Salute Mentale

I trucchi davvero efficaci per migliorare la memoria

Il neuropsicologo Giuseppe Alfredo Iannoccari spiega le tecniche neuroscientifiche che funzionano a tutte le età

Succede a chiunque: nel momento in cui bisogna estrarre un nome, una password o una nozione dalla nostra memoria interna, il database va in tilt e non c’è verso di recuperare il file. E quante volte, convinti di riuscire a fare ordine nella testa, abbiamo esclamato, con un certo disappunto, «ce l’ho sulla punta della lingua»? Eppure, più ci ostiniamo a ricordare e più quell’informazione ci sfugge, anche se spesso ne rammentiamo il contesto in cui è inserita. Ad esempio, se non ci sovviene un vocabolo, magari abbiamo in mente l’iniziale, ne conosciamo il significato o, ancora, visualizziamo in maniera confusa la parola e sappiamo identificarla come lunga, corta, complessa. Ma non c’è niente da fare: quel dato di cui abbiamo bisogno in quel preciso istante – che sia un’interrogazione, una chiacchierata informale tra colleghi o un colloquio di lavoro poco importa – proprio non accenna a fare capolino tra i pensieri.

Fretta e disattenzione compromettono la memoria

«Siamo portati a credere che se non rammentiamo qualcosa la colpa sia da imputare al passare del tempo, ma in realtà a compromettere la memoria è quasi sempre un’interferenza che si è interposta durante la sedimentazione di quel particolare ricordo, causata spesso da fretta, disattenzione, poca motivazione», interviene il neuropsicologo Giuseppe Alfredo Iannoccari, professore di scienze socio-psico-pedagogiche all’Università degli Studi di Milano e presidente di Assomensana, l’Associazione per lo sviluppo e il potenziamento mentale. «Affinché l’informazione si “agganci” ai circuiti neurali in maniera efficace dobbiamo evitare innanzitutto che, nel momento della deposizione del ricordo all’interno di questa trama cerebrale, subentrino fattori disturbanti come, appunto, la distrazione, la premura, la svogliatezza. Oltre a questo, bisogna puntare sull’allenamento mentale: più ci esercitiamo, infatti, e maggiori sono le probabilità che la memoria sia ben salda e all’occorrenza ci metta a disposizione le informazioni delle quali necessitiamo».

Gruppo San Donato

Allenare la materia grigia dà risultati più elevati di una serie di addominali

Il brain training è ancora più potente dell’esercizio fisico perché la capacità plastica del cervello di modificare la propria struttura e le sue funzionalità a seconda dell’attività alla quale vengono sottoposti i neuroni, correlata ad esempio agli stimoli ricevuti dall’ambiente esterno, non ha eguali nell’organismo. Come dire: allenare la materia grigia dà risultati più elevati di una serie di addominali.

«La plasticità cerebrale, studiata a lungo dal premio Nobel Rita Levi Montalcini, si manifesta non solo con un perfezionamento dei circuiti neurali già esistenti, ma anche con la formazione di nuove cellule cerebrali, e non soltanto nelle persone giovani», puntualizza l’esperto. La massima espressione della plasticità del cervello si ha, ovviamente, nei primi anni di vita, durante i quali, imparando, esplorando, facendo esperienze, conoscendo, la materia grigia aumenta, si espande e prepara il terreno per nuove connessioni. Gli studi condotti in questo ambito, però, hanno dimostrato che nelle giuste circostanze anche il cervello adulto può crescere e, sebbene ci siano sicuramente dei peggioramenti legati all’invecchiamento individuale, è sempre possibile sfruttare la propria plasticità per contrastare questo fisiologico declino.

Ogni giorno si perdono 100mila neuroni ma compensare il deficit si può

«Se è vero che ogni giorno perdiamo grossomodo 100mila neuroni è altrettanto accertato che, nello stesso lasso di tempo, nascono circa due-tremila cellule cerebrali; la stimolazione delle nostre capacità fa sì che queste nuove nate possano contribuire a compensare il deficit derivante appunto dalla perdita fisiologica», continua Iannoccari. Più noi siamo dinamici e vivaci intellettivamente e tanto più creiamo delle riserve cognitive che poi vanno a sopperire eventuali mancanze.

«Nell’infanzia, nell’adolescenza e agli inizi dell’età adulta abbiamo, in condizioni normali, una quota 100 di patrimonio cerebrale; con l’avanzare dell’età, specialmente a partire dai 30 anni, perdiamo circa l’1% di efficienza mentale all’anno. Se non alleniamo il cervello, rischiamo di arrivare all’anzianità con un patrimonio dimezzato, che comunque possiamo mettere a frutto e migliorare, senza però mai recuperare più di tanto. Se, al contrario, iniziamo fin dalla tenera età a esercitare la mente, abbiamo la possibilità di espandere da subito la quota di partenza, raggiungendo 120-130 di patrimonio; quando poi diventiamo anziani non possediamo più quel residuo dimezzato ma riserve ben più consistenti».

