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Sindrome della capanna: come superare la paura di uscire di casa

La psicologa Simona Mreule spiega perché alcuni individui, dopo lockdown e smart working, faticano ad abbandonare il proprio rifugio sicuro, cioè l'abitazione. Si sofferma, poi, sulle strategie per gestire questa condizione emotiva

L’Italia è tutta in zona bianca, l’obbligo delle mascherine all’aperto è decaduto e pian piano si inizia a respirare un po’ di normalità, tant’è che dopo la vaccinazione contro il Covid-19 molte aziende cominciano a richiedere di riprendere le attività in sede. Tuttavia, stando a un’indagine Uil, la metà dei dipendenti – ma la percentuale sale all’80% tra bancari e assicurativi – non vuole assolutamente rientrare in ufficio. La risposta negativa dei lavoratori è spesso accompagnata dal timore di uscire dalla propria abitazione, considerata finora il “rifugio” per eccellenza. Queste persone vengono assalite da ansia, angoscia, frustrazione. Questa condizione emotiva è definita “sindrome della capanna” (o “sindrome della grotta”) e insorge in seguito a lunghi periodi di distacco dalla realtà, proprio come quello appena vissuto.

Cos’è la sindrome della capanna?

«La sindrome della capanna, conosciuta anche come sindrome del prigioniero, non è un disturbo psichiatrico ma una condizione che può presentarsi dopo aver trascorso molto tempo in isolamento sociale, all’interno delle mura domestiche» interviene la psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale Simona Mreule, che conosce da vicino la tematica. Proprio durante il lockdown, infatti, la dottoressa ha preso parte a un progetto di educazione al benessere psico-fisico-nutrizionale, ideato e coordinato da Marta Ciani, biologa nutrizionista di Udine. L’iniziativa, attiva in Friuli Venezia Giulia, ha coinvolto un team di specialisti che, dallo sport al supporto psicologico fino all’alimentazione, ha offerto un pacchetto gratuito di consulenze a domicilio a tutti i cittadini che ne avevano bisogno.

Gruppo San Donato

Perché può insorgere?

«Purtroppo la chiusura imposta dal governo e l’imposizione dello smart working hanno lasciato, in alcuni individui, qualche strascico a livello emotivo. Quello che è successo, e che nessuno aveva mai vissuto prima, ha creato incertezza e ha messo in discussione le vite di tutti, specialmente di chi è stato colpito da vicino dal virus. In casa, però, ci si è sentiti al sicuro, protetti, lontani dai rischi e dal contagio. Ecco perché oggi, per alcune persone, uscire da questo rifugio può rappresentare un pericolo, può spaventare e intimorire tanto da voler continuare a vivere secondo i principi del lockdown» continua Mreule. «Non si tratta di una resistenza al cambiamento in atto, come molti hanno addotto, ma un vero e proprio stato di ansia nei confronti di ciò che c’è fuori dalla porta di casa».

Come si manifesta la sindrome della capanna?

L’espressione “sindrome della capanna” sembra risalire addirittura all’Ottocento. Nel XIX secolo, infatti, negli Stati Uniti si sviluppò il fenomeno della corsa all’oro. I cercatori erano costretti a trascorrere lunghi periodi in capanne, in aree isolate e lontane dalle città popolose, proprio per portare a termine questa fruttuosa attività. Al ritorno alcune di queste persone manifestavano un rifiuto verso la civiltà, ansia, stress e suscettibilità. Da qui è stata coniata l’espressione di cui oggi si sente spesso parlare. «Questa condizione si manifesta con irritazione, nervosismo, demotivazione, difficoltà a prendere sonno. E ancora, c’è il desiderio di voler riprendere il contatto con la realtà esterna ma contemporaneamente si è assaliti da ansia, angoscia, attacchi di panico, timore» continua la psicologa.

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Come gestire e superare la sindrome della capanna?

Come spiega la dottoressa Mreule, esistono alcune semplici strategie da mettere in atto per poter gestire e superare questa condizione emotiva.

  • Ascoltarsi. Bisogna capire che queste sensazioni nascono in seguito a un lungo periodo di isolamento, che è stata una condizione del tutto nuova per chiunque. Nessuno, prima di allora, aveva mai sperimentato una situazione del genere. Quindi è del tutto normale che qualcuno ci metta un po’ più degli altri a “riprendersi” e a tornare alla normalità.
  • Cercare supporto nell’altro. Confidarsi con qualcuno che capisca ciò che si prova, senza giudicare, è un buon punto di partenza per abbattere il disagio interiore.
  • Prendersi cura di sé. Se il lockdown ha azzerato abitudini, vizi e piccoli rituali di piacere, ora si ha la possibilità di prendersi cura della propria persona. Bisogna soddisfare i bisogni personali nella quotidianità.
  • Stabilire degli obiettivi. È necessario imporsi degli obiettivi a breve-medio termine in modo da scandire le giornate, senza aver tempo per preoccupazioni, pensieri negativi, ansie. In questo senso bisogna cercare di reimpostare una routine giornaliera, che possa far tornare gradualmente alla normalità.

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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