Benessere

“Return trip effect”: perchè il ritorno è più breve dell’andata

Secondo la scienza si tratta di uno scherzo della mente che non dipende dal tragitto, ma dalle nostre aspettative

Perché il ritorno è più breve dell’andata? A tutti è capitato almeno una volta della vita, se non di più, di porsi questo interrogativo. Magari al rientro da un week-end fuori porta, al termine di un lungo viaggio o anche semplicemente dopo una lunga passeggiata. Tornando indietro si ha la netta sensazione di averci impiegato meno. Si tratta di uno scherzo della mente, noto alla scienza come fenomeno “return trip effect”, letteralmente “effetto da viaggio di ritorno”.

Il return trip effect

La sensazione di “return trip effect” prodotta dal nostro cervello fa percepire la strada del rientro più breve del 17-22% rispetto a quella dell’andata, anche se il lasso di tempo trascorso in viaggio e i chilometri percorsi sono identici. Lo stesso accade quando il viaggio di ritorno avviene su un tratto stradale differente.

Gruppo San Donato

L’illusione, piuttosto comune, non dipende dal tragitto, ma dalle nostre aspettative: all’andata il desiderio, così come l’ansia o la paura, di raggiungere un luogo, porta a sottostimare la distanza da percorrere e il tempo sembra dilatarsi. Sia che si tratti di “una smania” di arrivo positiva, sia negativa. Al ritorno invece le attese si adattano all’oggettivo percorso da compiere, di conseguenza il cervello registra un lasso temporale che rispecchia la realtà di tragitto.

Chi viaggia di frequente non ci casca

A confermare tale effetto, esistente e reale, sono 3 esperimenti di uno studio compiuto tra gli Stati Uniti e l’Olanda. Nel primo, un gruppo di persone ha viaggiato in autobus, mentre il secondo in bicicletta. A entrambi è stato fatto percorrere sia all’andata sia al ritorno lo stesso tragitto, e in altri casi, un tragitto differente.

Nel terzo studio il campione è stato sottoposto a guardare un film per la seconda volta e anche in questo caso è stato dimostrato come la sensazione comune dei soggetti era di una durata ridotta rispetto alla prima visione. A non subire invece il return trip effect è chi viaggia di frequente. Ne è un esempio il pendolare che, costretto a percorrere abitualmente lo stesso tragitto, ha probabilmente una maggiore (e reale) percezione della distanza da percorrere, sia all’andata sia al ritorno.

Le attese modificano la percezione del tempo

Il cervello ragiona dunque secondo una scala di misurazione in cui l’unità di misura è l’aspettativa attribuita ad un evento o una situazione e al tempo stimato per percorrere un determinato tragitto. La scoperta potrebbe aiutare a indagare come le attese modifichino singolarmente la percezione del tempo, non solo quando si tratta di viaggi, ma anche in situazioni quali la seconda visione di un film, o la rilettura di un libro. E così, ancora una volta, la scienza ci mostra come la mente abbia il potere di manipolare un lasso temporale nella realtà immutabile.

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Beatrice Foresti

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, insieme ad altre testate. È laureata in Comunicazione, Media e Pubblicità all’Università IULM di Milano e ha da poco terminato un Master in Giornalismo alla RCS Academy. È appassionata di scrittura, radio, fotografia e viaggi.
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