Quindi, se plasmiamo il cervello con un addestramento intenzionale e mirato, abbiamo più probabilità di ampliare la riserva cognitiva, che poi andiamo a spendere in termini di lucidità, concentrazione, memoria, prontezza. Le abilità cognitive, e in particolare quelle mnemoniche, si fondano su tre pilastri: la conoscenza dei meccanismi della memoria stessa, l’acquisizione di strategie per sfruttare al meglio la nostra capacità di ricordare e l’esecuzione di esercizi specifici per allenare questa facoltà.

I meccanismi della memoria sono tre: registrazione, ritenzione, recupero

«Il primo è la registrazione, cioè l’apprendimento di un’informazione attraverso i sensi», spiega il neuropsicologo. Per far sì che questo processo si attivi è necessario che ci siano due presupposti, ossia l’attenzione e la motivazione. Se, ad esempio, durante una lezione siamo poco interessati o siamo particolarmente distratti, difficilmente riusciremo a fare nostro il concetto espresso dal professore.

Dopodiché bisogna acquisire le nozioni e sbloccare il secondo meccanismo, che è la ritenzione, cioè l’elaborazione e, con opportune strategie, la sedimentazione del ricordo nella nostra mente. Per incamerare un discorso, un nome, una cifra nella memoria a breve-lungo termine, è necessario avvalersi delle cinque strategie che tutti possediamo naturalmente, che vedremo tra poco. Se questo processo non si attiva, le informazioni non vengono stoccate, quindi poi è difficile mettere in funzione il terzo e ultimo step, che è il recupero. Una volta che abbiamo immagazzinato i dati attraverso l’avvio dei primi due meccanismi, quando vogliamo richiamare alla memoria quelle informazioni dobbiamo aprire il famoso “cassettino” e ripescare quel ricordo.

Cinque strategie per fissare un ricordo nella memoria

Il secondo pilastro è rappresentato, appunto, dalle cinque strategie connaturate, non acquisite artificiosamente mediante corsi o trucchetti, che consentono di fissare un ricordo nella memoria.

Associazione

«La prima è l’associazione: le informazioni che già abbiamo, quelle consolidate, formano una fitta trama intrecciata, sulla quale andiamo ad appendere, di volta in volta, altri elementi», chiarisce Iannoccari. «Il circuito di dati già presente all’interno del cervello è particolarmente prezioso perché ci aiuta a sedimentare i ricordi nuovi attraverso, appunto, una connessione di idee. Ad esempio, possiamo associare il nome di una persona appena conosciuta con quello di un amico o un parente, formulando il pensiero “lei si chiama Chiara come mia cugina”, in modo da favorire l’ancoraggio di quel vocabolo alla memoria».

Categorizzazione

La seconda strategia è la categorizzazione. Il materiale organizzato è più facile da apprendere e memorizzare rispetto a quello disorganizzato, quindi per ricordare meglio qualcosa possiamo creare delle categorie di ciò che dobbiamo tenere a mente. «Ad esempio, per rammentare una lista di prodotti da comprare al supermercato, ne visualizziamo le tipologie, magari sfruttando anche la suddivisione per reparti dello store stesso», prosegue l’esperto. «In quello di frutta e verdura inseriamo, per dire, zucchine e mele, nella corsia dei detersivi il detergente per i piatti e così via».

Concatenazione

La terza strategia è la concatenazione di parole in una storia. Se dobbiamo memorizzare delle parole, possiamo creare una storia breve dove posizionare all’interno i vocaboli in questione. «In questo modo, durante la fase del recupero, ripercorriamo il racconto che abbiamo costruito durante l’acquisizione delle informazioni e ricordiamo più facilmente ciò che vi abbiamo inserito», continua Iannoccari. «Ad esempio, se dovessimo ricordare i vocaboli “torre”, “mare”, “vela”, potremmo formulare mentalmente la frase “c’era una bellissima torre vicino al mare, sul quale navigava una barca a vela”». L’essere umano è molto sensibile alle storie e ai racconti e ciò facilita la rievocazione. Per noi è più semplice ricordare una storia recuperandone le informazioni, piuttosto che ricordare i singoli elementi.

Visualizzazione

Dopo le prime tre, troviamo la strategia della visualizzazione, grazie alla quale associamo un’immagine a ciò che dobbiamo memorizzare. «Se, tornando al primo esempio, pensiamo che la ragazza con cui stiamo parlando si chiami Chiara come nostra cugina, possiamo creare un’immagine visiva nella quale Chiara e la cugina sono una di fianco all’altra e chiacchierano sorridendo», dice il neuropsicologo. «Si può fare la stessa cosa con la storia creata per memorizzare singoli vocaboli: il racconto “c’era una bellissima torre vicino al mare, sul quale navigava una barca a vela” ha già una sua potenza e una probabilità di rievocazione molto alta, ma se la visualizziamo nella nostra testa diventa ancora più forte e resistente».

