Salute

Lipedema: sembra cellulite ma è molto peggio

Accumuli di grasso localizzati su addome, fianchi, glutei e gambe, accompagnati da dolore che si accentua nelle ore serali: sono i segnali di una malattia genetica che, nei casi gravi, richiede un intervento chirurgico

È doloroso, cronico, progressivo e invalidante, ma anche poco conosciuto, tanto che spesso viene confuso con altre patologie o addirittura con la cellulite. È il lipedema, noto in medicina anche come lipoipertrofia simmetrica dolorosa delle estremità, lipalgia, sindrome di Allen e Hines, o lipodistrofia ipertrofica dolorosa. Si tratta di una malattia genetica a carattere ereditario che si manifesta con un accumulo di grasso nella parte inferiore del corpo – addome, fianchi, glutei e gambe – che non si riduce né con le diete, né con l’attività fisica.

Non essendo molto conosciuto, anche dagli specialisti, il lipedema è spesso diagnosticato tardi o curato male, con il risultato che le terapie sbagliate o tardive finiscono per peggiorare le condizioni del paziente, invece di migliorarle. Del resto, fino a pochi anni fa il lipedema non era neanche considerato una patologia dell’Organizzazione mondiale della sanità, ma solo una condizione, e soltanto nel 2018 è stato incluso nell’undicesima edizione dell’International classification of deseases (Icd), la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall’OMS.

Gruppo San Donato

Quali sono le cause?

Ora però le informazioni cominciano a girare: giugno è il mese della consapevolezza del lipedema, proclamato dalla Lio, Lipedema Italia Onlus, che da anni si impegna a sostenere pazienti affetti da questa malattia e a fare informazione tra i professionisti. Ma anche gli specialisti e i ricercatori si battono per una maggiore conoscenza e una maggiore consapevolezza del problema, soprattutto tra i medici. «È importante che se ne parli e che aumentino le conoscenze su questa patologia per garantire ai malati le giuste cure», spiega Sandro Michelini, angiologo dell’ospedale San Giuseppe di Marino Asl Roma 6 e presidente dell’Italf, Italian Lymphoedema Framework, l’estensione nazionale dell’International Lymphoedema Framework, una delle più importanti e accreditate società scientifiche internazionali nel settore delle patologie linfatiche.

«Troppo spesso la malattia non viene riconosciuta e viene trattata come un linfedema anche se non lo è. Molti colleghi, addirittura, ancora oggi affermano che il lipedema dipenda da un difetto del sistema linfatico, e lo curano come tale, indicando interventi di chirurgia linfatica derivativa o ricostruttiva, peggiorando inevitabilmente il quadro clinico. Oggi invece abbiamo dimostrato che si tratta di una malattia genetica, sviluppata a causa del mutamento di un enzima, che si trasmette per via maschile e colpisce soprattutto le donne». È stato proprio il team di Michelini a individuare per primo il gene responsabile della malattia: Aldo-Keto Reductase 1C1, un enzima mutato che rallenta il metabolismo del progesterone, un ormone femminile che interviene sul tessuto adiposo, e quindi ne riduce gli effetti. A trasmetterlo è spesso anche l’uomo, portatore sano. «Se nell’albero familiare della madre della paziente non compaiono casi simili, vuol dire che la donna affetta dal problema ha ricevuto la trasmissione genetica dal padre, nella cui famiglia altre donne presentavano lo stesso quadro clinico», specifica l’angiologo.

Quali sono i sintomi del lipedema?

La malattia di solito comincia a manifestarsi durante la pubertà, quando su gambe, fianchi, glutei e addome si sviluppa a livello sottocutaneo del tessuto adiposo. È il primo stadio, quello in cui, all’occhio non esperto, il lipedema appare come banale cellulite. «In questa fase vengono colpiti lievemente glutei e arti inferiori (tranne il piede), ed è per quello che il lipedema viene confuso con la cellulite», spiega Michelini. Ma come fare per capire che bisogna rivolgersi al medico e non andare semplicemente a comprare una crema in farmacia? «La cellulite non è mai così bilaterale e perfettamente simmetrica come gli accumuli di grasso del lipedema», puntualizza lo specialista. Oltretutto questa malattia, fin dal primo stadio, è caratterizzata da dolore: lieve al mattino, che aumenta nel corso della giornata e diventa importante nelle ore serali. In una scala da 0 a 10, parte da 1-2 al risveglio e arriva a 10 prima di coricarsi».

