazione e nel mantenimento dell’infiammazione. L’organo bersaglio principale dell’infiammazione è la membrana sinoviale, costituita da cellule che rivestono l’articolazione: tale membrana produce liquido sinoviale necessario per la lubrificazione e il nutrimento della cartilagine articolare. Le sostanze ad azione pro-infiammatoria rilasciate dalle cellule immunitarie determinano il gonfiore e il successivo danno della cartilagine e dell’osso presenti all’interno dell’articolazione.

SINTOMI
La rigidità osservata quando la malattia è in fase attiva è più intensa la mattina al risveglio e può durare da una a più ore estendendosi, nei casi più severi, all’intera giornata. La durata della rigidità è molto importante perché differenzia l’artrite reumatoide da altre artropatie, come per esempio, l’osteoartrosi in cui la rigidità mattutina è di circa 10-20 minuti.
Le articolazioni più frequentemente coinvolte sono quelle piccole delle dita delle mani, i polsi, i piedi, le ginocchia e le caviglie; più raro è il coinvolgimento di anche, spalle, gomiti e rachide. L’interessamento abitualmente è di solito simmetrico: se è coinvolto il polso destro spesso è colpito anche il polso sinistro.
Il paziente, inoltre, può riferire dei sintomi noti come extra-articolari e che possono essere indicativi di un coinvolgimento sistemico della malattia; fra questi ci sono:
• stanchezza;
• malessere generale;
• perdita di peso;
• indolenzimento muscolare (mialgie);
• febbre;
• secchezza degli occhi e della bocca (condizione nota come sindrome di Sjögren secondaria all’artrite reumatoide);
• riscontro di anemia;
• infiammazione dei tendini;
• presenza di piccole nodosità dolenti note come noduli reumatoidi che compaiono comunemente sotto la cute dei gomiti e degli avambracci.

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In molti casi i sintomi compaiono gradualmente (nel corso di settimane o mesi); di solito il paziente avverte al mattino una rigidità nei movimenti delle mani, o comunque delle articolazioni interessate, che migliora nel corso della giornata. Questo disturbo inizialmente può essere periodico per poi diventare persistente e associarsi a dolore e gonfiore delle articolazioni. La maggior parte dei pazienti con artrite reumatoide presenta dei periodi acuti alternati a periodi di relativo benessere; la disabilità che ne deriva è secondaria al danno articolare che si sviluppa nel tempo e che è secondario all’infiammazione.

DIAGNOSI
L’artrite reumatoide può essere difficile da diagnosticare poiché può iniziare gradualmente con scarsi sintomi e diverse malattie, specialmente all’esordio, possono avere un comportamento simile. Per questo motivo i pazienti con sospetto di artrite reumatoide dovrebbero essere valutati da un reumatologo (chiedi un consulto ai reumatologi di OK) per la conferma diagnostica e per la somministrazione di una corretta terapia.
La diagnosi di artrite reumatoide si pone in base ai sintomi riferiti dal paziente e ai segni osservati durante la visita medica, come ad esempio il calore, la tumefazione e la dolorabilità articolare. Gli esami di laboratorio a volte possono essere di aiuto per la conferma diagnostica (presenza di anemia, positività del fattore reumatoide – un anticorpo riscontrato nell’80% dei pazienti con artrite reumatoide, o degli anticorpi anti-citrullina (anti-CCP) che hanno una specificità del 98% per l’artrite reumatoide; aumento della velocità di eritrosedimentazione (VES), e/o della proteina C reattiva.
La radiografia può essere molto utile nella diagnosi ma non evidenzia alcuna anomalia nelle prime fasi della malattia (3-6 mesi). Sempre più rilevante appare, invece, l’uso dell’ecografia articolare, molto più sensibile rispetto alla radiografia tradizionale (soprattutto nella fase iniziale) e più economica rispetto alla risonanza magnetica, nel documentare l’ipertrofia della membrana sinoviale e l’intensità dell’infiammazione articolare e peri-articolare.
È importante ricordare che per la maggior parte dei pazienti (specialmente coloro che presentano i sintomi da meno di 6 mesi) non esiste un test specifico che confermi la diagnosi di artrite reumatoide ma la diagnosi si pone attraverso una valutazione specialistica dei sintomi e soprattutto dei segni clinici.

CURE
La terapia dell’artrite reumatoide è migliorata enormemente negli ultimi 25 anni offrendo ai pazienti un soddisfacente controllo dei sintomi e la possibilità di conservare i normali ritmi della routine quotidiana (attività lavorativa, faccende domestiche, hobby …).
Dal momento che non esiste una cura definitiva, obiettivo dei trattamenti è quello di ridurre i sintomi del paziente e migliorare la disabilità attraverso una terapia medica appropriata e iniziata il più rapidamente possibile, prima che le articolazioni interessate dall’infiammazione vengano danneggiate in modo permanente.

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Non esiste un singolo farmaco efficace per tutti i pazienti e spesso molti di essi devono ricorrere a diverse modifiche terapeutiche nel corso della loro malattia. Il trattamento ideale richiede una diagnosi precoce, quando la malattia è in fase iniziale (meno di 6 settimane o 6 mesi), e un trattamento aggressivo. Per ridurre rapidamente l’infiammazione articolare e l’intensità dei sintomi la terapia di prima linea si avvale dei farmaci antinfiammatori non steroidei (cosiddetti FANS), come ibuprofene, naprossene, diclofenac, ketoprofene e i più recenti COX2-inibitori (celecoxib, etoricoxib). Inoltre, i corticosteroidi come il prednisone possono essere somministrati per bocca o per via intrarticolare.
I pazienti con tumefazione articolare persistente spesso però non rispondono alla sola terapia con FANS e corticosteroidi, per cui solitamente iniziano il trattamento con i farmaci anti-reumatici modificanti il decorso della malattia (i cosiddetti DMARDs). Questi farmaci migliorano notevolmente i sintomi, la funzionalità articolare e la qualità di vita della maggior parte dei pazienti con artrite reumatoide.
I DMARDs utilizzati sono: il metotrexate (Methotrexate), la leflunomide (Arava), gli antimalarici (Plaquenil, Clorochina), ciclosporina (Sandimmun), la sulfasalazina (Salazopyrin En), i sali d’oro (Ridaura). Negli ultimi anni il trattamento delle artropatie infiammatorie si avvale dell’uso di farmaci, noti come modificatori della risposta biologica o “agenti biologici”, che agiscono specificatamente su alcune molecole prodotte da cellule del sistema immunitario e che determinano l’infiammazione e il danno articolare e degli organi eventualmente coinvolti.
Questi farmaci fungono anche da DMARDs poiché rallentano la progressione della malattia e vengono somministrati al fallimento delle terapie convenzionali. I trattamenti approvati dalle più importanti agenzie del farmaco sono: infliximab (Remicade), l’adalimumab (Humira), etanercept (Enbrel), anakinra (Kineret), abatacetp (Orencia), rituximab (Mabthera), tocilizumab (Ro-Actemra), golimumab (Simponi), certolizumab (Cimzia). In alcuni casi questi farmaci sono somministrati da soli, cioè senza associazione con altri farmaci immunosoppressori, ma nella maggior parte dei casi, per una maggior efficacia, sono somministrati contemporaneamente al metotrexate.
Il trattamento ideale richiede, comunque, un approccio multispecialistico con la collaborazione tra medici reumatologi, medici di medicina generale, ortopedici, fisiatri (sia per la terapia fisica che occupazionale), psicologi.
Riccardo Meliconi – professore associato di reumatologia all’Università di Bologna e responsabile della struttura di medicina e reumatologia presso l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna
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