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Ivan Zazzaroni: «Ho pagato cara la mia passione per il calcio»

«Tre incidenti sul campo, prima di appendere definitivamente le scarpe al chiodo: due fratture, alla tibia e al polso, e il tendine d'Achille lesionato»

Una tibia, un polso e un tendine d’Achille: è il prezzo che ho pagato alla mia passione per il calcio, con fratture e lesioni una dopo l’altra sui campi, dove ho cominciato a giocare fin da piccolo senza mai risparmiarmi.

Il pallone? Una passione che dura da una vita

Ho iniziato a sei anni a trascorrere i lunghi pomeriggi dopo la scuola calciando una palla
insieme agli amici. Me la cavavo bene, tanto che a nove anni sono entrato nel Minerbio, una squadra del bolognese, perché Bologna è la mia città. Da adolescente ero già arrivato a provare per squadre professionistiche, come la Roma, la Massese, la Sambenedettese e l’Empoli. Ma a 18 anni, in una semplice partitella tra amici, arriva il primo incidente: una ginocchiata del portiere avversario mi ha procurato una frattura esposta della tibia destra.

Gruppo San Donato

Sono rimasto traumatizzato

Ricordo di non aver provato, al momento, alcun dolore fisico, soltanto la sensazione di un ramo spezzato bruscamente. Ma ero rimasto scioccato, dopo l’immediato ricovero all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, dalla vista di una sorta di trapano che mi forava l’osso all’altezza della caviglia per consentire l’allungamento della tibia in trazione: ero in anestesia locale e non sentivo niente, ma credo sia stato l’evento più traumatico che abbia mai subìto in tutta la vita! Poi, questa volta in anestesia totale, mi è stato inserito un chiodo (è detto di Kuntscher), che mi sono portato appresso per un anno intero. Ma, considerato che non mi dava alcun problema, non ha frenato la mia incoscienza di diciottenne nel riprendere ad allenarmi assiduamente con una squadra di calcio brasiliana di serie A, il Botafogo di Ribeirao Preto, dove mi ero trasferito temporaneamente per motivi di studio e di lavoro. Il rischio di ulteriori problemi non mi fermava, ma per fortuna in Brasile è andato tutto bene e, finalmente, 12 mesi dopo, con la tibia ormai risistemata, il chiodo è stato rimosso.

Poi è arrivato il secondo infortunio

Trascorsa una decina d’anni, ecco il secondo incidente sul campo da calcio: durante una partita di un campionato amatoriale ho fatto un salto azzardato per fronteggiare l’avversario e sono caduto con tutto il peso del corpo sul polso sinistro: risultato, frattura del quinto metacarpo. Ma quella volta me la sono cavata «semplicemente» con un mese di gesso, seguito da immersioni giornaliere in una bacinella di acqua calda e sale per togliere il gonfiore.

…E alla fine il terzo!

Il peggio, però, doveva ancora venire, dieci anni dopo. Ero stato inviato in Francia dal mio
giornale per la partita di Coppa Uefa Marsiglia-Bologna e, nel pomeriggio, con i colleghi
presenti, avevamo organizzato una partita di italiani contro francesi. Era proprio l’ultimo minuto quando all’improvviso ho avvertito la sensazione di una sassata violenta contro l’arto destro: si era lesionato il tendine d’Achille. I medici sportivi del Bologna mi hanno steccato il polpaccio per tenerlo bloccato, e poi dotato di stampelle per consentirmi di portare a termine il mio lavoro prima di rientrare in Italia la mattina successiva. Due giorni dopo ero già sotto i ferri per l’intervento chirurgico ricostruttivo in una clinica privata di Bologna, effettuato dal professor Maurilio Marcacci. Il ricovero è durato solo quattro giorni, ma la riabilitazione è stata lunga e faticosa.

Mi sono sottoposto a una terapia riabilitativa

Dotato di tutore e stampelle, senza mai poter appoggiare il piede a terra per i primi 40 giorni, mi recavo quotidianamente per un paio d’ore all’istituto Isokinetic di Bologna per la terapia riabilitativa, che consisteva in tecniche ormai di uso comune, ma che vent’anni fa erano agli esordi: tanta piscina, manipolazioni specialistiche, esercizi con pesi e palloni per il ripristino del tono muscolare e della mobilità della caviglia. Una fatica immane, e sempre all’insegna di un’attenzione continua per evitare il rischio di una nuova frattura, tanto più che dovevo continuare a mantenere anche i miei impegni di lavoro. Ci sono voluti tre mesi dall’intervento per ristabilirmi completamente e tornare a camminare come prima. E fortunatamente è stato l’ultimo episodio. Ora, a ricordarmi tutto, è rimasto soltanto un callo osseo esuberante nella tibia destra e una leggera differenza tra le due caviglie, che però non mi impedisce di fare anche dieci chilometri di camminata veloce al giorno ogni volta che posso. Col calcio giocato, invece, ho chiuso. Ma le emozioni che mi ha saputo regalare restano impagabili e indimenticabili. E, nonostante tutto, considerato anche il lavoro che faccio, posso dire che mi ha dato sicuramente
più di quanto mi ha tolto.

Ivan Zazzaroni (testimonianza raccolta da Grazia Garlando per OK Salute e Benessere)

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