Salute

Vaiolo delle scimmie: l’infettivologa risponde a tutte le domande

Un nuovo focolaio in provincia di Firenze. La specialista Antonella Castagna, membro del coordinamento della task force di Regione Lombardia sul vaiolo delle scimmie, spiega tutto quello che c'è da sapere

I casi di vaiolo delle scimmie sembravano un ricordo, dopo l’approvazione del vaccino. Nelle ultime ore se ne sta tornando a parlare grazie alla segnalazione di un medico della zona del Mugello, in provincia di Firenze. Si tratterebbe di un gruppo di persone che ha partecipato alla stessa serata in una discoteca.

Facciamo dunque un po’ di chiarezza insieme ad Antonella Castagna, primario di malattie infettive all’IRCCS Ospedale San Raffaele, ordinario di malattie infettive all’Università Vita-Salute San Raffaele e membro del coordinamento della task force di Regione Lombardia sul vaiolo delle scimmie.

Gruppo San Donato

Professoressa Castagna, che genere di malattia è il vaiolo delle scimmie?

«È una malattia infettiva causata dal Monkeypox virus (MPXV). È un virus di origine animale che è stato osservato per la prima volta nelle scimmie di un laboratorio danese nel 1958. Gli esperti hanno diagnosticato il primo caso nell’uomo in Congo nel 1970. Si tratta per la precisione di un Orthopoxvirus, un virus che non muta molto velocemente, ma si mantiene piuttosto stabile nel tempo. Se ne conoscono due ceppi:

  1. uno associato a una maggiore severità clinica, identificato nei focolai del bacino del Congo,
  2. uno meno severo, diffuso in Africa occidentale.

Per nostra fortuna quello che sta circolando in Europa e Stati Uniti è il ceppo meno aggressivo, che provoca una malattia benigna, tendenzialmente autolimitante, con un basso tasso di complicanze e una letalità inferiore all’1%».

Quali sono i sintomi del vaiolo delle scimmie?

«I più comuni sono:

  • febbre,
  • sonnolenza,
  • ingrossamento dei linfonodi,
  • dolori muscolari,
  • mal di testa.

L’elemento più caratteristico sono le eruzioni cutanee, piccole lesioni eritematose che diventano vescicole simili a quelle della varicella. Interessano soprattutto le aree genitali e peri-anali, ma possono comparire anche nella cavità orofaringea, su tronco, braccia, gambe, viso, palmi delle mani e piante dei piedi.

Talvolta le lesioni sono così piccole e poco numerose da passare inosservate, più raramente possono ricoprire tutto il corpo. In rari casi i sintomi sono talmente importanti da richiedere il ricovero in ospedale. Le complicanze più gravi includono encefaliti, miocarditi e polmoniti. Sono osservazioni cliniche dedotte dai focolai epidemici riportati nel passato, fortunatamente, pur con l’impennata dei casi a cui abbiamo assistito, i decessi sono stati a oggi rarissimi».

Come si trasmette il virus?

«Le modalità di trasmissione sono ancora da definire esattamente. Sembra che la principale via di contagio sia quella per contatto diretto con le vescicole, che al loro interno contengono un fluido virulento. Diversi studi hanno evidenziato la presenza di particelle virali anche nella saliva, nello sperma e nelle secrezioni genitali, ma resta ancora da capire se siano dei reali veicoli di infezione».

Quanto dura l’incubazione? E per quanto tempo si è contagiosi?

«L’incubazione dura in media 10-12 giorni, ma in alcuni casi può arrivare fino a tre settimane. Il periodo infettivo dev’essere considerato a partire dalla comparsa dei primi sintomi fino alla caduta delle croste di tutte le lesioni, proprio come nel caso della varicella. In genere questo accade nel giro di due o tre settimane».

È possibile proteggersi dall’infezione nei rapporti sessuali?

