Alimentazione

Carne vegetale: non è un sostituto completo di quella animale

Per salvare la Terra, secondo l'Onu, dovremo mangiare meno bistecche, perciò il futuro potrebbe essere quello di hamburger vegetali e fettine create in provetta. Dal punto di vista nutrizionale, però, qualche dubbio resta

La carne vegetale (plant-based) potrebbe essere una risposta contro l’inquinamento e i cambiamenti climatici, ma dal punto di vista nutrizionale non è un sostituto completo di quella di origine animale.

L’Onu: l’uomo si sta mangiando la Terra

Da un lato, infatti, c’è l’allarme lanciato dall’Onu: l’uomo si sta mangiando la Terra. Negli ultimi 50 anni è raddoppiato il consumo di carne, con l’allevamento intensivo di bovini e ovini che ha determinato un aumento del 70% delle emissioni di metano, le quali incidono sui cambiamenti climatici. E in futuro la situazione rischia di peggiorare. Entro la metà del secolo la popolazione mondiale dovrebbe toccare quota 10 miliardi – lo scorso marzo eravamo in 7,69 miliardi – con il conseguente enorme aumento del fabbisogno di cibo.

Gruppo San Donato

Nel 2040 le bistecche saranno vegetali o create in laboratorio

È in quest’ottica che il futuro potrebbe essere della carne-no-carne, la fake meat, per dirla all’anglosassone (falsa carne). Ne è sicuro il report pubblicato dalla società statunitense di consulenza globale AT Kearney, secondo il quale nel 2040 il 60% di bistecche & co. consumate non proverranno da animali macellati, ma da carne coltivata in laboratorio (35%) e da prodotti a base vegetale che imitano le caratteristiche organolettiche della carne, così da accontentare non solo vegani e vegetariani ma anche i carnivori (25%).

Un business che piace a DiCaprio e ai vip ambientalisti

La carne plant-based, del resto, è già un business che ha invaso il mercato statunitense e che si sta trasferendo sulle sponde europee. La prima società a scommettere sul suo successo è stata Beyond Meat, fondata dieci anni fa a Los Angeles, che ha attirato l’attenzione di investitori come mister Microsoft, Bill Gates, e l’attore ambientalista Leonardo DiCaprio. Risale al 2016 il lancio a livello internazionale del Beyond Burger e oggi i suoi prodotti sono approdati anche in Italia. E si appresta a sbarcare da noi anche Impossible Foods, con il suo Impossible Burger. Creata nel 2011, ha ricevuto finanziamenti dalla pluricampionessa di tennis Serena Williams e dalle stelle della musica Katy Perry e Jay-Z, oltre a essersi alleata con la catena di fastfood Burger King. E ora si sono attrezzate anche le multinazionali, a partire dalla Nestlé.

Simili solo in quanto fonti di proteine

Ma la carne vegetale può davvero sostituire quella di origine animale dal punto di vista nutrizionale? «Come fonte di proteine sì», risponde Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca del Centro di ricerca Crea alimenti e nutrizione e presidente della Società italiana di scienze dell’alimentazione (Sisa). «In un passato non troppo lontano, quando l’apporto di questo nutriente nella dieta della maggior parte della popolazione era scarso, la carne animale è stata un grandissimo presidio di sopravvivenza perché ricca di proteine di elevata qualità. Ma oggi viviamo in un mondo che ci mette a disposizione tanti altri alimenti per assumere i “mattoni” del nostro organismo».

La carne animale vince su ferro, zinco e senso di sazietà

Per contro, prosegue il nutrizionista, resta l’importanza della carne animale «sia come fonte di ferro altamente biodisponibile e di zinco sia per la capacità di dare senso di sazietà unitamente a un basso contenuto calorico (è il caso, per esempio, della classica bistecca con insalata). Fermo restando, comunque, che è ancora importante mangiarla come alternativa ad altri cibi proteici per variare l’alimentazione».

