Salute Mentale

Per fermare la violenza sulle donne bisogna educare i maschi fin da piccoli

Come afferma lo psicoterapeuta e psicoanalista Roberto Pani, la battaglia contro il maschilismo possessivo e la violenza esercitata sulla donna comincia dall’educazione dei più giovani

Nel 72% dei casi di femminicidio le donne sono cadute per mano di un parente, un partner o un ex. La morte, insomma, ha le chiavi di casa e vi abita sotto mentite spoglie: quelle dell’amore. «Che in realtà è ossessione, è gelosia, è frustrazione. Quando l’uomo non riesce ad affrontare la crisi o l’abbandono utilizza la forza, poiché è l’unica arma che gli rimane per alleviare la sua delusione» afferma Donatella Gimigliano, giornalista, presidente del Consorzio Umanitas Onlus e ideatrice di Woman for Woman Against Violence. I dati relativi alla violenza sulle donne sono sempre più allarmanti e confermano il fatto che c’è ancora molto da fare in termini di educazione e prevenzione. Ma da cosa si può partire? Ne abbiamo parlato con Roberto Pani, psicoterapeuta, psicoanalista e professore all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Perché i casi di violenza sulle donne sono ancora così tanti?

Mai come in questi ultimi otto anni le donne sono state inseguite, controllate, minacciate e uccise. Il passaggio dallo stalking all’atto criminale da parte dell’uomo, spesso ex-fidanzato e marito, è direttamente proporzionale alla conquistata indipendenza della donna nelle ultime decadi. Dopo gli anni Sessanta l’indipendenza femminile si è consolidata sino a raggiungere una sicurezza che si esprime con la libertà di non dipendere dall’uomo. Tale padronanza culturale provoca instabilità nell’uomo insicuro e possessivo, condizionato da una cultura del passato basata su un falso potere acquisito dal sistema economico e dalla forza fisica. L’uomo è sempre stato maschilista, machista, possessivo, trionfatore e anche vendicativo, specialmente quando era convinto di perdere il possesso di ciò che egli pensava essere suo. Inoltre, il fidanzamento, insieme al matrimonio, rafforzava e rafforza l’idea del possesso assoluto nella mente di alcuni uomini.

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Come si può prevenire la violenza sulle donne?

La battaglia contro il maschilismo possessivo e la violenza sulle donne comincia dall’educazione dei più giovani. Sin dalle scuole medie occorre parlare ai ragazzi di come la cultura maschile sia cambiata negli anni e non riconosca il possesso verso l’altro. La scuola non dovrebbe limitarsi a fare lezioni e fornire informazioni sui diritti e il rispetto delle donne. Bisogna ricorrere a strategie educative rivolte ai maschi, verificando quanto si è assorbito sui sentimenti e sull’amore.

L’essere padre-padrone, il nonnismo, il nepotismo, il mobbing, il vandalismo cittadino e ogni tipo di bullismo hanno radici comuni di criminalità. Queste, prima o poi, potrebbero manifestarsi in modo grave. Se ad alcuni uomini capita di entrare in un tipo di ossessione, possesso e gelosia morbosa, il consiglio è rivolgersi a un professionista. Psicologi, psichiatri e professionisti potranno aiutare a elaborare molte loro sofferenze.

La donna come vive questa condizione di possesso?

Per la donna, soprattutto quando coinvolta sentimentalmente, è difficile credere che il partner possa ricorrere a una vendetta criminale, nel caso decidesse di lasciarlo. Quando avverte che nella coppia c’è qualcosa che non funziona, decide di troncare il rapporto, in autentica autonomia e naturalezza. Questo perché la parità dei diritti è spesso completamente assimilata e acquisita nella mente femminile. La giovane donna non ha conosciuto da vicino la storia del femminismo, le lotte per l’indipendenza e non può ricordarle, né vedere le tracce che ancora sono insite in alcuni uomini sul bisogno di possesso di una “femmina”, inconsciamente considerata come una sua proprietà che può trattare con padronanza per l’eternità.

Perché si arriva al femminicidio?

Alcuni uomini sono talmente strutturati verso fantasie infantili di possesso, da sentirsi violati nel Sé quando sentono di non avere più il controllo dell’oggetto d’affetto e la loro proprietà viene meno. Si sentono disperati e umiliati, quanto incapaci di vivere senza quel tipo di potere che è da loro considerato unicamente distintivo della loro identità e quindi vitale. Questi uomini non hanno elaborato il cambiamento avvenuto culturalmente e, anzi, lo considerano un fatto sociale formale che provoca infantile e sadico disprezzo, quasi un tradimento della natura verso di loro.

Amare implica rispetto della persona per quello che la persona è, altrimenti si alimenta un bisogno prepotente di strumentalizzazione. La vendetta è un indice di un bisogno morboso di riprendersi quel che si considera proprio. Le giovani donne spesso non sospettano tale dinamica psichica maschile e aderiscono alle promesse dei loro ex-compagni fidandosi della loro comprensione e onestà.

Ci sono segnali di allarme che possono mettere in guardia da un comportamento violento?

Alcuni segnali dovrebbero innescare nelle donne una sorta di allarme e non di negazione e perdono del partner. Lo stalking spesso precede un comportamento sado-masochistico ed è già un avvertimento che non si dovrebbe trascurare, anche se apparentemente l’uomo sembra promettere di non ripetere più tali atti. L’articolo 612-bis introdotto con il decreto legge del 23 febbraio 2009 stabilisce chiaramente i reati dello stalking e delle minacce di violenza sulla donna. Confidarsi con amiche e amici, telefonare al numero verde 1522 che è attivo 24 ore su 24, denunciando le proprie preoccupazioni che riguardano il partner, sono passi importanti. Criminologi, psicologi, poliziotti possono valutare insieme alla donna quel che sta accadendo e intervenire nel migliore dei modi. Le vittime sperimentano uno stress psicologico che finisce per condizionare ogni aspetto della loro vita e dovrebbero reagire in tempo, riconoscendo e utilizzando i segnali di minaccia.

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