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Dieci regole per scegliere il dentista. I low cost sono ok?

Il decalogo per evitare spiacevoli sorprese, nell'epoca dell'esplosione dei dentisti low cost

Aperture sette giorni su sette con orari lunghi e flessibili, sedi facilmente raggiungibili nei centro commerciali, offerta varia, prezzi medi e per alcune prestazioni bassi, possibilità di dilazioni di pagamento e di finanziamenti, ottime capacità di comunicazione e marketing. È il fenomeno delle catene di cliniche dentistiche, ritenute (erroneamente) «low cost». Si differenziano dal modello tradizionale del singolo specialista o dello studio associato per il fatto di operare in forma d’impresa: sono società di capitali, generalmente a responsabilità limitata (srl), facenti capo a imprenditori non dentisti.

Un fenomeno in espansione

Attive in Italia da una dozzina di anni, vantano cifre importanti e in ascesa. Secondo la ricerca Key-Stone «Panorama Mercato Odontoiatrico Italia – Target Emergenti» (marzo 2018), contano oltre 800 strutture a gestione diretta o affiliate (franchising) e 50 brand con quattro o più sedi e un progetto di sviluppo. Dal 2012 l’aumento delle cliniche censite è stato del 300%, quattro volte tanto. In termini percentuali rappresentano il 2% degli studi nazionali e curano l’8% dei pazienti, con un fatturato di circa 800 milioni di euro nel 2017, cioè l’8% del valore totale del comparto. In previsione arriveranno in questo 2019 alle mille strutture e nei prossimi anni a raggiungere una quota massima pari al 20% del mercato.

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Le inchieste in Italia

Un’odontoiatria commerciale che negli ultimi mesi ha richiamato l’attenzione dei mass media in seguito allo scandalo esploso in Spagna per la chiusura del gruppo iDental, con 400mila pazienti rimasti senza cure ma con finanziamenti da pagare e danni derivati da interventi mal realizzati. Così, lo scorso ottobre, la trasmissione di Rai 3 Report è andata a indagare nelle realtà del nostro Paese, evidenziando casi di overtreatment, cioè la pratica di prescrivere cure non necessarie o non urgenti.

Ma già nel dicembre 2016 il programma di Italia 1 Le Iene aveva ricevuto la segnalazione di un ex dipendente di una di queste cliniche, il quale sosteneva come il titolare lo avesse istruito affinché riscontrasse problemi inesistenti ai pazienti. Per verificare, da Mediaset erano partiti tre falsi pazienti alla volta di altrettanti centri, che effettivamente avevano prodotto diagnosi false. Nell’ottobre di due anni prima l’Eurispes, nella ricerca «Fotografiamo la nostra professione», aveva addirittura lanciato l’allarme sul rischio infiltrazione della criminalità organizzata, ’ndrangheta in primis, negli studi odontoiatrici in franchising soprattutto del Nord.

Numerosi anche i servizi dedicati alle catene di cliniche da Striscia la Notizia, il tg satirico di Canale 5, e del resto, di lamentele, sono pieni anche i forum sul web. Assieme a persone che dicono di essersi trovate bene, ve ne sono altre che parlano di denti doloranti per misure sbagliate delle corone innestate, di finanziamenti pagati nonostante terapie interrotte perché nell’eseguirle erano stati rovinati denti buoni, di estrazione dei denti dell’arcata superiore avvenuta in una sola seduta con conseguente emorragia e ricovero in ospedale, d’impianti caduti dopo meno di un anno, di devitalizzazioni consigliate per denti sani, di otturazioni di denti del giudizio…

L’ipertensione o pressione alta

Nell’aprile di tre anni fa, inoltre, era stata pubblicata su Test Salute, la rivista dell’associazione di consumatori Altroconsumo, un’inchiesta che aveva coinvolto 13 centri appartenenti a 11 catene: in otto casi su dieci le visite dentistiche erano state poco accurate ed erano risultate economiche solamente le prestazioni più semplici (prima visita, quasi sempre gratuita, pulizia dentale e cura di una carie). Insomma, altro che low cost…