Nella carne vegetale troppi grassi saturi e sale

I prodotti plant-based attualmente sul mercato, inoltre, destano ancora qualche perplessità, anche tra i vegetariani e i vegani. L’Osservatorio Veganok, la prima organizzazione informativa europea specializzata in analisi dei dati sociologici, scientifici e di mercato sul mondo vegan, ha messo sotto la lente d’ingrandimento nutrizionale il Beyond Burger e i suoi venti ingredienti: proteine di pisello isolate, olio di canola, olio di cocco, acqua e aromi, più diversi componenti minori, come il succo di barbabietola, che serve per conferire il colore sanguigno dell’hamburger di vera carne. Ebbene, se da un lato si evidenzia il ricco contenuto di proteine (20 grammi) e la presenza del 25% della dose raccomandata di ferro (comunque più difficilmente assimilabile dall’organismo di quello della carne animale), dall’altro si registra un eccesso di grassi saturi, 5 grammi sui 22 complessivi di grassi, e di sale, oltre un grammo.

La bocciatura arriva anche dai vegani

Così, conclude la biologa nutrizionista Erica Congiu sul sito internet osservatorioveganok.com, «dal punto di vista prettamente nutrizionale, non si può certo dire che il Beyond Burger sia un prodotto salutare. Nonostante i singoli ingredienti non siano di per sé dannosi, messi insieme ne fanno un alimento altamente raffinato e processato, ricco di sale, grassi di cattiva qualità e addensanti. Questi ultimi in particolare potrebbero causare fastidi gastrointestinali, soprattutto in soggetti con coliti o colon irritabile». Insomma, «se una persona decidesse di diventare vegana e decidesse di sostituire completamente la carne con questo tipo di surrogati, ben poco ne guadagnerebbe in termini di salute».

Il dubbio “cancerogeno” sulla molecola simile all’eme

Le perplessità sull’Impossible Burger, invece, sono dovute alla presenza di leghemoglobina di soia. È «l’ingrediente magico» di Impossible Foods, che scrive sul suo sito web: «Abbiamo scoperto che è ciò che fa profumare, sfrigolare, sanguinare la carne, e farle avere quel glorioso gusto di carne». Ma è anche una molecola, spiega Ghiselli, «simile a quella della mioglobina del muscolo (ferro eme), sospettata di essere responsabile del rischio cancerogeno che comporta un consumo generoso e troppo frequente di carne rossa».

Dagli Stati Uniti è arrivato il via libera al consumo

«Il condizionale», sottolinea lo specialista, «è, tuttavia, d’obbligo perché ancora non esiste una dimostrazione scientifica certa su che cosa colleghi la carne rossa e processata al cancro. Abbiamo solo una prova indiretta dal fatto che carne avicola e pesce, pur essendo cotti nello stesso modo, non sono collegate ad aumento di cancro e il loro contenuto di ferro eme è scarso. Contenuto che è, invece, superiore nella carne rossa, il cui consumo quotidiano di 100 grammi comincia a dimostrare un aumento di rischio cancro. E ancora maggiore è nella carne processata, che inizia a mostrare associazione con il cancro del colon a 50 grammi al giorno. Ma siamo nel campo del “chi lo sa?”». Tuttavia la Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha ritenuto la quantità di eme dei prodotti Impossible Foods sicura e, dunque, assimilabile da parte dell’uomo a patto che non superi lo 0,8% del peso del prodotto finale.

Carne in vitro: male il gusto e il costo

Poi c’è la carne da laboratorio, ottenuta grazie a colture di cellule staminali prelevate da animali. In questo caso ricerca e sperimentazione sono ancora in corso: «Ci sono molti ostacoli tecnici da superare», ha detto al magazine scientifico Nature Paul Mozdziak, biologo esperto in strutture muscolari della North Carolina State University a Raleigh (Usa), che studia la carne di pollo e tacchino prodotta in laboratorio. Tra questi lo sviluppo di migliori linee cellulari e mezzi nutritivi per alimentare quelle cellule, di impalcature per aiutare a modellare le cellule coltivate nei tessuti e di piattaforme di bioreattori per la produzione di carne su larga scala. Senza contare che anche il gusto dell’alimento resta da ottimizzare. Come costi di produzione si è, comunque, passati dai 250mila euro del 2013 agli attuali 500 dell’hamburger creato in laboratorio dallo scienziato olandese Mark Post (cofondatore di Mosa Meat). E a fine 2018 Aleph Farm ha presentato una bistecca da 50 dollari.