Al lipedema si associano anche altre patologie

A mano a mano che la malattia progredisce il dolore aumenta, anche perché al lipedema si accompagnano anche altre patologie. «Insulinoresistenza, carenze di vitamina D (che viene spesso “sequestrata” dalle cellule adipose e che va integrata), disturbi del metabolismo tiroideo (con frequente coesistenza di una tiroidite autoimmunitaria di Hashimoto), endometriosi, policistosi ovariche, altre problematiche legate alla sfera sessuale femminile», elenca Michelini. «Non sono infrequenti neanche problemi alle articolazioni, ai muscoli e ai tendini, per via di un peso eccessivo non supportato. E poi la depressione, che deriva da un inestetismo che non dipende da cattive abitudini alimentari o stili di vita errati della persona, ma che abbatte l’autostima e contro il quale le pazienti si sentono impotenti. Insomma, sono tanti gli aspetti legati a questa malattia, che può diventare invalidante se non viene curata adeguatamente».

Quali sono le terapie disponibili?

Essendo genetica, la malattia non si può prevenire, c’è però modo di rallentarne lo sviluppo: ferme restando una costante attività fisica e un’alimentazione equilibrata, utili a non peggiorare la situazione, si trae giovamento dalle terapie compressive, con l’uso di indumenti elastici contenitivi nei primi stadi, e da trattamenti fisici che incidono sulle cellule adipose come la radiofrequenza, le onde d’urto o cicli ripetuti di linfodrenaggio. «Per gli stadi più avanzati della malattia esistono terapie farmacologiche che aiutano nella componente dolorosa, però al momento la soluzione è solo chirurgica», spiega l’angiologo. «Si interviene con la liposuzione, che non va confusa con quella classica fatta dal chirurgo estetico: si tratta di due nuove tecniche, la Water assisted liposuction e la Power assisted liposuction, in grado di rimuovere più quantità di tessuto in un’unica seduta e tutte le cellule nelle varie concatenazioni del tessuto stesso, garantendo stabilità di risultato nel tempo».

Attualmente sono allo studio anche terapie farmacologiche meno invasive e meno pesanti a livello economico per i pazienti e le loro famiglie. Perché, ricorda Michelini, «il lipedema non è una malattia riconosciuta nei livelli essenziali di assistenza e non viene curata negli ospedali pubblici. Le attuali terapie sono molto costose e a totale carico del malato, che spesso non se lo può permettere. Ma noi ci stiamo battendo perché le cose cambino: non è giusto che un malattia genetica non rientri tra quelle assistite dal sistema sanitario nazionale».

Allo studio i vantaggi della dieta chetogenica

Benché le diete ipocaloriche non abbiano effetto sul tessuto adiposo che si forma quando si è affetti da lipedema, la malattia può essere trattata anche tramite un approccio nutrizionale. Recenti studi hanno analizzato gli effetti della dieta chetogenica su individui con lipedema. Le ricerche effettuate nel 2016 dalle statunitensi Leslyn Keith e Catherine Seo, per esempio, hanno dato risultati incoraggianti circa gli effetti della dieta chetogenica sulla riduzione del peso e del dolore nei malati. E intanto, si legge sul sito della onlus Lio si attende la pubblicazione dei risultati di un ulteriore studio effettuato nel 2019 in Norvegia.

La dieta chetogenica consiste, in estrema sintesi, in una riduzione drastica dei carboidrati per favorire la comparsa di una condizione metabolica particolare detta chetosi e la produzione di energia dai grassi. I primi studi risalgono agli anni 20 del ‘900 e oggi esistono diverse tipologie di diete chetogeniche, ma non tutte adatte a pazienti affetti da lipedema. Per esempio, stando a quanto scrive il biologo nutrizionista Piero Labate sul sito della Lio, «pur in scarsità di dati sperimentali, le diete chetogeniche fortemente ipocaloriche sembrerebbero avere un effetto rebound sul grasso lipedematoso. Una dieta chetogenica ben calibrata, oltre a risultare più sostenibile sul lungo periodo, potrebbe quindi ridurre la possibilità di un aggravamento del lipedema». È necessario perciò rivolgersi sempre a specialisti ed evitare il fai-da-te.

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