Il fattore economico è determinante

In effetti lo stesso Michel Cohen, presidente dell’Associazione nazionale centri odontoiatrici (Ancod, l’organizzazione che raggruppa questi gruppi) e ceo di DentalPro, in un’intervista rilasciata alla rivista Il Centro Odontoiatrico ha precisato che «il low cost non caratterizza di per sé i centri odontoiatrici. Prezzi bassi si trovano sia in alcune catene (la minoranza) che in alcuni studi individuali». Tuttavia è indubbio che siano proprio le tariffe, almeno a prima vista, più basse rispetto a quelle dello studio privato ad attirare clienti in un Paese in cui le spese odontoiatriche non sono a carico del Sistema sanitario nazionale. Un’indagine di mercato commissionata nel 2016 da Ancod a Key-Stone, condotta su oltre 1.600 persone, ha evidenziato come i pazienti di tali cliniche dimostrino un’elevata sensibilità al prezzo e ai finanziamenti (il 45% di loro ha dichiarato di averle scelte perché più economiche).

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Chi è sedotto dal «low cost»?

I più attratti dalle condizioni favorevoli sono gli uomini, i single, le fasce di reddito più basse e coloro che si sono rivolti allo studio per un trattamento d’igiene. Tendenza confermata anche dalla ricerca Censis realizzata in collaborazione con l’Associazione nazionale dentisti italiani (Andi) e presentata al Workshop di economia in odontoiatria di Cernobbio (Como) lo scorso maggio: nell’ultimo anno sono stati 3,7 milioni gli italiani che hanno acquistato cure odontoiatriche puntando esclusivamente sul prezzo basso, senza tenere in conto le garanzie di qualità. Del resto ormai la cattiva condizione del cavo orale è divenuta un indicatore di povertà: le persone in stato d’indigenza spendono in servizi odontoiatrici 2,35 euro mensili contro 24,83 euro del resto della popolazione (Rapporto 2018 – Donare per curare: Povertà sanitaria e donazione farmaci, promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus e BFResearch).

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Defiscalizzare le cure

Che la cura odontoiatrica sia «oggettivamente costosa per il paziente» lo ammette anche Carlo Ghirlanda, presidente Andi, ma precisa che lo è «anche per il medico che la esegue». Oltre a dover essere dotati degli strumenti degli altri liberi professionisti, dai computer al materiale di cancelleria, fanno notare dal sindacato che raccoglie oltre 26mila iscritti, gli odontoiatri si trovano ad affrontare costi di base ulteriori, dovuti ai macchinari, alle varie attrezzature e alle procedure di sicurezza per il paziente nel rispetto di tutta una serie di norme legislative. Inoltre gli specialisti del nostro Paese si caratterizzano generalmente per un uso di materiali, dagli impianti ai prodotti di routine, di standard qualitativo medio-alto, quindi dal prezzo più elevato.

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Comunque gli stessi dentisti tradizionali si dicono coscienti del problema economico che affligge molti pazienti: «La nostra proposta al governo è stata quella di consentire una maggiore defiscalizzazione per le cure odontoiatriche, fino ad arrivare al 50% per alcuni specifici percorsi di terapie, attivando contemporaneamente un ulteriore meccanismo di supporto per i cittadini a minore reddito», sottolinea il presidente Andi.

La logica commerciale

Di sicuro le associazioni di categoria sono sul piede di guerra contro l’odontoiatria commerciale, lamentando, per bocca di Ghirlanda, «controlli finora insufficienti da parte delle pubbliche amministrazioni (Regioni, Asl, camere di commercio, Agenzia delle entrate). In termini di legge, infatti, per cliniche si intendono le strutture di ricovero e cura, cioè luoghi nei quali il paziente riceve le terapie adeguate al suo stato di salute. Le cosiddette cliniche dentali low cost sono, invece, luoghi di cura, dove il paziente viene immediatamente dimesso al termine della terapia perché non necessita di degenza. Si tratta, quindi, di semplici studi dentistici, solamente organizzati in forma societaria, artatamente definiti “cliniche” per godere di alcuni trattamenti fiscali e autorizzativi a loro non permessi perché riservati alle vere cliniche».

