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Genitori e figli nello sport: guida rapida per non fare errori

Se svolto in modo sano è utile per lo sviluppo fisico, cognitivo e comportamentale dei bambini. Ce ne parla il mental coach Gabrielli

Lo sport è un momento importante per i bambini. Se svolto in modo sano, oltre a regalare divertimento, socialità e libertà, può rivelarsi utile per lo sviluppo fisico, cognitivo e comportamentale dei propri figli. Spesso però si trasforma in una vera e propria ossessione, anche a causa dello spirito troppo severo e competitivo dei genitori. Perché allora stimolare i propri figli a fare sport? In che modo sostenerli? Come non fare errori? È a queste domande che risponde Giovanni Gabrielli, Sport mental coach e docente scuola tecnici federali FISI.

“Voglio espresso” e non “devo imposto”

L’avviamento all’attività fisica di un bambino parte da un presupposto: il “voglio espresso” e non un “devo imposto” dai genitori. «Costringerlo a praticare un’attività non scelta o amata ha come risultato quello di creare forti resistenze alla pratica non solo di quello sport, ma anche di tutti gli altri», precisa il mental coach. «È senza dubbio positivo e necessario per un bambino fare attività sportiva, specialmente adesso che il Covid ha provocato veri e propri blocchi relazionali, perché aiuta in primis a sviluppare un equilibrio emozionale importante e poi minimizza la pigrizia mentale dovuta a momenti di noia o isolamento da computer».

Gruppo San Donato

Se supportata da un approccio intelligente dei genitori e degli allenatori, l’attività fisica è poi utile per lo sviluppo di una buona autostima e autoefficacia generale. «Nello specifico, è capace di far sviluppare capacità fisiche, cognitive e comportamentali. Un bambino che pratica sport è sicuramente più curioso, proattivo, sereno e resiliente. Inizia poi ad entrare in contatto con valori di vita importanti quali l’impegno e la responsabilità individuale di azioni e risultati, e con un sistema di regole relazionali fondamentali per lo sviluppo comportamentale adolescenziale» spiega Gabrielli.

L’identikit genitoriale

Come già detto, i genitori hanno un ruolo importante, spesso però sono loro la causa dell’approccio negativo dei figli allo sport. Esiste una sorta di identikit genitoriale in termini di atteggiamenti corretti e scorretti? «Certo che si, ho delineato alcuni modelli che possono servire anche ai genitori per riconoscersi e modificare, nel caso, i propri comportamenti».

Il genitore coach

Il primo è il “genitore coach” (prevalentemente i padri), che tende a sostituirsi agli allenatori o educatori, mettendo in discussione continuamente le loro scelte, e che pretende che il proprio figlio/a abbia un trattamento speciale perché considerato un talento. Un atteggiamento di questo tipo non solo crea confusione nella mente del figlio/a in quanto non sa mai a chi dare retta, ma crea anche conflitti all’interno dei team e tra genitori.

Il genitore manager

Il secondo è quello che definisco il “genitore manager”. Per questa tipologia conta solo il risultato ottenuto e tutto è lecito per ottenerlo. Il bambino, tenuto in una bolla di attenzioni e forzature, viene costantemente aggredito verbalmente in caso di mancati risultati, con grave impatto sull’autostima. Questi genitori pensano che il loro figlio/a sia il nuovo Alberto Tomba o Ronaldo, la nuova Sofia Goggia o la Fracci del futuro. Lo sport cessa di essere un divertimento e diventa così un lavoro.

Il genitore assente

Un’altra tipologia, all’apparenza innocua, ma che è invece causa di problemi, è il “genitore assente”. Questo non si interessa per nulla dell’attività sportiva del figlio, specialmente se ha scelto autonomamente lo sport da praticare e non è quello che il genitore avrebbe voluto. In caso di mancato risultato, una delle frasi più comuni è “te lo avevo detto”.

Il genitore tifoso

Esiste poi la categoria positiva, in cui tutti i genitori si dovrebbero riconoscere, che è quella del “genitore tifoso”. Attenzione, tifoso non è inteso come ultras. Questo genitore è il primo sostenitore delle scelte fatte dal figlio/a, è colui che lo apprezza non solo in presenza di vittorie, ma lo affianca positivamente anche nei momenti negativi. È il genitore che non considera il risultato sportivo del figlio/a come un trofeo da mostrare per affermare anche il proprio valore, che applaude la vittoria di un avversario e non critica mai le scelte dell’allenatore.

L’ironia è il sale di una buona vita

Sempre più spesso i media ci informano di ciò che accade nello sport giovanile: bambini aggressivi e genitori invadenti che scatenano vere e proprie risse sugli spalti. Cosa sta succedendo? «Sta succedendo quello che non dovrebbe mai succedere. Alcuni genitori considerano l’attività sportiva dei figli un vero investimento, anche economico, altri scaricano le proprie insoddisfazioni sulle gradinate di un campo sportivo, altri ancora invece considerano i propri figli dei veri talenti e se questo talento non riesce a esplodere allora la colpa è degli allenatori che non li sanno far sbocciare» continua Giovanni.

Oggi la vittoria e il successo stanno diventando troppo importanti, specialmente nello sport giovanile, i genitori si prendono troppo sul serio e dimenticano che un po’ di autoironia spesso è il sale di una buona vita.

Come non fare errori

Come comportarsi allora per creare un buon rapporto tra genitori e figli in ambito sportivo? Ricordarsi sempre che lo sport deve essere prima di tutto un divertimento e che i figli vanno sostenuti sia nei momenti positivi sia in quelli negativi, a prescindere dal risultato. Sulla base di questa domanda Gabrielli ha sviluppato il decalogo dell’efficacia genitoriale che risponde in modo esaustivo ai dubbi dei genitori che vogliono migliorare i propri atteggiamenti e comportamenti in ambito sportivo.

«Tra le strade da seguire per evitare di fare errori sicuramente c’è il dare amore incondizionato ai propri figli, indipendentemente dai loro risultati sportivi e tenere a mente che noi non siamo i nostri figli. Poi fare pace con la propria esperienza giovanile sportiva e non usare quella dei figli come rivalsa e riscatto, non considerare mai il risultato ottenuto come il valore dei propri figli e ricordare che possiamo essere un esempio da seguire o da cancellare. Tutto dipende da noi. Chiudo questa intervista citando la frase scritta su un cartellone che vidi tempo fa sulla porta di una palestra a Milano, una frase illuminante ed esaustiva: chi pensa di avere un figlio talentoso e campione è pregato di portarlo in un’altra palestra!» conclude.

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Beatrice Foresti

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, insieme ad altre testate. È laureata in Comunicazione, Media e Pubblicità all’Università IULM di Milano e ha da poco terminato un Master in Giornalismo alla RCS Academy. È appassionata di scrittura, radio, fotografia e viaggi.
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