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Piero Fassino: ecco perché sono così magro

«Peso 66 chili, non molto vista l'altezza, un metro e 92. Il fatto è che sotto stress mi dimentico di mangiare»

«Quando sono sotto stress perdo interesse per i sapori, sedermi a tavolta diventa soltanto un atto che cerco di impormi, mi dimentico di mangiare», racconta Piero Fassino.
Ecco la confessione del politico a OK e, a seguire, un approfondimento medico sul perché, nei periodi di tensione, può passare la fame.

«Sono sempre stato magro. Peso 66 chili, non molto vista l’altezza, un metro e 92. Dagli anni 60 ad oggi l’ago della bilancia si è spostato in su di mezzo chilo appena.
Non ho mai chiesto il parere di un medico, non c’è ne è mai stato bisogno. Credo che il mio metabolismo si regoli in modo da avere un suo equilibrio.
A me piace mangiare bene e bere bene. Non entro mai in un ristorante a caso. Peraltro ho la fortuna di avere una moglie, Anna, che ha il “pollice verde della cucina”. Dico spesso che il miglior ristorante cinque stelle è a casa mia.

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Nutrirmi, un gesto meccanico
C’è che io mi dimentico di mangiare. Quando sono sotto stress perdo interesse per i sapori, mi sono indifferenti, nutrirmi diventa un gesto meccanico, che cerco di impormi. Ci sono giorni in cui non sento per niente lo stimolo della fame, come se il mio cervello si impigrisse e smettesse di mandarmi i segnali imposti dallo stomaco vuoto. Allora inghiotto giusto un boccone, quanto basta per stare in piedi. Quanti pasti ho saltato quando il Pci si è sciolto nell’89 alla Bolognina, quando i Ds si sono uniti al Pd nel 2007, quando abbiamo perso alle elezioni del 2008…
Succedeva pure quand’ero studente alle medie, a Torino, negli anni 60.
C’era un esame, un’interrogazione, un compito in classe particolarmente impegnativo? L’appetito spariva, il momento del cibo non era più atteso, come avviene per la maggior parte degli adolescenti. Nonostante tutto ciò ho avuto una buona educazione alimentare.

La mia mamma si disperava
Durante la mia infanzia, in famiglia, si stava a tavola tutti insieme, dedicando il giusto tempo a piatti e parole, perché così voleva mio padre Eugenio. A me piaceva, ascoltavo, era un momento di gioia.

Sentivo i racconti partigiani, si parlava di politica, io mi interessavo sempre più all’argomento. E intanto, come si usa in Piemonte, il pranzo e la cena si prolungavano. Con il vino buono e il bollito.
Ma nei periodi per me più difficili, alla severa scuola dei Gesuiti che richiedeva ore di studio, ecco che il problema si ripresentava: nutrirmi era una forzatura. Mia madre lo sapeva, un po’ la facevo disperare. “Piero, ti prego, devi mangiare”, era la richiesta continua. Lei era riuscita a trovare uno stratagemma. Aveva scoperto che ero golosissimo di purè, delle melanzane alla parmigiana, della pasta al ragù. Quindi cucinava apposta per me, mi chiamava a tavola ricordandomi che era arrivata l’ora e finalmente riusciva a farmi mandare giù qualche boccone.
A invogliarmi era anche la consistenza morbida delle patate passate, che non mi costringeva a masticare. Idem con l’insalata russa che mi preparava la mia tata Elsa, per cui andavo matto. Quando il nervosismo passava, l’appetito tornava alla normalità. E io ricominciavo ad apprezzare i vari sapori, anche quelli più forti, come quelli dei formaggi, che mio padre adorava e del cui gusto mi ha spiegato tutti i segreti.
Ancora oggi, quando li assaggio penso a lui. E la stessa cosa mi accade con il pinzimonio di verdure: non c’era pasto che in casa Fassino non si aprisse con quella portata. È una sensazione sul palato che mi dona tuttora serenità, facendomi anche fare pace con questo modo irrequieto di nutrirmi.

Mia moglie mi tiene d’occhio
Ormai sono abituato e consapevole che, se lo stress arriva, lo stimolo della fame se ne va. In questi casi mia moglie, che peraltro è un’eccellente donna di cucina, mi tiene d’occhio e mi impone di essere regolare nei pasti.
Quando sono rilassato, invece, la buona cucina mi dà piacere, tra l’altro leggo tutto quello che trovo in materia di vini e cerco di tenermi aggiornato sulle novità. Da qualche anno mi interessano gli champagne. Ho amici che, una volta scoperta questa mia predilezione, mi portano nuove bottiglie da assaggiare insieme. Magari accostandole a un buon dessert, come i dolci di mandorle e di marzapane di cui sono goloso, e ascoltando del jazz. Non posso abbinare al calice le fragole di serra, purtroppo. Sono allergico, se ne mando giù una mi riempio di bolle.
Curiosamente posso mangiare le fragoline originali di bosco, spesso con l’aceto, una ricetta che mi ha insegnato mio padre».
Piero Fassino (testo raccolto da Marta Serafini nel marzo 2009 per OK La salute prima di tutto)

QUANDO SOTTO STRESS
PASSA LA FAME

Perché può passare la fame nei periodi di tensione? Partiamo dallo stress fisico.

Troppa adrenalina. «Quando è in pericolo, il corpo deve prepararsi a correre o a lottare: una scarica di ormoni, tra cui l’adrenalina e la serotonina, fa sì che il sangue affluisca di più al cervello e ai muscoli», spiega Luigi Enrico Zappa (puoi chiedergli un consulto), direttore del Centro per i disturbi del comportamento alimentare del dipartimento di salute mentale all’ospedale San Gerardo di Monza . «Passa lo stimolo della fame, c’è qualcos’altro di cui occuparsi. Questa reazione, nata nei nostri antenati per difendersi dalle belve feroci o dalle intemperie, si verifica anche quando la minaccia è psicologica o emotiva. Dunque, una prova impegnativa o una lite con il collega. Poi, superato il momentaccio, i livelli ormonali tornano alla normalità e l’appetito ricompare».

L’iporessia. In alcuni casi, questi meccanismi possono incepparsi. «Se il problema si ripresenta per periodi lunghi, il rifiuto del cibo come risposta allo stress può rientrare in un disturbo dell’alimentazione detto iporessia», avverte Zappa. «Uno dei rischi è la perdita eccessiva di peso, con il conseguente indebolimento dell’organismo».

Come invogliare a mangiare. Chi non ha voglia di sedersi a tavola non va rimproverato. «Meglio fare una chiacchierata per fargli tirar fuori la tensione», consiglia Zappa. «Nei casi preoccupanti di iporessia, è opportuno che la persona intraprenda una terapia psicologica (trattamento riabilitativo corporeo e psicoterapia comportamentale)». Il rischio da evitare è l’anoressia.

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