Elaborazione

Infine, si possono mettere in pratica strategie mnemotecniche, che consentono di organizzare le informazioni in maniera precisa e sistematica, sfruttando le rime (ad esempio “Trenta giorni ha novembre, con aprile, giugno e settembre, di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne han trentuno”), gli acronimi, cosicché le iniziali delle parole da ricordare vengano raggruppate in una sola unità (“Senatus PopulusQue Romanus” in “SPQR”), gli acrostici, che consentono di ricordare un nome, associando a ciascuna lettera una parola che sia legata alle altre da un senso (ad esempio, ricordare la parola “scuola” come “Sorbirsi Continuamente Una Orribile Lezione Assurda”).

Ma anche le immagini interattive, che permettono di combinare in un’unica immagine più informazioni (se dobbiamo andare a ritirare una raccomandata in posta possiamo immaginare il volto del postino con una busta appiccicata sopra) e il metodo dei loci, che consente di ricordare una serie di nomi o concetti, immaginando di collocarli in luoghi fisici conosciuti.

«Queste strategie si basano sul concetto di elaborazione», spiega Iannoccari. «Molte persone pensano di ricordare un’informazione solo perché l’hanno compresa, ma in realtà per ancorarla nella memoria bisogna “masticare” quella nozione. Quando sentiamo una parola nuova, questa ha un 10% di possibilità di essere rievocata. Se mettiamo in pratica un’elaborazione semplice questa probabilità sale al 40%, con una più complessa si arriva al 70%».

Gli esercizi per potenziare la memoria

Una volta acquisiti i meccanismi e le strategie, si possono eseguire esercizi mirati per l’allenamento della memoria.

No alle “protesi” elettroniche

«Prima di utilizzare le “protesi” elettroniche, sforziamoci di utilizzare le nostre facoltà mentali. Proviamo, ad esempio, a fare i calcoli a mano senza usare la calcolatrice, memorizzare i numeri di telefono e gli appuntamenti prima di salvarli nell’agenda dello smartphone. Se ci si abitua a non ricordare volontariamente le informazioni perché i supporti digitali lo fanno al posto nostro, quando poi dobbiamo recuperare un ricordo diventa più complicato», dice l’esperto.

Parole chiave e concetti più interessanti

«Per esercitare le nostre abilità mnemoniche, poi, possiamo soffermarci per 20-30 secondi sull’articolo o sulla pagina del libro appena letti, individuare le parole chiave e i concetti più interessanti e ripassarli mentalmente per fissare i dettagli nella nostra mente».

Ripercorrere gli eventi della giornata

«Un altro suggerimento importante è quello di ritagliarsi cinque minuti del proprio tempo, prima di addormentarsi, per ripercorrere la propria giornata nei minimi dettagli. In questo modo si mettono in linea tutte le informazioni e, nel corso della notte, il cervello seleziona quelle più salienti, le sedimenta e i giorni successivi avremo più possibilità di ricordare».

Sequenza di vocaboli

Per 5-10 minuti al dì si può eseguire un altro esercizio, prezioso per affinare le proprie capacità di memorizzazione. «Si può, infatti, scrivere una sequenza di otto parole (ma si può fare anche con i numeri) a caso, con le quali costruire poi una storia, sfruttando una delle cinque strategie suggerite poco fa», propone Iannoccari. «La sfida è quella di ricordare tutti i vocaboli, dal primo all’ultimo e poi dall’ultimo al primo. Per una prova ancor più impegnativa ci si può cimentare con sequenze di 10 o 12 termini».

Trovare un target nell’ambiente

Alla mattina, poi, possiamo proporci di trovare un target nell’ambiente circostante, ad esempio il numero 5. Significa che dobbiamo cercare questo numero su una pagina di giornale, un cartellino in vetrina, un biglietto da visita. «Questo esercizio è potente perché attiva l’attenzione che, come abbiamo visto, è una delle due gambe che sorregge la fase di registrazione delle informazioni. Alla sera, prima di coricarci, cerchiamo di ricordare dove abbiamo ritrovato quell’elemento, andando a stilare una sorta di elenco mentale».

Ripetere ad alta voce e trovare escamotage

Ovviamente, per migliorare la memoria bisogna imparare a ripetere ad alta voce l’informazione che vogliamo ricordare, che sia un paragrafo di testo, un pin o un appuntamento. Per ancorarla più a fondo nella mente possiamo trovare degli escamotage utili: ad esempio, se dobbiamo memorizzare il numero 17892 possiamo pensare che le prime quattro cifre, 1789, corrispondono alla Rivoluzione francese mentre l’ultima, 2, al numero dei propri figli o al piano in cui si trova l’appartamento, e così via.

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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