Con la clean meat non mangi né batteri né antibiotici

Tale «clean meat» (carne pulita) ha il vantaggio di essere sicura, poiché non contaminata da batteri e senza residui di antibiotici dati agli animali. Come osservato da Paolo Veronesi, presidente della Fondazione Umberto Veronesi, in futuro potrebbe essere creata più salutare della normale, «magari con meno grassi nocivi o con più vitamine e minerali». Il cammino, tuttavia, per Ghiselli resta ancora lungo. «Ancorché riuscissimo a farla buona, resta il fatto che la bistecca “normale”, a differenza di quella “artificiale”, proviene da un organismo che organizza proteine, sali minerali e mioglobina al servizio di una funzione di contrazione muscolare e, quindi, possiede una serie di nutrienti al suo interno».

I sostenitori della “finta carne”: meno emissioni di gas serra

Pregi (e difetti) nutritivi a parte, il vantaggio generalmente sottolineato dai fautori della fake meat è, oltre ovviamente alla grande incidenza sul benessere degli animali, il minore impatto ambientale del processo di produzione rispetto a quella da tradizionale allevamento. In sintesi: meno emissioni di gas a effetto serra, meno terre agricole convertite a pascolo, meno produzione intensiva di mangime animale, meno dissipazione di acqua all’interno del processo produttivo.

Gli scienziati: laboratori più inquinanti degli allevamenti

In realtà sugli attuali procedimenti per ottenere la clean meat la scienza, qualche dubbio, ce l’ha. A partire dai ricercatori della Oxford Martin School dell’università inglese di Oxford, che in uno studio pubblicato su Frontiers in Sustainable Food Systems hanno analizzato gli effetti sul clima nel lungo periodo della sua produzione, rilevando come in alcuni casi potrebbe risultare più deleteria di quella classica. La creazione in laboratorio, infatti, è associabile quasi interamente alle emissioni di anidride carbonica (Co2), che persiste nell’atmosfera per millenni. Il metano liberato nell’aria dalla digestione animale e dal letame soprattutto degli allevamenti bovini ha, invece, una durata di «appena» una dozzina di anni. Inoltre, un uso su larga scala di sostanze chimiche e ormoni per la coltivazione cellulare potrebbe creare problemi d’inquinamento del suolo.

La fake news dell’acqua che serve per produrre un chilo di manzo

Da sfatare, infine, c’è anche il luogo comune secondo cui occorrono 15.415 litri d’acqua – media mondiale – per produrre alla maniera tradizionale un chilo di manzo a fronte, per esempio, dei 200 necessari per un chilo di pomodori. Queste sono le cifre dell’impronta idrica, l’indicatore del volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre i beni e i servizi. Cifre che, però, sostengono ormai parecchi esperti, in molti casi andrebbero decurtate almeno dell’80%, cioè della percentuale d’acqua piovana impiegata per la coltivazione delle materie prime dedicate all’alimentazione degli animali da macello.

L’Italia è più virtuosa della media

Ma l’Italia, stando ai dati diffusi nel 2016 dalle associazioni di categoria delle tre filiere della carne (Assocarni, Assica, Unaitalia), sarebbe per un 25% ancora più virtuosa della media internazionale, con 11.550 litri di cui, per il discorso precedente, solo il 13% (1.495 litri) viene effettivamente consumato. In pratica, mettere nel piatto due porzioni da 70-100 grammi di carne bovina a settimana, come da consiglio dei nutrizionisti, comporta un consumo effettivo di circa 300 litri d’acqua. Resta, tuttavia, il monito dell’Onu: per salvare la Terra dovremo mangiare meno carne animale.

Marco Ronchetto

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