«Il preservativo è sempre raccomandato ma purtroppo non basta, perché il virus non si diffonde solo attraverso il rapporto sessuale ma verosimilmente attraverso qualsiasi forma di contatto stretto intimo, ad esempio anche baci e abbracci che portino a entrare in contatto con le vescicole presenti nella bocca o sul resto del corpo. Per questo motivo si consiglia di evitare rapporti con partner multipli e occasionali».

È vero che il vaiolo delle scimmie interessa soprattutto gli uomini che fanno sesso con altri uomini?

«Finora questi soggetti rappresentano la maggior parte dei casi, ma non tutti: per questo motivo è scorretto parlare di categorie a rischio o pensare che il problema interessi solo gli omosessuali. In realtà ciò che predispone all’infezione sono i comportamenti, soprattutto l’avere contatti stretti e intimi con partner multipli: questo vale per gli uomini come per le donne».

Esiste un vaccino contro il vaiolo delle scimmie? E chi deve farlo?

«Abbiamo a disposizione il vaccino Imvanex/Jynneos, che contiene una forma attenuata di un virus parente del Monkeypox virus, ma che non è in grado di replicarsi nelle cellule umane né di provocare la malattia. Viene somministrato in due dosi a distanza di almeno otto settimane. È indicato per il personale di laboratorio che rischia di entrare in contatto col virus e soprattutto per persone gay, transgender, bisessuali e uomini che hanno comportamenti a rischio, come appunto la frequentazione di più partner o la presenza di recenti infezioni a trasmissione sessuale come sifilide, clamidia o gonorrea».

Cosa bisogna fare se si entra in stretto contatto con una persona che ha il vaiolo delle scimmie?

«Al momento le linee guida non impongono la quarantena. Ovviamente il consiglio è quello di avere comportamenti responsabili, praticare una buona igiene e restare vigili, per segnalare tempestivamente al medico l’eventuale insorgenza di sintomi».

Esiste un test per diagnosticare la malattia?

«In genere si esegue un tampone molecolare prelevando l’essudato delle lesioni presenti sulla cute, in bocca, a livello anale: come per Covid-19, anche in questo caso l’esito arriva nel giro di 24-48 ore e comporta una notifica alle autorità sanitarie. Da quel momento ci si mette in isolamento fino a quando non si ha la completa guarigione di tutte le lesioni. Le indicazioni attuali non prevedono di ripetere il tampone una volta che si è avuta la guarigione di tutte le lesioni».

Quali terapie vengono prescritte dal medico?

«Nella maggior parte dei casi sono sufficienti gli antinfiammatori quali la tachipirina per controllare la febbre e il dolore. Le lesioni evolvono e guariscono spontaneamente, non è necessario l’utilizzo di prodotti topici. L’importante è mantenere la cute pulita ed evitare di condividere asciugamani e altri oggetti con le persone conviventi, in modo da ridurre il rischio di contagio. In presenza di forme più severe di vaiolo delle scimmie (quando sono presenti molte vescicole che interessano anche le mucose o che colpiscono punti delicati come la congiuntiva) è indicato un antivirale specifico, tecovirimat: è un farmaco orale che si ritira in ospedale e si assume a casa per 14 giorni. Se non è disponibile si può ricorrere anche a un altro antivirale, cidofovir, che richiede una singola somministrazione endovenosa in ospedale, eventualmente ripetibile nelle settimane successive».

È vero che si può trasmettere il virus agli animali domestici?

«Al momento è stato documentato solo un caso di trasmissione del virus da due uomini infetti al loro cane. Sappiamo però che diversi animali rappresentano un serbatoio naturale del virus: non solo le scimmie, ma anche i roditori. Per ora comunque non c’è alcun elemento di particolare preoccupazione e l’unica raccomandazione ai pazienti positivi in isolamento è quella di mantenersi a distanza non solo dalle persone, ma anche dai propri animali domestici in via precauzionale».

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