E come lavorano i dentisti?

Dura anche l’accusa ai criteri di lavoro in tali strutture: «I dentisti che vi operano sono comunque obbligati a eseguire quanto loro indicato dai responsabili commerciali delle cliniche, pena la cessazione dell’incarico di collaborazione, peraltro in molti casi remunerato meno di 10 euro lordi all’ora». Una denuncia sempre respinta da Ancod: «Ancora oggi si pensa che i centri odontoiatrici siano ispirati a sole logiche commerciali o addirittura assurdità quali cure imposte dalla società e non decise dai medici. È proprio il codice etico di Ancod che chiarisce la necessaria autonomia professionale dei professionisti, all’interno di protocolli internazionali riconosciuti», ha detto Cohen nella citata intervista a Il Centro Odontoiatrico.

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Basta pubblicità ingannevole

Resta il fatto che nella Legge di bilancio 2019 è stata recepita la battaglia sulla pubblicità sanitaria portata avanti dall’Andi assieme all’Associazione italiana odontoiatri (Aio) all’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri, alla Commissione albo odontoiatri (Cao) e all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (Enpam). Il Parlamento ha, infatti, approvato lo stop a «qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestionale», mettendo fine alla pubblicità ingannevole: cartelloni e inserzioni che Roberto Calandriello, responsabile del centro studi dell’Andi, definisce «specchietti per allodole, come quelli che, per esempio, promettono prezzi bassissimi o assicurano inesistenti garanzie a vita». Non solo: responsabile se le comunicazioni non saranno conformi alla norma è ora il direttore sanitario della clinica, che, per facilitare i controlli da parte dell’Ordine, deve essere iscritto all’albo del territorio nel quale opera e può assumere tale ruolo in un’unica struttura.

Come orientarsi nella scelta?

A questo punto, considerato che non si tratta di salvaguardare solo il portafogli ma anche e soprattutto la salute, resta da capire come scegliere correttamente l’odontoiatra dal quale farsi mettere le mani in bocca. Ecco allora un decalogo che riguarda sia le catene di cliniche sia gli studi dentistici tradizionali.

1) Verificare che il dentista non sia un abusivo: in Italia ve ne sono ben 15mila (stima dei Nas). Basta digitare nome e cognome dello specialista nella sezione Anagrafica del portale web della Federazione nazionale ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (portale.fnomceo.it). Calandriello sottolinea, però, anche il ruolo della figura del commerciale, presente nelle catene di cliniche. «Oltre ad “annacquare” il rapporto paziente-medico, a volte veste un camice bianco e, secondo il parere di un avvocato penalista raccolto dall’Andi, anche questo configura un reato di abusivismo della professione».

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2) Consultare più dentisti prima d’iniziare le cure, in modo da scegliere quello che verrà ritenuto maggiormente adatto dal punto di vista dell’esperienza e delle capacità professionali, dallo spiegare esaustivamente il problema al coinvolgere il paziente, e non solo dal lato economico. «I giovani dentisti spesso vanno a fare esperienza nelle cliniche commerciali», interviene Calandriello, «ma la loro gavetta non viene monitorata da un medico esperto: salta, così, quel ponte generazionale, proprio degli studi tradizionali, in cui un maestro insegna a un allievo».

3) Non farsi abbagliare dalla strumentazione ipertecnologica. «Può capitare che si enfatizzino laser, Tac, impronta digitale e simili per compensare la mancanza della figura professionale del medico», dice l’esperto Andi. «Molto spesso una tecnologia così avanzata è spinta dall’industria, ma all’atto pratico non ha una grande utilità. Per esempio, l’introduzione del laser in oftalmologia è stata una rivoluzione copernicana, mentre in odontoiatria serve a ben poco».

