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Annalisa Manduca: «Quattro anni di analisi per superare gli attacchi di panico»

«Dopo la scomparsa di mio padre sono piombata in un periodo di ansia quasi insostenibile: mi ha aiutato la terapia cognitiva»

La paura di aver paura. Che ti assale all’improvviso e ti paralizza bloccandoti la vita. È questo l’attacco di panico. Inspiegabile e incomprensibile, fino a quando non lo si prova.
Avevo trent’anni quando mio padre è venuto a mancare a causa di una grave malattia autoimmune che in poco tempo l’ha portato via. Ero legatissima a lui e, grazie al fatto che da tempo mi occupavo di salute per motivi di lavoro, ho fatto di tutto per cercare di aiutarlo con gli specialisti e le cure migliori. Ma non è bastato. Per questo ho vissuto la sua scomparsa non solo come un profondo trauma affettivo, ma anche come una sorta di fallimento personale, sprofondando nello sconforto e nel malessere.

Gli attacchi di panico arrivavano di notte

Inizialmente attribuivo questo mio stato d’animo alla sofferenza, allo stress e alla stanchezza. Fino a quando le mie notti hanno cominciato a trasformarsi in incubi: mi svegliavo all’improvviso urlando, mi mancava il respiro e mi  assalivano le palpitazioni, provocandomi uno stato di ansia quasi insostenibile. Una sensazione davvero spaventosa che non riuscivo a spiegarmi. Questi attacchi di panico mi assalivano solo la notte. Ma di giorno, naturalmente, mi portavo addosso tutti gli strascichi di una tale tensione, uniti alla paura costante che potessero ripresentarsi da un momento all’altro. La mia testa era sempre in allarme e mi rendeva difficilissimo fare qualunque cosa, anche la più banale, come salire in ascensore, prendere un treno o l’automobile, ed erano soprattutto i luoghi chiusi o affollati, come un cinema o una galleria, a turbarmi, trasmettendomi un senso di profonda oppressione.

Gruppo San Donato

Mio marito è stato di grandissimo aiuto

Riuscivo a frequentare quei posti solo assieme a mio marito, l’unico a cui avevo confidato tutto e che mi è sempre stato vicinissimo, ma sempre con precisi accorgimenti, come ad esempio uscire dal cinema prima che lo facessero tutti o quando ormai si era svuotato. Se ero sola, invece, mi sottraevo a molte cose, autoescludendomi sempre più dalla normalità quotidiana. Compreso il mio lavoro in tv, le cui emozioni forti adesso mi spaventavano.

Ci sono voluti 4 anni per superare tutto

Mi sono sottoposta a ogni tipo di analisi e di accertamenti, soprattutto riguardanti lo stato cardiaco. Che però, fortunatamente, non hanno rivelato nulla di anomalo: fisicamente ero sanissima. E allora ho cominciato a indagare senza sosta consultando diversi medici che mi aiutassero a fare luce su quanto mi stava accadendo: un percorso lento e difficile. Mi sono sottoposta a trattamenti farmacologici in grado di tenere a bada quello stato di inquietudine e di paura che non mi mollava mai. Finalmente, un terapista cognitivo esperto proprio in attacchi di panico mi ha aiutato a far emergere tutto il malessere che avevo dentro di me. Sono rimasta di stucco: ero sempre stata una ragazza forte e determinata, indipendente e molto sicura di me, a 23 anni avevo già raggiunto importanti traguardi professionali. Ma forse questo peso era stato eccessivo: ero più fragile di quanto pensassi, avevo spinto troppo sull’acceleratore e adesso non reggevo più, all’improvviso tutto mi sembrava più grande di me e mi faceva paura, perfino il mio lavoro che amavo tanto. Dovevo capirlo, accettarlo e ricominciare daccapo, alla luce di questa nuova consapevolezza di me. Ci sono voluti quattro anni per vivere e superare tutto.

Il disagio va condiviso

Le crisi violente sono sparite insieme con le paure, e ho ripreso a fare ogni cosa senza problemi, ma so che qualcosa dentro mi è rimasto, che quel disagio si potrebbe ancora riaccendere. Per questo adesso ho imparato ad accettare le mie debolezze, grazie anche a chi mi sta vicino e mi sostiene. Mia figlia Benedetta mi ha addirittura insegnato a fare ironia sulle mie ansie «fuori misura». Voglio dire a chi sta vivendo la mia stessa esperienza che è fondamentale riconoscerla, accettarla e affrontarla, perché solo così se ne può uscire. E, se possibile, condividerla con altri. Per questo, forse, un giorno riuscirò a tirare fuori dal cassetto quel libro che ho scritto nei tempi bui e a pubblicarlo. Mi piacerebbe che potesse servire ad aiutare qualcun altro.

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