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Emanuele Filiberto: ho un pezzo d’anca nel braccio

«Una caduta dalla moto mi ha distrutto l'omero. Dopo la prima operazione è stato necessario un altro intervento: mi hanno applicato un frammento osseo prelevato dal bacino»

«Una scivolata in moto e mi faccio un tratto di carreggiata strisciando sul cemento: legamenti crociati del ginocchio in polpetta, clavicola slogata e omero distrutto», racconta Emanuele Filiberto di Savoia. «Tanto per non farmi mancare nulla, in sala operatoria incidono pure il bacino: così un pezzo d’anca è finito nel mio braccio».
Ecco la confessione del principe a OK..

«Oggi faccio yoga e ballo: paso doble, salsa, tango… Ieri salivo sul ring e tiravo di boxe, non perdevo una corsa di rally in macchina o mi esaltavo per una gara con le moto d’acqua.
Ma quando ti rompi un braccio e i legamenti crociati di un ginocchio, e ti sloghi pure una clavicola, tutto in un colpo solo e per una banale scivolata in moto, be’, la volta dopo ci pensi un minuto di più prima di buttarti a capofitto in quello che ti capita a tiro. Uno sportivo, un avventuroso lo sono sempre stato. E lo rimango. Ma con la testa.
Quella mattina del 2003, invece, la testa non so dove l’avessi lasciata. Ore otto di un tre dicembre nebbioso e umido. Esco di casa per andare in città, a Ginevra, al lavoro. Asfalto bagnato e visibilità zero. Dopo una piccola curva in salita perdo il controllo della moto. Scivolo, cado, mi faccio un pezzo di carreggiata strisciando sul cemento.
Quando mi fermo, ho dolori, lividi e abrasioni ovunque. Penso di essermi rotto qualsiasi osso del corpo, anche la testa, che in quel momento fa parecchio male. Ma sono lucido e non lascio che sia un passante a chiamare l’ambulanza. Mi faccio prestare il telefonino e, ancora con il casco addosso, chiamo l’ambulanza e avverto mia moglie Clotilde, incinta di otto mesi. Sentire la mia voce la tranquillizza, anche se capisce che non è un incidente da poco. In una decina di minuti arrivano i soccorsi.

Gruppo San Donato

Fermo per un mese dopo l’incidente
In ospedale, subito sotto i ferri. “Operarmi?”, sbraito io che speravo di essermi rotto al massimo una gamba. “Mettetemi un gesso e fatemi tornare a casa!”, urlo al medico.
“Stia buono”, interviene lui. “Lei ha una frattura scomposta al braccio sinistro, piuttosto grave, i legamenti crociati del ginocchio sinistro ridotti in polpetta e la clavicola destra slogata. Dovrà avere molta pazienza”. Dopo qualche ora mi ritrovo in una camera, immobilizzato dalla testa ai piedi.

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Mi dicono che l’intervento, per la verità piuttosto complesso, è andato bene. Nel frattempo, antidolorifici e fermo per un mese. Le stampelle? Nemmeno dipinte! A che mi servono con una gamba e un braccio ingessati in contemporanea?
A fine dicembre nasce Vittoria, io faccio i primi passi con i legamenti “nuovi” e comincio a riacquistare sensibilità al braccio sinistro.
Nell’osso dell’omero ricostruito mi hanno inserito una sorta di tutore con due viti perché la frattura si ricomponesse e io potessi tornare a muoverlo come prima. Seguo con scrupolo le sedute di fisioterapia fino alla fine di gennaio. Faccio gli esercizi pure a casa, mi sottopongo a un ciclo di elettrostimolazioni per ridare tonicità al muscolo del braccio. Recupero, sono contento.

Ricominciano i dolori, ancora sotto i ferri
Ma ad aprile ricominciano i dolori. Sento il braccio gonfio, fatico anche nei movimenti più semplici. Una visita da un ortopedico e una radiografia scongiurano il pericolo di infezioni dovute ai chiodi della prima operazione, ma confermano che qualcosa non è andato per il verso giusto.
“Bisogna sostituire il tutore e mettere una placca con altre viti”, mi dice il medico varesino che mi visita. “Altrimenti l’osso non può sistemarsi a dovere”, conclude l’ortopedico. “Va bene, sopporterò ancora il maledetto gesso, se non c’è altra via”, mi arrendo. L’operazione riesce, oltre alla placca mi hanno messo una parte di osso prelevato dal bacino. Dopo la riabilitazione a settembre sono come nuovo. E la moto? Non l’ho abbandonata e non mi fa paura.
L’incidente mi ha insegnato a prendermi cura del mio corpo, ad ascoltarlo quando duole, a non strapazzarlo e ad allenarlo, se lo si deve sottoporre a sforzi e prove, di qualsiasi tipo. E ho imparato che si devono esplorare ma non forzare le proprie potenzialità».
Emanuele Filiberto di Savoia (testo raccolto da Francesca Gambarini nel marzo 2009 per OK La salute prima di tutto)

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