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Paolo Bonolis: da bambino ero balbuziente, ne sono uscito

«Da piccolo tartagliavo e i miei discorsi erano incomprensibili. La maestra mi interrogava per iscritto. Poi ho capito il segreto: concentrarsi su una frase sola. E sdrammatizzare»

«Da bambino la mia balbuzie era un calvario. Ma sono cresciuto sereno. E lo devo ai miei genitori, che non mi hanno mai fatto sentire diverso», confessa Paolo Bonolis. «Oggi li imito con mia figlia: mi comporto come se i gravi problemi, che lei ha fin dalla nascita, non esistessero…».
Ecco la confessione del conduttore televisivo a OK.

«Qual è il senso della mia di vita? Provate a leggere, vi racconto quello che in televisione non si vede. Quello che non è andato sempre liscio, quello che è duro. Quando avevo cinque o sei anni balbettavo così tanto che starmi a sentire era un calvario. E quel naso… Lunghissimo, con dietro un abbozzo di faccia. Poi la pipì a letto, fino a 10, 11 anni.
Insicurezza? Non lo so. Probabilmente sarà stato quello. Perché cause oggettive non ce n’erano, infatti tutto si è sistemato. Certo, se non fosse andata com’è andata non avrei mai potuto fare la tv.

Gruppo San Donato

La maestra m’interrogava per iscritto
Ma quando ero bambino, fin dalle elementari, la balbuzie era molto forte. Tanto che a volte balbettavo al punto da non poter essere interrogato. Sennò gli altri ragazzini dovevano passare tutta l’ora a sentire me.
All’inizio ridevano e qualcuno mi prendeva in giro. Ma alla fine non ne potevano più e sbadigliavano. La maestra optò per l’interrogazione scritta. In quel modo le coltellate di Giulio Cesare rimanevano 33 e non diventavano 66…
I miei genitori sono stati fondamentali per la mia autostima. Mi fecero comprendere che il mio difetto mai mi avrebbe impedito di essere come gli altri. Papà mi diceva: “Ricordati, questo problema non è il tuo problema, ma è di quelli che lo vedono tale. Tu non fai altro che dire le cose che pensi, come tutti. Ci metti solo più tempo”.

Capii: dovevo pensare a una frase per volta
I miei erano due persone semplici, papà scaricava ai mercati e mamma faceva la segretaria, ma grazie a loro, malgrado le forche caudine a cui ero costretto a sottomettermi ogni volta che dovevo parlare, sono stato un bambino sereno. E il giorno in cui ho trovato la strada per risolvere la cosa ho provato una gioia che non dimenticherò mai.
Quel giorno arrivò grazie a una recita a scuola. Quando iniziai a frequentare la prima media al San Giovanni Battista del Vignola feci la straordinaria scoperta che, quando potevo concentrarmi su un’unica frase, riuscivo a dirla tutta d’un fiato. Stavamo provando Assassinio nella cattedrale di Thomas Eliot, un’occasione imperdibile per conoscere le ragazzine in una scuola di soli maschi. Io avevo un’unica battuta. Ma fin dalle prove mi accorsi che, se la mia attenzione si polarizzava solo su quella, procedevo senza intoppi. Fu una rivelazione. E il regista Renato Tarchino, che insieme a Lello Magrelli aveva organizzato a scuola il gruppo teatrale Il palcoscenico, mi prese da parte e mi disse: “Vedi, Paolo, com’è facile ? Mettici tutto te stesso in quelle parole e vedrai che non tartaglierai”.

Gli chiesi come mai e lui mi espose un’ipotesi che poi si rivelò vera: “Tu hai tante cose nella testa. Nel momento in cui ti concentri soltanto su una, perché è l’unica a cui pensare, tutto diventa più semplice e le parole scorrono fluide. Probabilmente il tuo guaio accade perché hai tante idee che vogliono uscire insieme: così si forma un ingorgo tipo raccordo anulare. Se riesci a evitare questo intasamento, ti sblocchi. Dammi retta”. Per alcuni mesi feci quest’esercizio. E funzionò. Smisi di farfugliare.

Per salvarsi bisogna sdrammatizzare
Oggi, se sono nervoso o molto stanco, continuo a impuntarmi sulle parole ma certo non al livello di quando ero ragazzino. Mi è capitato spesso in appuntamenti televisivi piuttosto importanti.
Per esempio, quando ho presentato il Festival di Sanremo oppure le volte che ho affrontato interviste con personaggi molto impegnativi.
Ma non mi sono mai più impappinato al punto di non permettere al mio interlocutore di capire quello che stavo dicendo.
Ho notato che parlo senza titubanza di argomenti leggeri: vado velocissimo e non mi inceppo mai. È quando devo dire cose importanti, quando le parole hanno un peso, oppure quando sono pressato dal tempo, che la mia balbuzie torna a manifestarsi. Però, pur essendo da sempre interessato alla logica psicoanalitica, non ho mai voluto applicarla su di me.
Anzi, penso di avere risolto il problema proprio nel momento in cui l’ho vissuto con disincanto. Come un non problema. Per questo credo di dover moltissimo ai miei genitori e al loro modo di sdrammatizzare. E lo stesso cerco di fare con i miei figli.
Io e mia moglie Sonia abbiamo una bambina, Silvia, che sin dalla nascita ha avuto problemi molto gravi.

Ce la farà anche la mia piccola Silvia
Cerchiamo di vivere serenamente ogni istante che passiamo con lei e, malgrado i suoi evidenti problemi, è una creatura felice che si sta costruendo una fiducia verso se stessa e verso il mondo. Penso che tutto ciò sia possibile perché lei si sente accettata, come se quei problemi non esistessero. Com’è stato per me. Solo quando a 11 anni non riuscivo a smettere di fare la pipì a letto, mio padre s’impose: mi obbligò a partecipare a una gita scolastica e a quel punto dovetti affrontare la cosa. Non potevo rischiare una figuraccia. Mi intimai di stare attento, riuscii a dominarmi e la cosa finì lì.
Si trattava di insicurezza? E chi lo sa… È che viviamo in una società che vuole dare risposte a tutto. Ma certe cose non hanno risposta. Le devi vivere per quello che sono. La cosa importante è sapere che siamo diversi dagli altri solo nel senso che siamo unici. E siamo irripetibili».

Paolo Bonolis (testo raccolto da Maria Grazia Filippi per OK La salute prima di tutto di maggio 2006)

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