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Alessandra Mastronardi: odio le mie gambe e loro me la fanno pagare

L'attrice, sul set del film «L'ultima ruota del carro» di Giovanni Veronesi, racconta a OK di non amare cosce e polpacci. E forse per questo soffre di gambe pesanti, spiega il papà psicologo

Alessandra Mastronardi, lanciata in tv dalla serie I Cesaroni, confessa a OK di odiare le sue gambe. E forse proprio per questo, secondo il papà psicologo, soffre di gambe pesanti… O per le lunghe ore passate sul set: ora è impegnata nelle riprese del suo primo film da protagonista, L’ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi, con Elio Germano e Sergio Rubini.

«La prima volta è stata a 11 anni. Ero sul set, come giovanissima attrice, a Cinecittà (per la fiction Amico mio, di RaiUno). Le gambe sono diventate pesanti, si sono messe a protestare, come protestano adesso, se sto troppo tempo in piedi, con un dolore ormai classico per me, che compare dietro il ginocchio e si estende fino alle caviglie. Nulla di grave, per carità, solo un piccolo problema alla circolazione, ma fastidioso.

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Non uso farmaci e non sono mai andata da un angiologo, per controllare lo stato delle mie vene. Vengo da una famiglia che dà grande fiducia ai rimedi naturali e la mia terapia contro le gambe pesanti è ultrasoft: quando compare, estraggo dalla borsa una bottiglietta d’acqua naturale e bevo, per contrastare la disidratazione, che penso abbia un ruolo in questi problemi.

Mio padre Luigi, che di professione fa lo psicologo, ha invece una sua teoria. Dice che non do amore alle mie gambe e che loro mi ripagano così, con quelle fitte. D’altronde, io sono il mio peggior nemico, lo so, e non per niente ho seguito, qualche tempo fa, un percorso di psicanalisi. La verità è che odio le mie gambe. Non mi sono mai piaciute… Le vedo corte, come se qualcuno avesse sbagliato a montare i pezzi, al livello del ginocchio. Se avessi una bacchetta magica, le cambierei. Ma non posso, ovviamente. Nel profondo non le accetto e non è un caso, credo, che siano proprio loro a darmi fastidio.

Pesantezza e dolorini…
Chi mi vive accanto (i colleghi, il mio fidanzato) sa riconoscere quel dolore, ogni volta che si presenta, anche se cerco di nasconderlo, perché sul mio viso, raccontano, compare una venatura di sofferenza. Il fatto è che ho una soglia molto alta di sopportazione del male e cerco di resistere fino all’ultimo.

Ma qualche piccolo muscolo della faccia si contrae da solo, e mi tradisce. A quel punto, mi lascio convincere a mettere tranquille le gambe, e il resto del corpo, sdraiandomi per qualche minuto. Poi tutto passa, senza che questo campanello d’allarme influisca negativamente sul mio lavoro, o sulla vita privata.

C’è da dire, comunque, che sono in buona compagnia. Perché è frequente, fra gli attori, questa sindrome delle gambe dolorose, se vogliamo chiamarla così. Quando ci si trova su un set, sono lunghissimi i tempi da passare in piedi, al trucco, in sartoria, durante le prove per le luci o per le inquadrature, e gli arti soffrono. Lo diceva anche Alberto Sordi: “La migliore cosa che puoi fare sul set è cercarti una sedia”.

Per superare il dolore fisico credo molto alla forza della mente: condizione essenziale per ridurre le tensioni (a partire da quelle sul lavoro) e anche per fare in modo che i rimedi lievi, come le bottigliette d’acqua, facciano effetto. La lista delle mie terapie dolci è lunga. Quando ho mal di pancia, per esempio, prendo una pastiglia a base di magnesio, contro i crampi, un rimedio che mi ha consigliato, tanti anni fa, mio padre. Per contrastare la tachicardia, invece, va benissimo il biancospino (LEGGI la confessione a OK: «Fin da piccola soffro di tachicardia»). Ma se mi viene la febbre alta, lo ammetto, vado sui farmaci tradizionali e mando giù la tachipirina…

Quanto alle gambe, oltre all’acqua funzionano i massaggi con le foglie di aloe vera. E mi dà un grande sollievo mettere i piedi a bagno per mezz’ora nell’acqua calda, con due cucchiai di sale grosso disciolti: un rimedio semplice e antico, ma molto efficace, piacevolissimo. Niente calze elastiche, invece.

Quando voglio giocare a prendermi cura di me vado a farmi fare i massaggi linfodrenanti, meravigliosi. Sono incostante, però, e invece che seguire i cicli previsti, mi fermo al primo o al secondo appuntamento, proprio come faccio anche con la palestra: mi sono iscritta spesso, ma ci vado solo tre o quattro volte, poi mi intristisco e non la frequento più, la trovo alienante. Piena di attrezzature, ti fa sentire una macchina. Corri e non vai da nessuna parte.

Per aiutare le mie poco amate gambe cerco di portare scarpe, o anche stivali, con i tacchi larghi e medio-alti. Adoro quelli a spillo, ma vanno bene solo per poche ore. Vado pazza anche per le ballerine, ma l’assenza del tacco mi massacra. Sono invece un mondo misterioso, per me, le creme. Le guardo e le compro soltanto per il packaging. Mi innamoro dei nomi e delle confezioni, ma alla fine, da sempre, mi ritrovo a usare la vecchia e cara Nivea, sulle gambe.

D’altronde, mi piacciono le cose semplici, le piccole attenzioni quotidiane: e lì, in quella capacità di individuare le cose minime, ma importanti, vedo l’amore di chi mi sta vicino. È un atteggiamento simile, per certi aspetti, a quello dei protagonisti del film di Giovanni Veronesi che sto girando in queste settimane, L’ultima ruota del carro. È la storia, ispirata alla realtà, di una coppia che per trent’anni è riuscita ad amarsi e a non disfare il matrimonio, parlando poco, accontentandosi di piccolissimi gesti. La ricetta più autentica, la sfida più grande».
Alessandra Mastronardi (confessione raccolta da Paolo Rossi Castelli per OK Salute e benessere di novembre 2012)

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