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Fibrillazione atriale e ictus: qual è la correlazione?

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La rubrica OK Salute e Benessere, condotta dalla giornalista Chiara Caretoni, va in onda tutti i giorni alle ore 11 sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR) e su Radio LatteMiele. Per entrare in contatto con la redazione radiofonica scrivi a: radio@ok-salute.it.

Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha raccontato di essere stato a rischio ictus e di averlo scoperto in occasione di un semplice intervento agli occhi quando i medici gli hanno diagnosticato la fibrillazione atriale, disturbo cronico del ritmo cardiaco. Ma quanto la fibrillazione atriale aumenta il rischio di ictus? Ce lo spiega Elio Clemente Agostoni, direttore di Neurologia e stroke unit dell’Ospedale Niguarda di Milano.

Gruppo San Donato

Un rilevantissimo fattore di rischio per l’ischemia cerebrale è la fibrillazione atriale. È altamente incidente nella nostra popolazione: il 20% degli ictus-ischemici sono legati alla fibrillazione atriale che colpisce prevalentemente le persone oltre i 55/60 anni. Può essere del tutto asintomatica, quindi il paziente non si accorge di averla e quindi ha una bomba a orologeria dentro il corpo, che aumenta esponenzialmente il rischio di ictus.

Fibrillazione atriale: come controllarla

Abbiamo a disposizione dei farmaci che chiamiamo anticoagulanti orali: la varfarina che è capace di interferire con alcuni momenti della cascata coagulatoria in modo indiretto e in questo modo riesce a tenere controllata la coagulazione del sangue, ricordandosi però di sottoporre il paziente al costante controllo, tramite prelievo, dell‘INR che deve stare tra 2 e 3. La popolazione che prende questo anticoagulante non è in questo range terapeutico, se non nel 50/60% dell’intero periodo di assunzione del farmaco. Se i valori sono inferiori a 3 è alto il rischio ischemico, quindi di trombosi delle arterie. Se è superiore a 3 è alto, invece, il rischio emorragico. In aggiunta ci sono degli anticoagulanti nuovi chiamati diretti che agiscono su alcuni fattori che direttamente sono coinvolti nella cascata della coagulazione e sono capaci di tenere controllata la coagulazione in modo costante e non hanno bisogno dell’INR e soprattutto sono stati capaci di ridurre le complicanze emorragiche, soprattutto cerebrali.

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