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Oppioidi: in Italia c’è un’emergenza?

Negli Stati Uniti sono diventati la prima causa di morte per overdose. Nel nostro Paese si sta studiando il fenomeno della dipendenza e ci si mobilita per fronteggiare gli abusi

Un’emergenza sanitaria

Un'emergenza sanitaria

Gli indiani Cherokee hanno disseppellito l’ascia di guerra. Vogliono lo scalpo dei visi pallidi che comandano i colossi farmaceutici, giudicati responsabili della strage silenziosa che sta decimando le loro tribù con proiettili confezionati in blister: i farmaci oppioidi. Solitamente prescritti per alleviare il dolore, stanno dilagando nelle riserve indiane come in tutti gli Stati Uniti, tanto da scatenare la più grave crisi sanitaria dalla diffusione dell’Aids negli anni 80: crescono in modo esponenziale i casi di abuso e dipendenza, con ben 115 decessi al giorno per overdose. Una situazione esplosiva, che lo stesso presidente Trump ha definito un’emergenza sanitaria pubblica, arrivando a istituire una commissione di esperti per fronteggiarla. Ma come si è arrivati a questo punto?

250 milioni di prescrizioni all’anno

250 milioni di prescrizioni all'anno 

«Fino agli anni 90 il trattamento del dolore cronico era basato soprattutto sull’uso dei farmaci antinfiammatori, responsabili però di gravi effetti collaterali, mentre c’era una vera e propria “oppiofobia” alimentata anche dai casi drammatici dei reduci del Vietnam diventati dipendenti dalla morfina», ricorda Oscar Corli, direttore dell’unità di ricerca in terapia del dolore e cure palliative dell’Irccs Mario Negri di Milano. «La situazione è cambiata quando sul mercato sono comparsi i primi oppioidi a rilascio lento, più facili da assumere e pubblicizzati dalle case farmaceutiche come farmaci sicuri. I medici hanno così cominciato a cambiare le loro abitudini prescrittive, tanto che nel 2012 sono stati staccati ben 259 milioni di ricette a base di oppioidi. Il trend è stato poi accentuato dalla peculiare struttura del sistema sanitario americano che, non prevedendo copertura universale, favorisce la prescrizione di medicinali piuttosto che quella delle terapie riabilitative, fisiche e psicologiche, più onerose».

Gruppo San Donato

Utilizzati come ansiolitici

Utilizzati come ansiolitici

Sottovalutazione dei rischi, facilità prescrittiva e massicce operazioni di marketing hanno così innescato una spirale che ha intrappolato milioni di pazienti. I farmaci oppioidi, infatti, non alleviano soltanto il dolore fisico, «ma influiscono anche sulla sfera psicologica, con effetti prevalentemente sedativi», sottolinea Corli. «Alcuni pazienti che vivono in contesti socio-economici difficili e soffrono di ansia e depressione a causa della loro condizione, finiscono spesso per cercare questi farmaci come soluzione al problema». Inizia così una pericolosissima escalation. Si comincia a fare un uso improprio del farmaco prendendolo più spesso, andando oltre la prescrizione del medico, aumentando gradualmente le dosi e continuando ad assumerlo anche dopo l’eventuale stop imposto dal curante. Si scivola così lentamente verso l’abuso e si inizia a cercare l’oppioide non tanto per il sollievo dal dolore, ma per la sensazione di benessere e relax che scatena. Si tratta di una situazione molto rischiosa, soprattutto in certi contesti sociali, familiari e professionali in cui le persone si sentono stressate, insoddisfatte e affaticate: per loro possono infatti aprirsi le porte della dipendenza, che spinge a cercare compulsivamente il farmaco, continuando ad assumerlo anche se insorgono gravi danni alla salute. Col passare del tempo subentra la tolleranza, per cui l’oppioide risulta meno efficace, inducendo così l’aumento progressivo della dose, fino a rischiare l’overdose e la morte.

Consumi in crescita dal 2003 

Consumi in crescita dal 2003 

La drammatica situazione americana ha permesso di accendere i riflettori anche su quello che sta accadendo in Europa e in Italia, dove il consumo di oppioidi ha cominciato a crescere da 15 anni a questa parte. «Prima si usavano quasi esclusivamente nel dolore acuto e nel trattamento del dolore nei malati terminali di cancro: poi, dagli inizi degli anni Duemila, sono salite le prescrizioni di oppioidi, in particolare di fentanil, idromorfone e ossicodone, mentre è calato lievemente il ricorso alla morfina», precisa l’esperto dell’Istituto Mario Negri. «in quanto si è cominciato a somministrarli anche in caso di dolore cronico non dovuto al cancro, per periodi di cura molto più lunghi, aumentando la probabilità d’insorgenza dei meccanismi negativi descritti prima. Questo cambiamento di rotta può aver modificato il rischio di uso improprio degli oppioidi. È impensabile che il problema da noi non esista, ma i dati sulle potenziali morti da overdose nel nostro Paese sono incerti. Per questo motivo, al Mario Negri stiamo raccogliendo i dati che ci permettano di fare un quadro sull’uso e l’abuso di queste sostanze in Italia».

