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Barbara d’Urso: otto mesi di calvario per l’ernia del disco

«Mi allenavo in palestra quando una fitta improvvisa mi ha tranciato la schiena: è iniziato così il mio incubo. Sono rinata grazie a un intervento chirurgico»

«Una mattina, mentre mi allenavo in palestra, una fitta che tranciava la schiena», racconta Barbara d’Urso. «È iniziato così il mio incubo. A casa vagavo tra il divano e il letto, la notte non dormivo. Un male che non auguro nemmeno al mio peggior nemico. Non restava che la sala operatoria».
Ecco la confessione della conduttrice televisiva a OK.

«Arrivare alla soglia dei cinquant’anni senza avere mai sofferto di nulla, mai un’operazione, un mal di pancia o un raffreddorino, e poi d’un tratto, in palestra, non alzarsi più dal male, è una batosta. Ho passato otto mesi che non auguro nemmeno al mio peggior nemico, otto mesi in cui ho combattuto contro un avversario che non avevo mai affrontato prima, l’ernia del disco. E non era il dolore più grande. Quello, covava in fondo all’anima.

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E intanto la separazione da mio marito…
È il settembre del 2006, il gossip che impazza sui giornali e in tv è la notizia della separazione da mio marito, Michele Carfora. Di fronte allo sciabordare di indiscrezioni, falsità e maldicenze, decido di tacere, di sfogarmi solo con gli amici più intimi.

Mi dedico al lavoro, mente e corpo. Non so da dove sia venuta, ma quella fitta che una
mattina mi trancia la schiena non la dimentico. Sono in palestra, per il mio training quotidiano. Per un istante vedo tutto buio, come se avessero spento la luce. Smetto di allenarmi, torno a casa col ghiaccio sulla gamba, dove sento il fastidio più grande.

E lì comincia il calvario. Vago tra il divano e il letto, la notte non dormo, per alzarmi da una sedia impiego dieci minuti, la schiena è come bloccata, mentre una specie di corrente elettrica mi scende dalla zona lombare fino al piede. Dopo qualche settimana mi decido a farmi visitare e a sottopormi a una serie di esami. L’esito è chiaro: un disco risulta schiacciato tra le vertebre L4 e L5 e mi ammazza di falciate nella schiena.

Le strade sono due: operarsi o avere pazienza, molta pazienza, e intanto provare con antidolorifici e simili. Scelgo la seconda.

Fatico come una pazza per stare in piedi alle prove e durante la diretta di Circus, il programma di allora che chiude i battenti in fretta a causa degli ascolti bassi. Un dolore nel dolore. Con i miorilassanti e i cortisonici tengo buono il male per qualche ora, ma niente di più. Sono disperata.

Passo la notte del 31 dicembre 2006 a letto, immobile, leggendo e rileggendo tutta la letteratura scientifica sull’ernia del disco. Voglio a tutti i costi evitare l’operazione, so che può portare recidive e che deve essere eseguita da mani più che esperte, vista la vicinanza con la colonna vertebrale e il rischio, seppure minimo, di lasciarmi paralizzata. La mia speranza è che, come dicono alcuni, l’infiammazione passi e il tessuto che fuoriesce dal disco in qualche modo si asciughi.

Intanto, con il nuovo anno, il mio programma 1,2,3… stalla va bene. Provo con l’omeopatia, nonostante sia consapevole che la medicina tradizionale bocci questo tipo di rimedi: trenta microiniezioni al giorno nella colonna vertebrale. Io, che ho sempre odiato le punture, arrivo a farmele da sola, sulla pancia.

Il ricordino? Una cicatrice nella zona lombare
Così, stringendo i denti, vado avanti come un treno. Finché… La sera dopo l’ultima diretta della trasmissione, a fine marzo, finisco in camerino stravolta. Mi provo la febbre: 39. La schiena è un fuoco, mi sembra di non muovere più le gambe, quasi mi gira la testa.

Lascio andare la troupe a festeggiare e mi trascino a casa. “Professore, mi operi”, è la telefonata che faccio il mattino dopo alle 8, appena sveglia, a un neurochirurgo romano che mi ha visitata qualche mese prima. Sono giunta alla soglia di non tolleranza, non voglio sentire repliche.

Entro in sala operatoria dopo qualche giorno, mi aprono, mi ricuciono, mi mandano a casa. I primi giorni di degenza, passata la paura folle dell’intervento (di cui non ricordo nulla, ho rimosso), continuo a massaggiarmi la cicatrice alla base della schiena perché sono terrorizzata all’idea che possa rimanere un segno troppo grande. Un segno ce l’ho ancora, ma ridotto.

Ricomincio presto con la riabilitazione e lo stretching, la zona lombare ha perso elasticità. Piano piano riacquisto la mobilità della schiena e delle gambe. Torno a essere padrona del mio fisico, torno a essere la Barbara che tutti conoscono, quella che si sente dire, dagli amici, una volta a settimana: “Fermati un attimo, ma come fai a reggere una vita così?”. Già, non solo gli amici, ma anche il corpo va ascoltato. Non parla mai a vanvera e, quando deve dire qualcosa, sa anche urlare. A noi la capacità di comprenderlo».

Barbara d’Urso (testo raccolto da Francesca Gambarini nel settembre 2008 per OK La salute prima di tutto)

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