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Sclerodermia: scoperta molecola che scatena l’infiammazione

Passo avanti nella comprensione della sclerodermia, una malattia autoimmune invalidante, difficile da diagnosticare e che al momento non ha ancora una cura efficace

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Science Translational Medicine ha svelato il ruolo chiave di una molecola, chiamata HMGB1, nel coordinare l’aggressione ai tessuti del corpo da parte del sistema immunitario. Ciò è quello che avviene nel caso della sclerodermia (o sclerosi sistemica). A condurre la ricerca sono stati i ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, guidati da Angelo Manfredi, a capo dell’unità di Autoimmunità e infiammazione vascolare. Lo studio è stato possibile grazie al sostegno dell’Associazione Italiana Lotta alla Sclerodermia (AILS).

Come agisce la molecola HMGB1

Questa molecole viene rilasciata nel sangue dalle piastrine. Qui modifica il metabolismo e la funzione di alcune cellule del sistema immunitario, portando al danno cronico dei piccoli vasi e alla fibrosi. Questo meccanismo potrebbe diventare il primo target terapeutico per combattere la sclerodermia.

Gruppo San Donato

La nuova ricerca sulla sclerodermia

Il lavoro dell’IRCCS San Raffaele potrebbe cambiare le cose. Gli scienziati hanno scoperto che nei pazienti con sclerodermia, il sangue è ricco di micro-particelle che esprimono sulla superficie la proteina HMGB1. Queste micro-particelle vengono espulse e messe in circolo dalle piastrine, che infatti risultano contenere al loro interno meno HMGB1 rispetto alle persone sane.

I risultati

«Abbiamo dimostrato come sia sufficiente la presenza delle micro-particelle che esprimono questa proteina per attivare il sistema immunitario in modo patologico, in particolare i neutrofili» spiega Norma Maugeri, prima firma del lavoro. I neutrofili iniziano a rilasciare al loro esterno il contenuto del nucleo – DNA compreso – con effetti infiammatori sui tessuti circostanti, che ne risultano danneggiati. Non solo, ma i neutrofili attivati da HMGB1 diventano anche ‘immortali’, nel senso che rifiutano i segnali di soppressione che normalmente si attivano a fronte di comportamenti anomali.

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