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4) Non valutare la qualità in base all’arredamento dello studio o della clinica e dall’aspetto accattivante del medico o dell’assistente di poltrona. Sono parametri di tipo emotivo che spesso fanno presa sulle persone (più di quanto si pensi), ma nulla hanno a che vedere con la professionalità dell’odontoiatra o con la serietà dello studio medico.

5) Instaurare il rapporto di fiducia con il singolo dentista e non con la struttura. Quindi è da evitare il turnover di chi ci mette le mani in bocca per uno stesso trattamento e, nel caso dell’odontoiatria commerciale, consiglia Calandriello. «Il paziente deve sempre fare riferimento al direttore sanitario: per legge il nome di quest’ultimo – come nel caso del dentista titolare di uno studio tradizionale – deve essere affisso su targhette o cartelloni all’entrata e all’interno della clinica. Se riscontra irregolarità, può fare sempre riferimento agli sportelli dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri».

6) Diffidare degli interventi realizzati frettolosamente. Accorciare i tempi permette di abbatte i costi e di seguire più pazienti, ma rischia di non rispettare i principi biologici di guarigione, con tutte le conseguenze del caso sulla salute del paziente. «Dopo un’estrazione», fa un esempio l’odontoiatra dell’Andi, «per la guarigione di ossa e gengiva, che deve precedere l’innesto dentale, occorrono come minimo dai tre ai sei mesi».

7) Controllare che vengano rispettate le norme d’igiene. È bene fare attenzione a che gli strumenti utilizzati dal dentista siano imbustati, ma questo, spiega Calandriello, potrebbe anche non bastare. «Per assurdo si può arrivare a mettere in una busta anche ferri utilizzati precedentemente e non disinfettati, ma il paziente ha il diritto di chiedere di visitare la sala di sterilizzazione e d’informarsi sul protocollo di sterilizzazione».

8) Verificare la qualità dei materiali utilizzati dall’odontoiatra. Quando vengono applicati impianti o protesi, sarebbe opportuno chiedere la dichiarazione di conformità, rilasciata per legge dal laboratorio odontotecnico del dentista, con tanto di schede tecniche relative ai materiali utilizzati e d’indicazione della provenienza da Paesi dell’Unione Europea.

9) Il preventivo deve essere chiaro. Ogni voce va specificata, con il numero identificativo del dente interessato e devono comparire sia il nome dello specialista che ha effettuato la visita sia del medico che effettuerà il trattamento. «È, inoltre, questo il momento in cui accertarsi che sulla futura fattura compaia il nome del dentista che ci segue o dell’odontoiatra titolare dello studio, cioè medici iscritto all’albo professionale, e non di una srl», avverte il sindacalista dell’Andi. Precisa, infatti, l’Ufficio Odontoiatri della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri: «La Legge Concorrenza del 2017, secondo alcune interpretazioni, consentirebbe alle società di esercitare l’attività odontoiatrica. L’interpretazione dell’Ordine ritiene, però, che le società possano essere operanti nel settore odontoiatrico solo se assumono la veste di società tra professionisti (stp). Occorre chiarire che le cosiddette società di servizi potranno comunque emettere fattura per quanto riguarda i servizi organizzativi e strumentali non al paziente ma all’odontoiatra che ha usufruito dei servizi stessi per svolgere la prestazione professionale. Spetterà poi all’odontoiatra emettere fattura al paziente».

10) Prestare molta attenzione ai finanziamenti che vengono proposti. Nel caso delle società a responsabilità limitata, se la terapia viene interrotta per un qualsiasi motivo, come il fallimento della stessa srl (vedi il caso spagnolo, ma in un recente passato ve ne sono stati anche in Italia), spesso capita che le rate debbano comunque continuare a essere pagate dal paziente. «Nessun problema, invece», assicura Calandriello, «nel caso si tratti della già citata società tra professionisti, regolata dall’Ordine dei medici».

 

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