Cervello

Cannabis terapeutica: farmaco o allucinogeno?

L’utilizzo in medicina dei principi attivi della pianta asiatica continua a dividere non solo l’opinione pubblica e la politica in Italia, ma anche i vari Paesi del mondo. Con l’aiuto di esperti a livello internazionale abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza

Tra le tante vite che il Covid-19 ha portato via c’è anche quella di una ragazzina statunitense di appena 13 anni, Charlotte Figi: l’icona della rivoluzione della cannabis terapeutica. Soffriva di una rara forma di epilessia resistente ai farmaci, la sindrome di Dravet, tanto che, nel 2009, i genitori decisero di provare un trattamento a base di un olio di cannabis. Il successo nel far drasticamente diminuire le oltre cento crisi epilettiche che colpivano la piccola ogni settimana fu tale da portare all’introduzione del primo farmaco autorizzato a base di cannabis e da essere raccontato, quattro anni dopo, in un documentario trasmesso dalla Cnn, la più importante emittente mondiale.

Cannabis terapeutica
Charlotte Figi, morta a causa del Covid-19 lo scorso aprile a 13 anni, ha combattuto contro la sindrome di Dravet con un olio di cannabis. Al suo caso si deve l’introduzione del primo farmaco autorizzato a base di questa pianta asiatica (Credits: Brennan Linsley/Associated Press)

Molte nazioni continuano a considerare la cannabis solo un allucinogeno

La vicenda di Charlotte ha dato vita a un movimento planetario per l’uso della cannabis medica, culminato con la richiesta dell’Organizzazione mondiale della sanità all’Onu di riclassificarla nelle convenzioni internazionali sulle droghe, rimuovendola dalle sostanze più pericolose con nessuno o scarso valore terapeutico per inserire determinate sue preparazioni farmaceutiche tra quelle con valore terapeutico e con basso rischio di abuso. Ma il voto della Commission on Narcotic Drugs è stato rinviato, a fine anno o forse anche al 2021. Questo perché molte nazioni – Russia, Cina, Giappone e diversi Stati africani su tutti – continuano a considerare la cannabis solo ed esclusivamente un allucinogeno, opinione condivisa da parte dell’opinione pubblica anche dei Paesi occidentali, Italia inclusa.

Gruppo San Donato

«Si confonde il problema della legalizzazione e della depenalizzazione della cannabis “ricreativa” con quello della cannabis terapeutica, utilizzabile già adesso senza alcun bisogno di rendere lecita la droga», sottolinea Flavia Valtorta, preside della facoltà di medicina e chirurgia e ordinario di farmacologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e capo dell’unità di neuropsicofarmacologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. «È come nel caso della morfina, principio attivo dell’oppio, adoperata in regimi terapeutici ben definiti in versione purificata: al paziente non si fa certo fumare l’oppio per ridurre il dolore». Cerchiamo, allora, di rispondere ai principali dubbi sulla questione.

Qual è la differenza tra cannabis, marijuana e hashish?

La cannabis è una pianta originaria dell’Asia centrale appartenente alla famiglia delle Cannabacee nelle varietà Sativa (canapa) e Indica (canapa indiana). Dalla Sativa si estraggono i principi attivi: finora sono stati identificati oltre 700 composti, tra i quali un centinaio di fitocannabinoidi o cannabinoidi naturali. Di questi i due più studiati, e quindi conosciuti, sono il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), il principio responsabile degli effetti psicoattivi e dagli effetti euforizzanti, e il cannabidiolo (CBD), rilassante e in grado di moderare l’attività del THC. La marijuana e l’hashish sono due preparazioni derivate dalla pianta della cannabis.

«La marijuana è costituita dalle infiorescenze essiccate, mentre l’hashish è la resina ottenuta dai tricomi, microscopici filamenti cristallini prodotti dalle secrezioni epidermiche dei fiori», spiega Daniela Parolaro, già ordinario di farmacologia cellulare e molecolare all’Università dell’Insubria di Varese, direttore scientifico della Fondazione Zardi-Gori per lo studio delle dipendenze e membro della Società italiana di farmacologia (Sif). Più alto è il contenuto di THC e maggiori sono le proprietà psicotrope, cioè la capacità di agire sulle funzioni psichiche, che, invece, va a ridurre una buona percentuale di CBD. «Attualmente gli spinelli hanno contenuti di THC oscillanti sul 10% con punte attorno al 15%, percentuale che una volta si attestava al 5%. Molte piante sono state selezionate per avere alto contenuto di THC e, perciò, gli effetti psicotropi che ne derivano sono influenzati dal tipo di prodotto che si consuma, in particolare dal rapporto THC/CBD».