I farmaci oppioidi sono come coltelli affilatissimi: utili e sicuri se usati correttamente, ma potenzialmente letali se usati in modo improprio. Ed è al medico che spetta il compito di decidere a chi dare in mano queste armi e di monitorarne gli effetti. «La prescrizione va fatta con grande attenzione», ammonisce lo psichiatra Riccardo Gatti, direttore del dipartimento per le dipendenze dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano. «Il medico deve valutare attentamente il profilo del paziente, considerando se ha avuto una storia di dipendenza da fumo, alcol o sostanze illecite, se ha sofferto di ansia, depressione, disturbi mentali e se vive con familiari che hanno avuto simili problemi. Non sono rari i casi in cui le pillole del nonno spariscono, sottratte da un figlio o un nipote che le usa per il loro effetto psicoattivo caratterizzato da una piacevole sensazione di anestesia e una parziale euforia, soprattutto nelle fasi iniziali. Questo è un problema che non riguarda solo persone deviate o emarginate, ma anche individui “normalissimi”, che magari iniziano a provare gli oppioidi in maniera casuale proprio perché li trovano in casa, e poi continuano a cercarli ricorrendo anche a mezzi illeciti».

Il boom del mercato nero

Il boom del mercato nero Il mercato nero degli oppioidi in Italia è ancora in gran parte sconosciuto. «È difficile quantificare il fenomeno, ma circolano ricette false, quindi c’è sicuramente un sottobosco diffuso», spiega Gatti. «Nelle pagine di cronaca della città di Milano iniziano perfino a comparire i primi casi di “spacciatori” fuori dalle scuole. Del resto, stiamo parlando di pillole facili da prendere e buttar giù, che contengono sostanze talvolta più potenti dell’eroina, come nel caso dei derivati del fentanil. Il disastro, poi, si completa quando queste sostanze vengono tagliate con cocaina o eroina».

Nonostante il clamore mediatico che si è scatenato in questi ultimi mesi, i farmaci oppioidi rappresentano solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più ampio, quello dei farmaci usati come sostanze da abuso. «Il confine tra legalità e illegalità sta diventando sempre più labile e anche la criminalità, che un tempo puntava sulle droghe, oggi guarda con crescente interesse ai farmaci», rileva Gatti. Molti acquisti illegali passano per il web: basti pensare che tra il 2014 e il 2017 i Nas hanno chiuso più di 500 siti non autorizzati, sequestrando oltre 2,5 milioni di confezioni di medicinali illegali. Un giro d’affari enorme che, solo nel nostro Paese, si aggirerebbe intorno ai 21 milioni di dollari all’anno.

I nuovi cocktail di sostanze

I nuovi cocktail di sostanze

Chi si tuffa nella Rete non cerca solo pillole dell’amore e ormoni per pompare i muscoli, ma anche farmaci comuni che possono dare dipendenza, «come ansiolitici, antidepressivi, alcuni ormoni e farmaci contro le sindromi neurologiche», afferma Gatti. Poi, a dettare i trend ci sono le nuove mode dei giovanissimi, che sempre più spesso giocano al «piccolo chimico» mescolando ogni genere di sostanza, magari davanti a un tutorial su YouTube. «Un tempo si diceva che l’aspirina mescolata alla Coca Cola potesse avere chissà quali effetti, ma era solo una leggenda metropolitana. Oggi, invece, i ragazzi fanno sperimentazioni di ogni tipo, mescolando farmaci, alcol e altre sostanze in base a quello che leggono sul web e sui social, con gravissimi pericoli», sottolinea lo psichiatra. «Nell’immediato si rischia l’avvelenamento, con gravi ripercussioni su organi vitali come fegato, cuore, reni e cervello. Oltre al rianimatore, però, spesso deve intervenire anche lo psichiatra, per aiutare il giovane a ritrovare un equilibrio mentale: un percorso non facile, che richiede cure impegnative per tempi lunghi. Il fatto è che questi episodi di intossicazione rappresentano delle botte violentissime per il fisico e la psiche ancora in formazione dei giovani».

Non rischiano solo i giovani

Non rischiano solo i giovani

Credere che l’abuso dei farmaci sia solo una cosa da ragazzini, però, è sbagliato. «Interessa anche gli adulti, sempre alla ricerca della “pozione magica” che li aiuti a sentirsi più potenti, efficienti, prestanti», evidenzia Gatti. «È arrivato il momento di alzare la guardia e riorganizzare il Sistema sanitario nazionale per affrontare questo fenomeno, coinvolgendo non solo gli esperti di tossicodipendenze, ma anche i medici di famiglia e quelli ospedalieri. Si potrebbe cominciare ad esempio attrezzando le strutture di pronto soccorso con nuovi test, che permettano di riconoscere diversi tipi di sostanze tossiche potenzialmente presenti nei pazienti, e non solo in quelli che manifestano i segni dell’intossicazione da overdose: oggi sono pochissime le sostanze che i laboratori sanno individuare, mentre il mondo là fuori è diventato estremamente più complesso».

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