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Artrite reumatoide: comincia l’era dell’elettrostimolazione

Positivi i primi test sull'uomo di una terapia innovativa che apre nuovi scenari di cura per i pazienti più gravi resistenti ai farmaci

Meno infiammazione, meno gonfiore alle articolazioni, meno dolore: sembra funzionare la nuova terapia di elettrostimolazione contro l’artrite reumatoide che mira a interrompere il circuito nervoso che alimenta la produzione di molecole infiammatorie nell’organismo. Lo dimostrano i primi test sull’uomo condotti su un piccolo gruppo di 17 pazienti, alcuni dei quali resistenti alle tradizionali cure farmacologiche e perfino ai nuovi farmaci biologici.

I risultati, pubblicati sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas), aprono nuovi scenari di cura, non solo per i casi di artrite reumatoide più difficili, ma anche per tutta una serie di altre malattie infiammatorie su base immunitaria come il morbo di Crohn, il Parkinson e l’Alzheimer.

Gruppo San Donato

«Si tratta di un incredibile passo avanti per le persone che soffrono di malattie infiammatorie», afferma Kevin J. Tracey, presidente del Feinstein Institute for Medical Research negli Stati Uniti. Proprio lui è stato il primo a scoprire il cosiddetto “riflesso infiammatorio”, ovvero quel circuito nervoso che passa per il nervo vago e che aumenta la produzione di molecole infiammatorie nel corpo. «Questo studio ha le potenzialità per cambiare il modo con cui guardiamo alla medicina moderna – afferma Tracey – perché ci aiuta a capire che i nostri nervi, con un piccolo aiuto, possono produrre i farmaci di cui abbiamo bisogno per aiutare il nostro organismo ad auto-guarirsi».

La sperimentazione sull’uomo, condotta sotto la coordinazione dell’Università di Amsterdam, ha portato a impiantare chirurgicamente nei 17 pazienti un piccolo dispositivo programmato per emettere piccole e innocue scosse elettriche per stimolare il nervo vago, uno dei principali attori del sistema nervoso che gioca un ruolo cruciale in molte funzioni, come la digestione, il sonno e il ritmo del cuore.

I pazienti, monitorati nell’arco di tre mesi, hanno mostrato un evidente calo delle molecole infiammatorie e un netto miglioramento dei sintomi correlati alla malattia, il tutto senza gravi effetti collaterali.

di Elisa Buson

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