Cannabis “ricreativa” e cannabis terapeutica

La cannabis «ricreativa» è da tempo la droga d’abuso più usata nell’Unione Europea: la Relazione europea sulla droga 2019 dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze stima che sia stata provata nel corso della propria vita da 91,2 milioni di adulti tra i 15 e i 64 anni (27,4%). Di questi, si ipotizza che circa 17,5 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni (14,4%) l’abbiano usata nel corso dell’ultimo anno.

La cannabis terapeutica, invece, comprende varie preparazioni a base di cannabinoidi con specifiche indicazioni di utilizzo ma dalle diverse caratteristiche. «Da un lato», distingue Daniela Parolaro, «ci sono i prodotti medicinali dotati di regolare autorizzazione e che, quindi, hanno seguito un percorso standard – fase preclinica, fase clinica e forme farmaceutiche corrette – per potere essere considerati farmaci, quali gli analoghi sintetici del THC, come il Cesamet e il Dronabinolo; il Sativex, contenente THC e CBD derivati dalla pianta in rapporto uno a uno; l’Epidiolex a base di puro CBD derivato dalla pianta. Tutti questi prodotti permettono una somministrazione controllata e regolare che facilita la valutazione degli effetti terapeutici.

Dall’altro abbiamo un gruppo, di cui fa parte anche la Cannabis FM-2 dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (THC tra il 5 e l’8% e CBD tra il 7,5 e il 12%), che comprende gli estratti grezzi, i preparati magistrali e le preparazioni standardizzate. Il contenuto di THC e CBD varia molto da preparato a preparato e, a volte, anche all’interno di preparati con la stessa provenienza e pure le vie di somministrazione sono diverse: per questo la valutazione degli effetti non è facile».

Come si assume la cannabis terapeutica?

Ogni prodotto ha la sua via di somministrazione. Esemplifica Daniela Parolaro: «Dronabinolo e Cesamet sono forniti come capsule per via orale, il Sativex come spray oromucosale e l’Epidiolex come soluzione liquida. I preparati magistrali e quelli standardizzati si assumono per via orale sotto forma di tisane o per vaporizzazione, mai come fumo».

Come agiscono sul nostro organismo il THC e il CBD?

Il THC e il CBD stimolano il sistema endocannabinoide, un complesso apparato endogeno di comunicazione tra cellule che regola l’omeostasi nel corpo attraverso la produzione di endocannabinoidi, sostanze simili a quelle dei due principi attivi della cannabis e che si legano agli stessi sottotipi di recettori presenti sulla superficie delle cellule umane. «È molto importante nel sistema nervoso centrale», precisa Flavia Valtorta, «perché, modulando funzioni rilevanti come l’appetito, l’umore o il ritmo sonno-veglia, permette di reagire a situazioni di stress. Normalmente non è molto attivo: se, per esempio, si trascorre la giornata a leggere a letto in una camera dalla temperatura confortevole e con cibo a disposizione, l’organismo non produce quasi alcun endocannabinoide. Qualora, invece, si conduca una vita più attiva, gli endocannabinoidi aiutano a tollerare le stimolazioni eccessive».

Come tutti i sistemi modulatori, però, anche l’endocannabinoide va facilmente incontro a disregolazioni: «Se si eccede con i cannabinoidi della cannabis, magari fumando spinelli frequentemente, si possono avere effetti opposti, come ansia o depressione. Gli endocannabinoidi sono, infatti, sostanze pensate per essere prodotte al bisogno e hanno una vita molto breve nell’organismo; il sistema non è pensato per essere inondato di cannabinoidi a ogni momento».

Per quali patologie il trattamento con cannabis terapeutica è autorizzato in Italia?

Sono cinque le applicazioni autorizzate, che elenca Daniela Parolaro: «Per la sclerosi multipla (Sativex e preparati di cannabis), per l’epilessia pediatrica (Epidiolex), come stimolante dell’appetito soprattutto nei pazienti di Aids (Dronabinolo), come antiemetico (Cesamet) e contro il dolore cronico (Sativex e preparati di cannabis)». Avverte, comunque, Flavia Valtorta: «Per ora ci sono poche situazioni accertate in cui si ha realmente un beneficio dall’utilizzo della cannabis terapeutica. Molte si stanno studiando, ma a livello di pubblico in generale c’è un’aspettativa eccessiva, anche dovuta a un clamore mediatico mal posto».

Quali sono gli effetti sui pazienti di sclerosi multipla?

«Il Sativex», chiarisce Diego Centonze, ordinario di neurologia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e direttore dell’unità di neurologia presso l’Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed di Pozzilli (Isernia), «ha un’indicazione molto specifica: è utilizzato per pazienti affetti da sclerosi multipla con spasticità di una certa severità, che non hanno beneficiato del trattamento con altri farmaci antispastici e che a un tentativo terapeutico della durata di quattro settimane dimostrino di avere un beneficio dal farmaco. L’effetto del Sativex non si esplica tanto sulla spasticità come segno clinico, cioè sull’aumento del tono muscolare misurato durante l’esame neurologico, ma è approvato per curare i sintomi, ovvero quello che il paziente riferisce come, per esempio, i crampi dolorosi, che non per forza sono rilevati al momento della visita clinica».

Finora il farmaco, prescrivibile in Italia solo con questa specifica indicazione, è stato utilizzato da oltre 10mila pazienti ed è interamente rimborsato dal Sistema sanitario nazionale. «Per la sclerosi multipla ci sono studi ed evidenze che fanno pensare che la cannabis non solo riduca i sintomi, ma possa anche rallentare l’evoluzione della malattia, perché sperimentalmente si è visto che riduce l’infiammazione, componente importante della sclerosi. Ma c’è ancora molta ricerca da fare».

Farmaco alla cannabis efficace contro la spasticità nella sclerosi multipla

E nell’epilessia pediatrica, di cui soffriva anche Charlotte Figi?

Per alcune forme molto gravi, che non rispondono ai farmaci tradizionali, si utilizza l’Epidiolex, un tipo di  preparazione che contiene solo CBD. Tuttavia la specialista del San Raffaele tiene a precisare: «Se ne parla come di un rimedio miracoloso, in realtà non è così. Nei casi più fortunati la frequenza di crisi epilettiche viene ridotta notevolmente, ma ci sono anche piccoli pazienti che non rispondono al trattamento e, comunque, in quasi nessuno scompaiono del tutto. E la patologia, purtroppo, non si arresta».

Stimola l’appetito solo nei pazienti di Aids?

«Oggi i pazienti di Aids si possono curare», risponde ancora Flavia Valtorta, «e, quindi, pochissimi arrivano alle condizioni estreme di profondo deperimento (cachessia) per le quali l’utilizzo del Dronabinolo è autorizzato. Però, questo farmaco sintetico è efficace anche nella cachessia da cancro e viene sperimentato per quanto riguarda l’anoressia nervosa».

E riguardo agli altri utilizzi possibili in futuro?

Si stanno sviluppando composti che potrebbero essere utili contro il dolore e l’infiammazione cronici, perché, precisa la docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, «agendo per vie diverse potrebbero risparmiare in parte gli effetti collaterali dei classici antidolorifici, i Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei). Per quanto riguarda la nausea, invece, esistono composti antiemetici più efficaci della cannabis». Molte altre applicazioni sono in corso di studio e non hanno ancora raccolto dati sufficienti.

«Il CBD da solo, come l’Epidiolex, sembra ridurre i sintomi psicotici, ci sono già state sperimentazioni sull’uomo ma ancora non c’è l’autorizzazione per tale uso del farmaco. Si sta, poi, lavorando sulla possibile efficacia nel contrasto alle malattie neurodegenerative, a partire da Parkinson e Alzheimer, però i risultati positivi ottenuti a livello sperimentale non sono stati dimostrati quando si è passati agli studi sull’uomo. E risultati contrastanti si sono registrati anche nel caso dei tumori, che probabilmente rispondono alla cannabis in maniera differente l’uno dall’altro».

All’elenco Daniela Parolaro aggiunge «ansia, depressione, disordini del sonno e dello spettro autistico, morbo di Crohn e fibromialgia». Non il Covid-19, sebbene Lello Ciampolillo, senatore del gruppo Misto, lo scorso febbraio abbia chiesto al ministro della Salute di provare l’utilizzo dei prodotti derivanti dalla cannabis, come il Bedrocan, contro il coronavirus. La professoressa dell’Università dell’Insubria dubita fortemente che sia efficace: «Le eventuali proprietà antinfiammatorie e immunostimolanti che potrebbero essere utili sono poca cosa in confronto al quadro fortemente compromesso di questi pazienti».

La cannabis terapeutica ha effetti collaterali e può dare dipendenza?

«I pochi studi scientificamente corretti che riguardano l’uso a lungo termine di questi medicinali», spiega Daniela Parolaro, «segnalano solo la comparsa di effetti collaterali quali vertigini, nausea, sonnolenza, confusione, mal di testa, secchezza della bocca e affaticamento. La percentuale di pazienti che abbandona il trattamento varia tra il 10 e il 20%. Per quanto riguarda, invece, la possibilità di dare dipendenza, questo rischio sembra non essere presente quando si utilizzano sia i medicinali autorizzati sia i prodotti grezzi. Tuttavia bisogna ricordare che non abbiamo ancora dati sufficienti per trarre conclusioni definitive».

In quali casi l’uso dei prodotti a base di cannabis è fortemente sconsigliato?

Daniela Parolaro elenca sette categorie di pazienti.

  1. Con disturbi cardio-polmonari severi, in quanto l’uso di cannabis può provocare non solo ipotensione, ma anche ipertensione, sincope e tachicardia.
  2. Pazienti con grave insufficienza epatica, renale e con epatite C cronica, a causa di un aumentato rischio di sviluppare o peggiorare una steatosi epatica.
  3. Pazienti con una storia personale di disordini psichiatrici e/o una familiare di schizofrenia, in quanto la cannabis può provocare crisi psicotiche.
  4. Persone con una storia pregressa di tossicodipendenza e/o abuso di sostanze psicotrope e/o alcol.
  5. Individui con disturbi maniaco depressivi, in terapia con farmaci ipnotico sedativi, antidepressivi o in generale psicoattivi, poiché la cannabis può generare effetti additivi o sinergici.
  6. Adolescenti e giovani adulti, nei quali le alterazioni mentali sono maggiori durante il completamento dello sviluppo cerebrale.
  7. Donne che stanno pianificando una gravidanza oppure sono incinta o in allattamento.

In particolare, precisa l’esperta, proprio l’adolescenza e la gravidanza sono i due periodi di particolare vulnerabilità: «I prodotti a base di cannabis interferiscono con il sistema cannabinoide endogeno che regola i processi di maturazione cerebrale sia nel feto sia nell’adolescente. L’assunzione in adolescenza aumenta il rischio di sviluppare patologie psichiatriche, mentre l’uso in gravidanza può compromettere le capacità di apprendimento e lo sviluppo mentale del bambino».

Chi può prescrivere la cannabis terapeutica?

I medici sia di base sia specialisti. «Nel 2013», ricorda Daniela Parolaro, «un decreto legge ha semplificato le cose, dando, appunto, il via libera anche ai medici di base e 11 regioni (Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto) hanno introdotto leggi specifiche sui medicinali a base di cannabis, accollando i costi al Servizio sanitario regionale per l’uso in alcune patologie».

Dov’è prodotta la cannabis usata a livello terapeutico in Italia?

Soprattutto in Olanda. Nel nostro Paese l’unico centro finora autorizzato alla coltivazione, in seguito a un accordo del 2014 tra le allora ministre della Difesa, Roberta Pinotti, e della Salute, Beatrice Lorenzin, è lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. In questo 2020 potrà produrre, come stabilito dal decreto del ministero della Salute dell’11 novembre 2019, fino a 500 kg d’infiorescenze di cannabis a fronte dei 350 kg consentiti l’anno scorso. Secondo le stime della Coldiretti, però, nel nostro Paese la coltivazione, la trasformazione e il commercio della cannabis a scopo terapeutico potrebbero garantire un reddito di 1,4 miliardi e almeno 10mila posti di lavoro.

Leggi anche…

Mostra di più
Pulsante per tornare all'inizio